Sospeso questo timbro di voce tagliente e sottile che tanto nel disco contribuisce a trasportarci dentro un “non-luogo” si sentimenti. Parleremo di parole e di cantautorato, parliamo di questo esordio dal titolo “La vita nel Cosmo” a firma del calabrese Pocodigiorgio che sforna un suono a tratti di matita, in bianco su tonalità di grigi. Sono riflessioni e sono anche lunghe vedute su un tempo nuovo. E non mi stupisce se per certi versi potrei ritrovarmi dentro i colori di un dolcissimo dipinto post-rock distopico. Sono sensazioni. È un disco lisergico, da ascoltare con cura e tempo immobile…
Un esordio che arriva dopo anni di militanza dentro il suono di tanti amici e colleghi. Tutto questo mondo in qualche modo ha scritto questo cosmo che racchiudi in queste 9 tracce?
In parte sicuramente. Dopo il 2016 ho fatto un altro percorso però. Mi sono concentrato molto di più sul fatto di essere un chitarrista in piccole formazioni jazz sperimentali e quanto di questo mi appartenesse per davvero. Questo mi ha permesso di trovare sinceramente me stesso col tempo. Almeno ho iniziato a farlo, ed è necessario se vuoi portare qualcosa di tuo sul palco. Ho suonato anche molto all’estero ed è una cosa che mi mancava e che sognavo di fare da sempre. Non è durato tanto e se non ci fosse stata la pandemia forse sarei andato a vivere all’estero per un po’. Ormai ero abituato all’idea di non mettere radici. Poi sono tornato a Bologna ed in parte quella vecchia vita che avevo messo in pausa è rientrata in modo nuovo dentro di me. Sentivo che ero pronto per iniziare a fare qualcosa di mio; che potevo provare a raccontare il mondo che avevo intorno cantando. Sono sempre stato affascinato dalle voci carismatiche e volevo lavorare sulla mia.
Che poi molto arriva anche dal tuo suono. Se non erro componevi brani strumentali… o sbaglio?
Si, nel 2017 a Perugia ho fondato insieme a tre amici, con cui condivido molte cose oltre la musica, un progetto sperimentale di matrice jazz/rock dal nome Anomalisa, che è anche un film in stop motion di Charlie Kaufman. Abbiamo anche inciso insieme un disco ad Abbey Road, che si chiama Unexpected. In quel periodo ho scritto diverse cose. Poi il mio interesse per la musica strumentale è semplicemente confluito in quello attuale.
Io credo che l’appellativo di cantautore non mi stia molto addosso. Non mi piacciono, a dirla tutta, queste etichette che finiscono per ingabbiare la creatività di un artista. Non ho paura di risultare anzi fluido e instabile artisticamente.
Mi piace sperimentare e non escludo altra musica strumentale in futuro. Mi piacerebbe scrivere anche per i film, che sono un’altra mia grande passione.
Qualcosa di questo passato oggi lo ripeschi pari pari per uno di questi brani?
Io credo che sia necessaria la ricerca continua di una metamorfosi. Se ti ripeti significa che sei abbastanza a corto di idee. Piuttosto mi capita di lavorare sulle armonie che mi piacciono e in cui mi identifico, più come se fossero degli umori rappresentati in musica. Mi piace l’idea di mettere sempre più a fuoco dei sentimenti in musica; renderli sempre più essenziali, questo è un processo senza limiti credo.
La parola che usi: schietta e sincera, non cerchi allegorie difficili o distanza dal quotidiano. Non c’è una regola certo… ma tu che rapporto hai con la parola cantata? Che responsabilità gli affidi?
Lo stesso discorso vale per le parole. Ne puoi usare sempre di diverse ma alla fine ce ne sono di ricorrenti e la sfida sta nel metterle al posto giusto, decontestualizzarle, o metterle sulla musica giusta, creare dei contrasti, delle sensazioni chiare. Mi piace l’ambiguità, e il fatto di creare due livelli di lettura, ma non sempre. A volte essere didascalici aiuta magari una musica che è già densa di significati umorali. Per citare Nanni Moretti… “le parole sono importanti!”, e lo è anche l’atmosfera nelle quali si immergono quando si parla di musica. Poi amo le analogie scientifiche, ed il fatto di poetizzare magari un linguaggio tecnico che altrimenti non lo sarebbe necessariamente, nel caso di questo disco quello astrofisico, purché ci sia eufonia e senso.
Un disco che ha un forte potere visionario. Non hai trovato un video che potesse servire a questo?
Effettivamente l’intento era di evocare diverse immagini cosmiche che è anche bello poter immaginare autonomamente senza l’ausilio di video didascalici.
Gli unici video realizzati sono Formica e La Strada attualmente. In entrambi ho cercato di non essere troppo didascalico. Anzi ho puntato sinceramente sulla mia figura a tratti tragicomica che è un po’ quello che sento di essere al di fuori delle mie canzoni.