Un moniker che apre scenari di visioni psichedeliche davvero poco quotidiane. Cantante, musicista, mente creativa che oggi affida al suono digitale i ricami di questa interazione spirituale che c’è tra natura fantastica e realtà di cemento quotidiana, tra il vissuto e il sogno, luce e oscurità… ma anche un passaggio obbligato da se stessi verso se stessi. A firma di Prelude to Desire esce questo primo Ep dal titolo “Lost Desires”, dalle sempre verdi note di malinconia e quelle raffinate soluzioni post-rock che sanno di apocalisse e nuovi inizi. Una trasformazione o forse una mutazione. O semplicemente il percorso dovuto passa anche da qui.
Scene elettroniche miste a suoni reali ma pur sempre altamente processati. Partiamo dalla produzione di “Lost Desires”: come nasce? Come hai lavorato in studio?
Diciamo che la gran parte del lavoro l’ho fatta nel mio home studio, registrando praticamente tutto, sono partito dal piano, synth, e chitarre. Le parti di batteria le ho composte virtualmente. Il tutto poi l’ho passato ad Alberto De Grandis, fonico e chitarrista, a cui mi ero già rivolto in passato per la realizzazione del disco che ho fatto con un’altra band in cui canto, i Barafoetida, che ha finalizzato il mix ed il master.
Quanto rock c’è dentro le trame di questo Ep? Il tuo passato musicale deve aver contaminato in qualche modo la scrittura.
Diciamo che per questo disco un buon 70% del lavoro è partito sempre da giri di synth o di piano, poi ci ho lavorato successivamente con riff di chitarra, ho preso spunto da lavori un po’ più ambient sulla falsa riga di band come Mogwai e Sigur Rós. In futuro spero e credo di dare una svolta più rock alle prossime composizioni, mantenendo comunque il mood che ha caratterizzato il suono di “Lost Desires”.
Oggi fronteggiamo una scena che spesso torna ai suoni e ai costumi degli anni ’80 e ’90. Ecco: da questo lato della storia che cosa senti di aver preso?
Sicuramente la scena, che vuoi anche per motivi di età ho vissuto, e che maggiormente ha influenza in quello che faccio, è stata quella del rock alternative degli anni ‘90, anche se apprezzo moltissimo band electro e darkwave degli anni ‘80, credo alla fine di aver fuso assieme le due cose, facendone qualcosa di personale.
Moltissime grafiche che fanno da corredo al disco, anche molte immagini del video, hanno spesso a che fare con la natura e le sue distorsioni di luce. Come mai?
Il video è stato realizzato da Denny Z, il tastierista dei Barafoetida. Assieme a lui ho voluto associare immagini della natura a realizzazioni grafiche astratte. Questo perché ognuno di noi è libero di dare una propria interpretazione a ciò che vede e ascolta. In questo video ho voluto dare un senso alla natura come stato di quiete o calma, con intervalli di luce/oscurità che vanno ad interferire in vari periodi, come può capitare con l’essere umano. Siamo fatti di emozioni che a tratti vedono la luce, e altri l’oscurità.
E non a caso (forse) il disco si chiude con “Kodama”. Da dove nasce questa figura e come l’hai raggiunta?
Il Kodama è una divinità della natura (tradizione giapponese), legato agli alberi, una sorta di “protettore” delle foreste. Il pezzo è legato ed ispirato a questi paesaggi incontaminati. Anche su questo brano come su Air, ho voluto utilizzare suoni sognanti, per quanto riguarda la parte di chitarra, mi sono un po’ ispirato ai “The Cure” dell’album “Disintegration” dove era il suono malinconico delle chitarre a farla da padrone.
Oggi il mondo cosa sta diventando secondo te? Una domanda che faccio a Luca Guarnieri ma anche a Luke Warner. Scegli tu chi far rispondere.
Rispondo come Luca, penso che la situazione attuale non sia delle migliori, e in tutta sincerità non vedo un futuro roseo. Dipende tutto da noi, da ogni singola azione che facciamo per dare una svolta in positivo, anche per migliorare questo pianeta. Il mondo ancora ci potrà ospitare per moltissimi anni, se saremo noi per primi a non fare del male.