– di Giacomo Daneluzzo –
Incontro Perla fermata della metropolitana milanese di Loreto: sta suonando nello spazio di Sound Underground un pezzo strumentale con uno strumento molto particolare, l’handpan. Dopo un po’ cambia totalmente genere e inizia a fare le sue canzoni, usando delle basi.
Perla Parisi, classe 2003, cantautrice, nota artisticamente come Perla, è esattamente questo: un’artista capace di spaziare dalla musica strumentale di un curioso idiofono metallico a canzoni pop cantautorali in cui racconta la propria vita. In tutto ciò studia arpa classica al Conservatorio di Milano, per non farsi mancare niente. Il suo album Prisma è uscito lo scorso febbraio in modo totalmente indipendente e autodistribuito (noi di ExitWell l’abbiamo anche recensito).
Dopo l’esibizione in metro usciamo e mi porta in un bar che conosce, vicino alla sua scuola di teatro, e lì prendiamo un tè e facciamo merenda mentre le faccio quest’intervista. Ecco che cosa mi racconta a proposito di sé e della propria musica.
Partirei dal tuo album: com’è nato?
Ho iniziato a registrare Prisma lo scorso luglio. Le canzoni però esistevano da anni. Ero in contatto da un po’ di tempo con Matteo Davì, membro dei Mathela, che conoscevo tramite il batterista Michelangelo Gandossi. Matteo mi ha detto che lui aveva appena aperto questo studio, chiamato Marte Recording Studio, a Milano, e mi ha proposto di registrare qualcosa insieme. Visto che io stavo frequentando una scuola di teatro a Roma, la Point Zéro [pronunciato alla francese, nda], in cui stavo facendo un corso molto serio, un anno di formazione intensiva, quindi all’inizio gli ho detto di no, ma l’idea mi stuzzicava, quindi alla fine ho accettato di registrare un brano: Persone giuste al momento sbagliato. Il risultato mi è piaciuto un botto, quindi sono stata io a dirgli: «Senti, facciamo un album».
Un album è un grosso investimento, però!
Sì, anche se in termini economici ho speso meno di quanto avrei speso registrando in uno studio più grande o con più anni di attività alle spalle. Matteo ha la mia età [vent’anni, nda] e anche se è agli esordi è molto in gamba. Lo studio in cui ho registrato era uno stanzino insonorizzato a casa sua, pieno di strumenti, ma adesso lui e l’altro ragazzo con cui lavora, Federico Ramoni, si stanno spostando in un posto più grande.
L’anno prossimo vorrei fare qualche lezione d’arpa ai bambini e mettere da parte un po’ di soldi per il mio prossimo progetto. Sto sperimentando tantissimo.
Sperimentando come?
Sto ascoltando molte altre cose, sto lasciando che la mia mente si apra e sto scoprendo altri panorami musicali rispetto a quelli che conosco già. Questo mi sta arricchendo tantissimo.
Scrivendo e registrando Prisma ero molto sulle ballad e penso che le mie canzoni siano un po’ “alla Ultimo”, che in molti criticano, ma che io stimo; condivido il suo modo “trasparente” di scrivere i testi: è inutile far finta di stare bene quando non si sta bene. Ora invece sono un po’ più su Billie Eilish: l’ascoltavo tanto anche prima, ma non riuscivo a esserne troppo influenzata, mentre adesso mi sento più vicina a quel tipo di pop.
Da quando è uscito Prisma è passato un po’ di tempo e hai anche avuto modo di rielaborare un po’ tutto: come ti senti rispetto all’album e quali sono le tue impressioni?
Non cambierei niente; sì, c’è sempre qualcosa che, pensandoci a posteriori, avrei potuto fare diversamente, però sono molto contenta del senso che ho dato a quest’album. È un progetto che avevo da un po’ di tempo, l’ho strutturata bene e sono contenta di com’è uscito. Prisma è una fase che si è conclusa e sono contenta di averlo registrato e pubblicato, perché se avessi aspettato forse non l’avrei mai fatto. Invece così resta a testimoniare questa fase della mia vita. Quindi va bene.
Una cosa inaspettata è che il pezzo con più ascolti sia Cornice vuota, che è il preferito di una mia amica. Essendo il pezzo più lungo dell’album sono estremamente soddisfatta di poter dire alle persone che mi dicevano: «Un pezzo di 5 minuti e 50 secondi è troppo lungo!» che invece è il pezzo più ascoltato dell’album! Ha sorpreso anche me, comunque.
Questa è una caratteristica di Prisma: me ne sono fregata completamente di fare le cose per far sì che le canzoni fossero più ascoltate. Non avevo nessuna pretesa di fare il pezzo che, boh, andrebbe forte in radio o qualcosa del genere. Quando scrivo mi lascio andare, sono nel flusso. Se voglio fare quattro volte il ritornello cambiando le parole io lo faccio lo stesso, anche se è antieconomico.
