– di Manuela Poidomani –
Immaginate una fine giornata, quando ci si mette in macchina per tornare a casa dal lavoro e improvvisamente ci si ritrova in mezzo al traffico di grandi città e si aspetta impazienti che quella maledetta macchina davanti, si sposti per farti passare. Ma purtroppo, appena termina l’utopia, si ritorna bloccati in quella propria scatoletta e l’unico modo per sentirsi meno soli è quello di schiacciare sulla nuova playlist capace, in poco più di trenta minuti, di raccontare una storia collettiva.
Ed è proprio in questo immaginario che si pone il nuovo disco dei Kaufman, dal titolo “Parkour (Lato A)”, in uscita oggi, venerdì 15 ottobre per INRI, tra la voce malinconica e romantica del frontman Lorenzo Lombardi e il suo collettivo composto da Alessandro Micheli, Matteo Cozza e Simone Gelmini.
Un ritorno sulla scena per la band bresciana dopo quel 2017 in cui l’album “Belmondo” si fece strada nelle sonorità indie pop italiane, seguito successivamente a delle attività di autore del cantante (tra gli altri per Luca Carbone, Marianne Mirage e Max Gazzè) e ai dei numerosi featuring con artisti, ripresentanti anche in questo disco (come i Legno nel brano “Trigonometria” e Cimini con Judo).
Sarà un caso ma sembra che ai quattro alletti trovare richiami alla cultura francese, in quanto il titolo “Belmondo” sopra citato è un omaggio a Jean Paul, simbolo del cinema francese della Nouvelle Vague, e allo stesso modo se ricerchiamo l’origine della disciplina sportiva chiamata parkour troviamo come questa sia nata in Francia a partire dalla metà degli anni Ottanta. E infatti, se mettiamo a confronto i due lavori, troviamo delle assolute somiglianze, poste nel carattere nostalgico, poetico e sincero della scrittura, nonché nella narrazione capace di farci immedesimare in quella generazione “inquieta, figlia di tempi incerti”.
“Parkour” è infatti un susseguirsi di pezzi, otto per l’esattezza, trascinati dal singolo “Judo”, sotto la produzione di DADE; otto brani il cui scopo è quello del compimento di un percorso da un punto ad un altro ben preciso, con la capacità di superare qualsiasi genere di ostacolo in maniera veloce ed efficiente. «Nasce dall’urgenza di raccontare vite in bilico tra i continui ostacoli di questi anni strani… Tra il desiderio di volare sopra i tetti delle città e la paura di cadere. Tra andare ai concerti e non poterlo fare, tra vivere e non riuscirci in pieno, tra innamorarsi e mantenere le distanze, tra avere sogni e poi capire quanto è complicato, a volte, realizzarli».
Il disco risente di un potente citazionismo, partendo dai cartoni animati della prima traccia “Bart Simpson”, al deserto presente in “Universo” che può avere assonanze con la pandemia di questi ultimi anni, al richiamo di un amore in grado di farci ritrovare quanto possibile nel farci cadere. Ed è in questo secondo caso che il quarto brano, con la frase: «Andiamo a bere “3 Gin Tonic” ché niente può andare male», dà la soluzione alla traccia subito successiva, che recita così: «Sono perso anch’io come te». Un intrecciarsi, quindi, di suggestioni e soluzioni che si ritrovano e si richiamano per tutto il disco, percepibili anche con un ascolto distratto e poco attento.
La conclusione con “Babilonia” esplicita la non volontà di un lieto fine: la band vuole rimanere nel disordine, nella confusione caotica e indescrivibile; nel mondo sottosopra che poi così tanto sottosopra non è, in quanto ogni pezzo è posto con accortezza in una posizione che segue un senso logico e matematico, così come quella “Trigonometria”, presente in “Parkour”, che calcola con esattezza le misure che caratterizzano ogni singolo punto del triangolo.