Dal Devoto-Oli, “Alieno”: appartenente ad altri, altrui; straniero; estraneo; avverso.
Questo terzo lavoro del polistrumentista partenopeo Danilo Turco, in arte Danjlo, comincia proprio con un brano intitolato “L’alieno”: titolo che riesce a riassumere tutte le accezioni del termine per descrivere questo album.
– di Simone Spitoni –
È infatti, in un certo senso, “appartenente ad altri“ poiché molto deve alle atmosfere più allucinate di certi Radiohead, alle cacofonie ansiogene dei migliori Nine Inch Nails (anche la voce ricorda – e non poco – il grandissimo Trent Reznor), come anche ai primissimi Decibel di Enrico Ruggeri per quanto riguarda i testi.
È straniero ed estraneo poiché sembra davvero un album di un altro mondo, non classificabile come album di cantautorato classico né tantomeno come album di industrial sperimentale. Insomma, non è “etichettabile”, e oggi, si sa, per molti è un grosso difetto.
Ma certamente non per chi scrive.
È “avverso”? Sicuramente: a parte le sonorità scabre degne del miglior industrial d’antan, pare davvero l’ultimo grido degli esseri umani contro una futura, e imminente a quanto pare, tirannia delle macchine come in “The Matrix” o “Terminator”.
Internet, la “rete” che avrebbe dovuto unire l’intera umanità, ha invece finito per intrappolare gli esseri umani e disumanizzarli completamente. Come ha detto il suo autore “I disco prova spesso a interpretare gli esseri meno umani di un futuro non troppo remoto, come si comporteranno quando non saranno più costretti a sentire l’altro, a parlare, ad amare e vorranno solo cose materiali”.
Direi che già siamo pienamente in un universo simile: quante “regine del niente” (per citare il titolo di un brano dell’album) vediamo quotidianamente venerate come fossero esseri a metà tra divinità pagane e perni portanti della cultura (ma quale?) occidentale? E poi perché dobbiamo passare le nostre giornate, come dice Danjlo, a vedere le giornate degli altri per poi idolatrarle, non sapendo che spesso e volentieri sono interamente false?
Ma il problema, forse, è un altro: abituati a “non-vivere” così non ci chiediamo mai: e se un giorno tutto questo dovesse scomparire?
Mi ricordo un meraviglioso quanto inquietante film TV britannico prodotto dalla BBC nel 1984 e intitolato Threads (fu trasmesso anche dalla RAI l’anno seguente col titolo Ipotesi: Sopravvivenza) nel quale si mostravano, senza alcuna pietà per gli spettatori, i devastanti effetti di un bombardamento nucleare. Citando un dialogo del film in questione:
“Tutti gli elementi che compongono una società moderna sono collegati fra di loro. Per soddisfare i bisogni di ciascun individuo, è necessaria l’attività di molti. Le nostre vite s’intrecciano l’una con l’altra, dando vita a un complesso tessuto. Ma i legami che costituiscono la forza e la stabilità del sistema possono anche renderlo vulnerabile”
Se non finire proprio per distruggerlo, mi permetterei di aggiungere io. Per chi vuole immergersi in un disco aspro, aggressivo, sanamente polemico e distopico, “Post Internet” è la scelta migliore.
“Benvenuti nel mondo vero”, come diceva Morpheus.