Penso che sia molto importante avere le idee chiare sul proprio progetto artistico, anche perché ci sarà sempre qualcuno secondo cui le cose vanno fatte in modo diverso. Prisma è un album molto ordinato, molto simmetrico: come dicevo nella recensione, ci sono tre tracce, un interludio d’arpa, una sezione centrale di quattro tracce, un altro interludio d’arpa e infine le ultime tre tracce, seguendo uno schema molto ordinato. Ti va di raccontarmi com’è stato messo insieme questo disco?
Te l’ho detto anche quando è uscita la recensione: che bello che qualcuno se ne sia accorto! Sì, è tutto molto preciso, e oltre allo schema che hai detto aggiungerei che, a livello di scrittura, ci sono anche dei colori associati alle canzoni:
- Aura = blu
- Ogni cosa che amo = verde acqua
- Persone giuste al momento sbagliato = arancione
- Sospesa (Interludio) = indaco
- Questo colore ti dona = verde
- Qualcosa di astratto = bianco
- Vortice = rosso
- Cornice vuota = azzurro
- Cambiamo mood (Interludio) = lilla
- Metto in pausa = viola
- Il sogno di un bambino = nero
- Piccola donna = giallo
Mi piaceva associare un colore a ogni traccia perché nei testi i colori compaiono più volte. Volevo anche creare una sorta di contrasto tra la cupaggine che c’è in alcuni momenti dell’album, in cui c’è anche il rischio di inabissarsi, e l’idea di un mondo pieno di colori, una vita piena di cose: con i colori io sto dicendo che la luce c’è. Aura, che è l’opening del disco, è un titolo che rimanda ai colori, perché le aure hanno dei colori. Una curiosità: il bianco è la sintesi di tutti gli altri colori e Qualcosa di astratto, infatti, è una summa, ed è al centro dell’album.
Il contrasto è richiamato anche dalla fine dell’album: Il sogno di un bambino e Piccola donna sono due lati dell’infanzia – che infatti, come un prisma, ha più lati – e che sono il nero e il giallo, che simboleggiano l’oscurità e la luminosità.
C’è molta riflessione dietro a quest’album, mi sembra che, nonostante la tua scrittura suoni molto libera e spontanea, sia un lavoro molto ragionato.
Ci ho messo tantissimo a capire quali canzoni sarebbero state inserite nell’album e quali no, ho cambiato un sacco di volte la tracklist, anche perché alcune canzoni, tra cui Metto in pausa, Questo colore ti dona e Vortice le ho scritte solo a settembre. All’inizio ho anche pensato di fare un EP, ma avevo in mente una cosa molto strutturata. È tutto molto schematico anche perché quello che volevo realizzare era un prisma, che è anche il motivo per cui puoi partire da una traccia e far iniziare lì il percorso, ma non è l’unico modo.
Prima hai detto che c’è in questo disco c’è (anche) il rischio di inabissarsi: anche se sei molto giovane, non mi sembri incarnare lo stereotipo dei ventenni spensierati. O forse siamo dei giovani “diversi” da quelli che ci sono stati prima di noi?
Non so se siamo diversi come ventenni: io posso parlare del mio punto di vista. Non vorrei far passare l’idea di essere una persona che non riesce a vedere le cose belle, perché non penso questo di me. Io faccio musica quando ho bisogno di farlo, quando mi devo sfogare. Quando hanno chiesto a Luigi Tenco: «Perché scrivi solo cose tristi?» lui ha risposto: «Perché quando sono felice esco». Ecco, mi riconosco moltissimo in questo concetto.
Più che un’età vorrei rappresentare quella fetta di popolazione che, come me, vive l’arte nella propria vita e sente di non essere del tutto capita dalle altre persone. Io, come molte altre persone, ho vissuto quest’esperienza a scuola, un ambiente in cui le persone creative vengono messe a distanza, in cui si cerca di omologarle. Io ho sempre fatto quello che volevo fare, però ho sofferto molto per questa cosa e questo soffrire l’ho usato nei testi, ne parlo nelle canzoni – Qualcosa di astratto parla di questo.
Dopo il liceo sono andata a Roma, nella scuola di teatro di cui ti parlavo prima, e ho pensato: «Oddio, ma allora esistono altre persone come me!». È stato il posto in cui più mi sono sentita a casa mia, tra attori e musicisti, e ho sentito che la mia sensibilità era al sicuro e che potevo essere me stessa.
Il Conservatorio è un po’ diverso dal liceo, ma forse neanche poi così tanto: nella mia scuola fare musica non era una cosa vista benissimo, invece al Conservatorio è fare musica “non classica” che è considerata una cosa strana, particolare. Poi ribadisco che a me non interessa molto, però mi dà fastidio lo snobismo. Io faccio arpa classica, perché c’è solo arpa classica, ma stanno cercando di fare dei laboratori di jazz e altro: molto bene!
Fai musica pop con la tastiera, studi arpa classica al Conservatorio e ti ho appena vista suonare in metropolitana uno strumento non convenzionale come l’handpan. Ci sono tendenze molto diverse che convivono in te: quale sarebbe il tuo percorso d’elezione nel mondo della musica?
