• Di Giacomo Daneluzzo
Questa settimana vi presentiamo Pietro Giay, cantautore torinese del ‘96, studente di filosofia, che lo scorso novembre ha pubblicato il suo primo lavoro discografico, “Cosa a tre”, che non è un concept album sui threesome ma un EP di tre tracce, ognuna dedicata a un personaggio diverso, di cui porta il nome.
Armato di chitarra acustica, presente in ogni traccia come sfondo degli altri strumenti, Pietro Giay dipinge tre quadretti di vita quotidiana, ritraendo tre figure “normali”, a cui è facile affezionarsi più per il modo in cui sono descritte che per ciò che viene effettivamente rivelato di loro (cioè non molto); infatti “Anita” parla di una sua amica, (“o forse qualcosina in più ma è tutta colpa sua”, per citare il testo), “Sophia” del “classico studente di filosofia”, un po’ poser, che fa di ciò che studia la componente principale della sua personalità e non è “neanche sicuro di amare Sophia”, a cui è intitolata la traccia, mentre “Pablo” di un giovane nostalgico e sconsolato che va in balcone a fumare. Ma ciò che conquista è il modo personale di Pietro Giay di raccontare tutto questo, dando importanza alle piccole cose, a quei dettagli in secondo piano, come la scintilla che accende una sigaretta.
Testi simpatici, semplici, cantati da una voce dal timbro caratteristico e piacevole, accompagnati da una base musicale che ripropone più che egregiamente sonorità diverse in ogni traccia, forse non innovative ma senza dubbio evocative di immaginari appartenenti al passato (come il poster dei Rolling Stones stropicciato citato nell’ultima traccia del disco), che passano da giri di matrice folk-rock a ukulele tropicali.