– di Giacomo Daneluzzo –
Anticipato dai singoli 2 Ombre (di cui è stato pubblicato anche un videoclip), Quaggiù, Esploderemo e FFFF (selezionato per far parte della colonna sonora della sesta stagione di Skam Italia), lo scorso 2 febbraio è uscito In mezzo a tutta questa gente, il primo album ufficiale del cantautore romano Matteo Pasqualone, in arte Redh. L’album è uscito per L’Eretico con distribuzione ADA Music Italy e segue l’uscita dell’EP d’esordio Torneremo, pubblicato nel 2019 per BDR Studio.
In occasione della pubblicazione ho scritto una recensione di In mezzo a tutta questa gente e nel farlo ho scoperto che Redh è un cantautore di talento, che ha realizzato un album catartico per sé e per chi l’ascolta. Ho deciso quindi di intervistarlo per fargli qualche domanda sul disco e sul suo percorso artistico. Ecco che cosa mi ha raccontato.
Il disco è uscito da un po’. Tiriamo le somme: come sta andando?
Bene. Direi che il risultato è tutto quello che mi aspettavo da quest’album. Con questo disco ci ho litigato, ci ho fatto pace, ci ho litigato di nuovo… È un album di tre anni fa, più o meno. Era pronto da tanto tempo.
Quindi immagino che, dopo tre anni di gestazione, dopo l’uscita non ci sia stato niente che avresti voluto cambiare.
[Ride, nda] In realtà sì, perché è pronto da tre anni ma non è che per tre anni ho continuato a lavorarci.
Quindi che cos’è successo in questi anni?
Ho iniziato a lavorare a quest’album con i ragazzi di BDR Studio, la mia band, subito dopo il primo lockdown, verso settembre-ottobre. Avevamo tutti una voglia matta di tornare in studio, anche perché il lockdown è scattato esattamente il giorno dopo l’ultimo live che abbiamo fatto. Siamo tornati in studio dopo l’estate, nella parte finale del 2020. C’era tanta voglia di suonare insieme e questo disco è stato un escamotage per farlo. Andavo in studio con la band, io portavo le mie canzoni e le arrangiavamo insieme.
A proposito di questo: dai crediti del disco ho visto che, mentre i testi sono tuoi al 100%, le musiche sono scritte insieme a varie altre persone. Quindi queste canzoni nascono da una tua bozza su cui poi avete lavorato insieme?
Sì, io scrivo le canzoni chitarra e voce. A volte sono stati loro a buttare giù una base, su cui io ho messo i miei testi già scritti.
Quindi tu scrivi anche testi senza musica?
Sì. Più che altro prendo appunti, tutti i giorni. Non lo faccio neanche con la finalità di scrivere delle canzoni.
Quindi nel 2019 hai pubblicato l’EP, Torneremo (a proposito: tutte le tracce si possono trovare cercando un po’ sul web, ma Non mi va più è introvabile), e poi hai iniziato nel periodo successivo a lavorare a In mezzo a tutta questa gente, non è passato così tanto tempo, giusto?
Peer quanto riguarda Non mi va più poi te la giro allora. Abbiamo iniziato a registrare le canzoni un po’ a caso: ho sempre scritto, da quando avevo dieci-dodici anni, ma non avevo mai pensato di farci qualcosa. E quando abbiamo iniziato a registrare erano tutti testi scritti durante il liceo, per esempio Claudia. Quindi poi cresci, cambi – e spero che sia così anche in futuro – e, ricollegandomi a quello che dicevo prima, capita anche di “litigare” con queste cose. Poi però ci ho fatto pace.
Perché ci hai litigato?
Perché sento dei cambiamenti. È come se potessi ascoltare il tuo pensiero di quattro anni fa, che oggi è cambiato. O comunque, anche se non fosse cambiato, diresti le stesse cose in modo diverso.
E come hai fatto a farci pace?
Vedendo le cose dall’esterno: ascoltando chi mi sta attorno e cercando di guardare le cose con oggettività.
È difficile essere imparziali con se stessi.
Sì, credo che sia una cosa che fa proprio parte di me. Penso che mi succederà ancora, che anche con i prossimi dischi dovrò farci pace. Però alla fine con questo disco ci sto in fissa.
Lavorandoci ascolti tantissime volte le cose che fai. Quindi poi le conosci tutte, ogni minima cosa, ogni errore. La sfida è accorciare quel margine fino a essere soddisfatti al 110% del proprio lavoro.
Quando è uscito Torneremo avevi ventiquattro anni. Ora ne hai ventinove, che è una fase della vita diversa: com’è stato il tuo percorso di vita in questi anni?
