– di Martina Zaralli –
Le cronache fantarealistiche con cui inizio questo mio scritto sono ambientate in un inconsapevole 9 marzo dell’anno 1022. Ah, il Medioevo! Quando l’uomo poteva tutto e la donna niente. Storie che si perdono nel tempo, tra case da rassettare e doti ottenute solo col matrimonio (combinato). Storie di donne ubbidienti. Eppure, una ha sparigliato tutte le carte. Si chiama Elodie. In nome della libertà, dopo aver tagliato le sue vesti ha sfidato il drago del pudore, ballando con sensualità sulle note di una musica che canta pure, “Bagno a mezzanotte”. Sulle torri del castello i cavalieri della tastiera hanno presto brandito al cielo le loro spade-parole, perché nel 1022 la difesa efficace e veloce della fortezza passi per tanti commenti inopportuni. Il fendente: panterona smandrappona. Ti piace? Lo ha usato Dagospia, per le movenze, per l’outfit scelto dall’artista (o da chi per essa), e per altre infinite ragioni obscure anche ai maghi della comunicazione.
Okay. Un elemento del racconto è sicuramente inventato: l’anno. Siamo nel 2022. DUEMILAVENTIDUE. Il commento sgradevole e totalmente fuori orbita rispetto al lavoro della cantante invece è vero. Il caso-Elodie è l’ennesimo punto di una lista lunga (troppo!) di atteggiamenti sessisti e di stereotipi di genere a discapito quasi sempre delle donne. Un pregiudizio cognitivo che nella forma più pop si traduce in una bizzarra equazione: valutazione lavoro = valutazione aspetto fisico (spesso accompagnata da supposizioni sul suo uso), dove l’incognita non ha a che fare con la professionalità.
Cosa avrebbe commentato Dagospia se al posto di Elodie ci fosse stato un cantante non posso dirlo con precisione. Però la possibilità di una direzione diversa da echi denigratori per la persona mi pare alquanto plausibile. E questo sempre per la bizzarra equazione di cui sopra. Ad onor di cronaca, in un primo momento, Dagospia aveva pure cancellato l’infelice uscita; ma alla replica della cantante che ribadisce la sua sacrosanta libertà di fare come le pare e conclude dicendo “scrivere certe cose è proprio da vili”, proprio non ci sta. Che affronto! Smandrappona, sì. Vili, no.
C’è risentimento dunque nella redazione di Dagospia, che rilancia: «Per aver ironizzato sul suo look da Madonna della mutua in modalità spogliarellista nel video di “Bagno a mezzanotte” (Panterona smandrappona) ci ha definito piccoli, vili, confusi, ma minuscoli sono i vippetti che non riescono a reggere una critica, anche ironica, e provano a silenziarla con accuse di “sessismo”, “machismo”, “bodyshaming”» e poi continua con: «Dove “smandrappona” (derivato da “smandrappata”), come precisa la Treccani, significa “mal vestita”. Poderosa sintesi: abbiamo scritto che Elodie, pur gnocchissima, s’era conciata così così… »
Sul perché della scelta di certi epiteti, verrebbe quasi da (s)cadere in quel luogo comune pieno di filari d’uva dove vivono le famose volpi basse, ma alimenterebbe un circolo vizioso e viziato di una comunicazione da strapazzo.