– Michela Moramarco –
Peter White è un cantautore romano classe ‘96 che sa narrare storie in modo condivisibile e immediato. “Gibson rotte” è il suo nuovo singolo in cui anche solo il titolo fa rumore. Come in una giornata storta, come per una Gibson rotta, l’unico modo per rimediare è ricomporre i pezzi. E nel suo nuovo singolo Peter White racconta di come sia difficile trovare la giusta attitudine per ricostruire qualcosa che apparentemente non serve più. Il brano è senza dubbio coerente con l’immaginario che l’artista ha iniziato a delineare con il suo primo album Primo appuntamento, ma lascia presagire un’evoluzione interessante che si proietta nel nuovo album in uscita il prossimo autunno.
Il mood di “Gibson rotte” è malinconico, l’ambientazione è un’estate che non sa se iniziare o volgere al termine.
Per orientarci meglio in questo immaginario nitido ma con qualche nuvola passeggera, ne abbiamo parlato con Peter White.
“Gibson rotte” è un brano che racconta anche di come sia possibile ricomporre i pezzi di storie che sembravano finite. Mi diresti cosa vuoi esprimere?
Innanzitutto, parlare di una canzone, di come nasce e di quello che esprime è sicuramente difficile. Non si va a parlare di una scienza esatta, né tantomeno di calcoli matematici. Una canzone è un intruglio di emozioni, di sensazioni ed è molto volatile. Poi la parte decisiva nell’interpretazione è dell’ascoltatore. “Gibson rotte” è un brano che ho scritto mentre provavo determinate sensazioni, ma non mi interessa più di tanto analizzarle e definirle. Quindi, dopo una serie di riflessioni, ho composto questo brano. Lascio l’analisi dettagliata del pezzo all’ascoltatore.
La narrazione e la trama dei tuoi brani sono molto condivisibili. Credi che ci sia un modo preciso per ottenere questo effetto? Si tratta di “semplice” spontaneità?
Direi che ci sono vari tipi di scritture. La mia è sicuramente una scrittura descrittiva, cioè evoca varie immagini. A me viene da scrivere di vita quotidiana, quindi è abbastanza naturale che la gente vi si possa riconoscere o possa rivivere attraverso le canzoni determinate esperienze della propria vita. Ma poi intervengono la spontaneità e i vari punti di vista.
I tuoi brani sono spesso dei racconti del tempo passato. Come mai questa scelta?
In realtà credo che comunque tutti noi tendiamo a vivere il presente tenendo conto del passato. Credo sia nella natura umana. Il futuro rappresenta il mistero o la speranza, il presente è “il momento” per eccellenza; il passato invece è il lasso di tempo con cui ci si ritrova puntualmente a fare i conti. Ecco perché mi ritrovo spesso ad analizzarlo.
“Gibson rotte”, come è nata questa immagine?
Dunque, il brano è nato da un giro di accordi. Poi in genere si procede al lavoro sulle linee melodiche, che per me in genere nascono su una parte musicale. Successivamente, scrivendo, sono nati questi versi “giornate storte come Gibson rotte”. Forse perché in quei giorni ero andato a cercare un po’ di chitarre online, visto che sono una mia grande passione. Inoltre, la Gibson è una chitarra storica. Quindi dire “Gibson rotte” è più specifico di un generico “chitarre rotte”. Direi che una Gibson rotta è un’immagine che fa abbastanza rumore.
La tua musica non è facile da definire in un genere. Tu ti senti un cantautore?
Dunque, dipende da come vogliamo intendere il concetto di cantautore. Se lo vogliamo considerare come uno che scrive i testi e le linee melodiche, allora direi di sì. Poi è ovvio che ogni definizione ha la sua collocazione storica, da cui derivano mille sfumature. Sono un autore molto attento alla fase di scrittura e quindi alla cernita testuale. Nella mia poca esperienza sto dando molta attenzione al testo, in modo gradualmente più definito.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto continuando a lavorare per chiudere il secondo disco, che sarà pubblicato dopo l’estate. Definiremo meglio il tutto. Ci sarà però qualche sorpresina nel frattempo.
Stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato nel giro di due anni, Covid permettendo. Adesso siamo in fase conclusione.