Io voglio finire il Conservatorio. Sono intenzionata a finire il triennio, poi deciderò se fare anche il biennio. In questi anni vorrei trovare un’etichetta e qualcuno che possa aiutarmi a emergere, per così dire. Adesso sto facendo un sacco di live, anche open mic, che è la mia gavetta.
In ogni caso, però, l’arpa la voglio portare con me, nel mio percorso musicale. Magari uscendo da quest’idea che l’arpa sia necessariamente uno strumento classico e basta. Adesso mi sto ispirando ad altre tendenze musicali, in particolare jazz, blues e bossa nova. Secondo me l’arpa è ricchissima dal punto di vista dell’espressione musicale e spesso non viene abbastanza esplorata. Trovo che sia, invece, uno strumento super stimolante.
Ho iniziato con il pianoforte e prima di questo periodo ho sempre vissuto un po’ male il mio rapporto con l’arpa. Io volevo entrare al Conservatorio per studiare pianoforte, però ho dovuto cambiare strumento e così ho iniziato con l’arpa. Adesso però ci ho fatto pace, mi ci sono riavvicinata: prima la usavo proprio solo per studiare, poi mi mettevo al pianoforte e mi sentivo libera. A proposito: è stato Matteo, il produttore di Prisma, a propormi di usarla nell’album; mi sono divertita molto a farlo.
Recentemente ho scritto dei pezzi proprio con l’arpa. Un progetto a cui ho iniziato a lavorare è “l’album dell’arpa”. Ho registrato un brano bossa nova con l’arpa, con un arrangiamento jazz. Vediamo.
Prima di Prisma hai pubblicato molte canzoni senza appoggiarti a nessuno; anche Prisma è completamente indipendente, anche se hai lavorato con un produttore. Che valore ha per te essere “indipendente”?
Se si potesse vivere di musica indipendente sarebbe bellissimo: vorrei potermi gestire sempre io tutte le fasi del lavoro, però non credo che sia sempre possibile, soprattutto quando non si ha un progetto già avviato in senso discografico. Lavorando da indipendente hai molta libertà, mentre un team dev’esserci proprio nel momento in cui sei pronto tu – e deve avere anche la giusta vibe, perché quello creativo è un ambito molto delicato.
Iniziare da indipendente in ogni caso è giusto e anzi, è inutile pensare di firmare per un’etichetta prima del tempo. Se in questo tempo, in cui ho fatto le mie prime canzoni e i miei primi concerti, avessi ricevuto delle proposte da qualche etichetta non credo che avrei accettato, perché non era il momento giusto. Prisma secondo me è già in una fase diversa del mio percorso: vorrei che fosse un biglietto da visita anche per le persone con cui potrei lavorare in futuro, come a dire: «Ecco, io faccio questo, anche in maniera indipendente».
Prima di chiudere l’intervista vorrei tornare sul teatro, con cui hai un rapporto importante. Come s’inserisce nella tua dimensione artistica?
Il teatro e la musica sono le due facce della mia persona: la musica è la mia parte più introspettiva, il luogo in cui indago e vado nel profondo, anche quando non sto bene e ho bisogno di confrontarmi con le mie emozioni; nel teatro c’è in comune un lato emotivo, un con le emozioni, però è anche il luogo in cui mi diverto e mi lascio andare e uso quelle emozioni nell’ottica di creare uno spettacolo. Come attrice ricerco spesso personaggi che mi facciano divertire, magari anche molto distanti da me, e mi sento molto libera. Scrivere musica mi fa sfogare, mentre il teatro mi permette di alleggerire il carico.
Poi non mancano le difficoltà, nel teatro. Il mestiere dell’attore è molto difficile anche emotivamente: sei tu con le tue emozioni e devi sempre mettere in gioco tanto, ma devi anche salvaguardarti, perché può anche essere pericoloso. È importante che nella recitazione le proprie ferite siano usate solo nel momento in cui si sono rimarginate.
Le ferite di cui parli in Prisma si sono rimarginate?
Sì. Il sogno di un bambino è una visione quasi catastrofica, un forte dolore esistenziale che sembra non avere fine, mentre Piccola donna è proprio questo momento di cicatrizzazione: c’è la speranza e mi permette di dire alla me del passato: «Ti capisco» e di continuare a essere me stessa, credendo nella mia arte.
Perla presenterà il suo album Prisma questa sera al MezzoKilo di Milano in viale Daniele Ranzoni 5, alle 21:00 (ingresso gratuito).
Di seguito le date dei suoi prossimi live a Milano, la sua città.
- 19/04 • Il Ritrovo, 20:00
- 20/04 • Il Ritrovo, 20:00
- 25/04 • Toast to Coast, 21:30
- 27/04 • Piano Zero, 20:00
- 03/05 • Stazione della metropolitana Garibaldi (Sound Underground), 19:00
- 11/05 • ARCI Bellezza (Milano Cantautori), 19:30
- 24/05 • Stazione della metropolitana Garibaldi (Sound Underground), 19:00