Niente di particolare. Ho lasciato l’università: studiavo per fare il tecnico perfusionista, m’incuriosiva molto, ma quando ho iniziato a entrare nelle sale operatorie ho capito che non è quello che voglio fare.
Ma non è che ho mollato l’università e ho detto: «Adesso spacco con la musica»: intanto lavoravo.
Vorrei farti una domanda sul tuo rapporto con la solitudine. Più che una solitudine “effettiva”, cioè il fatto di essere fisicamente da soli, trovo che quella di cui parli nel disco sia una solitudine esistenziale, più legata al sentirsi soli in un senso più ampio . Che cos’è la solitudine, per te, e come la vivi?
La solitudine è qualcosa che bisogna imparare ad apprezzare. “Solitudine” vuol dire un sacco di cose, tra cui anche stare bene con se stessi, che può suonare scontato da dire, però bisogna arrivarci. Per me è anche fare i conti con gli obiettivi che non raggiungi, arrivare a dire: «Okay, non devo per forza arrivare a questo risultato, nella mia vita, ci sono più vie che si possono percorrere». Si tratta di accettare che può arrivare qualsiasi cosa: che non finisci l’università, che la ragazza t’ha mollato, che non sai che cazzo fare della tua vita. E da questo riuscire a ripartire. Se non tocchi il fondo è difficile risalire.
Nel disco canti il malessere e parli di cose anche cupe, però mi sembra che ci sia sempre una volontà di reagire, di prendere quello che c’è da, anche da situazioni negative, e ripartire.
Sì, il senso è quello. Voglio lasciare un filo di speranza.
Quest’album non è sicuramente un disco “per tutti”: a chi parla? Quali sono gli interlocutori ideali di In mezzo a tutta questa gente?
Penso che sia un disco da ascoltare più volte, quindi sono d’accordo nel dire che probabilmente non è “per tutti”. Per quanto riguarda il prototipo di persona a cui parla direi semplicemente: me, a quell’età. Io scrivo fondamentalmente per me, quindi chi ci si ritrova è – più o meno – me in quel periodo lì.
E che persona è Redh in quel periodo lì?
Non lo so, penso che sia una persona che è nel limbo tra adolescenza e vita adulta, che non sa che cosa farà della propria vita e che sa solo quello che gli piace, praticamente, ma che non sa se riuscirà a costruirsi una vita.
Quindi un senso di incertezza verso il futuro.
Sì, decisamente.
E adesso è una fase diversa?
In realtà non così tanto, però sono molto più tranquillo. Questo disco è un modo per andare a fondo, e il prossimo probabilmente andrà ancora più a fondo, ma ora c’è un po’ di risalita. Ho una vita un po’ più sistemata, un lavoro con cui sono tranquillo e che mi piace, in una galleria d’arte fotografica, quindi a contatto col bello. Sono andato via di casa e vivo da solo. Tutto questo porta una serie di pesi in meno. E poi è uscito il mio disco!
In effetti penso che la nostra generazione, quella degli “under 30”, abbia molta paura del dopo, del futuro.
Sì. Ed è così in tutto, non solo a livello lavorativo: il clima, la fine del mondo… Sembra che tutto abbia una data di scadenza.
Vorrei farti una domanda su Skam Italia, in cui è presente il tuo brano FFFF: qual è il filo rosso tra il mondo evocato dalla tua musica e quello di questa serie Netflix?
Ho conosciuto il regista, che ha sentito le mie tracce e mi ha chiesto di metterne una nella serie. Io, che la conoscevo, sono stato molto felice di questo, perché trovo che Skam sia davvero una delle poche serie italiane che racconta la realtà, affrontando temi che è giusto affrontare. È una serie norvegese, riproposta in vari paesi, in cui ogni puntata affronta un problema, una difficoltà, di un personaggio in età da superiori. Per esempio c’è una puntata che parla delle difficoltà che vive una ragazza musulmana, un’altra invece è sulle tematiche LGBTQ+. È fatta molto bene: ogni volta che guardo serie italiane che parlano di giovani penso sempre: «No, dai, questo non succederebbe mai, questa cosa non l’ho mai vissuta, non è così che funziona». Invece Skam c’azzecca abbastanza e per questo mi ha fatto molto piacere esserci anch’io, in questa sesta stagione.
Dopo quest’esperienza come la vedi l’idea di fare colonne sonore?
Non penso di essere musicalmente preparato, ma farlo insieme a qualcun altro sarebbe molto interessante. Sarebbe figo.