Lo sa bene Alessandro Zannier, lo sa bene Ottodix quanto sia importante il “continuo movimento”, della mente, del corpo, delle cose… del suono. Si è dato appuntamento ogni decade per raccontarci il suo suono scritto e pubblicato lungo il tempo. Lo fece nel 2013 con il disco “O.Dixea – best of Ottodix 2003>2013” e oggi si ripete con questo “Il Milione – best of Ottodix 2014>2024” uscito per VRec Music Label. I singoli, le radio edit, i brani che troviamo in rete anche arricchiti dai video sempre altamente curati da un artista che ha legato tutto a doppio filo con l’arte visiva. E poi l’inedito dal titolo “Marco Polo” che troviamo anche come Lato A di un 45 giri stampato soltanto in 20 copie. Chi si ferma è perduto…
Partiamo dal primo grande concetto che questo disco lo troviamo solo in formato fisico. O almeno così pare… gesto politico?
Beh, diciamo che NON lo si trova su Spotify, piattaforma nella quale sono presente, ma con entusiasmo e dedizione pari a quella che la piattaforma in termini di retribuzione restituisce agli artisti, ovvero quasi zero. Più che altro ho cercato di creare un oggetto che fosse speciale come un cofanetto, un libro antico o un forziere. Le decorazioni in rilievo del packaging del cd danno la sensazione di avere un piccolo diario di bordo medievale, se pur reso moderno nella veste grafica, uno scrigno in cui oltre a ben 17 canzoni e 80 minuti di musica, sono contenute 24 pagine di racconto di una decade di “avventure memorabili” avute con la band e l’Ottodix Ensemble, giunte realmente fino a Pechino, come fece Marco Polo.
Il supporto fisico prezioso è una scelta politica obbligata, per chi come me fa concept album da anni. Ogni album è di suo un film con varie scene, non separabili, con un suo mondo grafico preciso, una narrazione e un tessuto sonoro unitario.
Per questo, anche se è solo una raccolta, ho voluto costruirci attorno un piccolo concept pure qui, dedicandolo a una figura che ha fatto del “diario di bordo” un libro senza tempo. “Il Milione” di Marco Polo è senza dubbio un “best of” delle sue avventure e esperienze più memorabili, oltre che una documentazione di viaggio geostorico. Mi piace l’idea di un personaggio che in pieno Medio Evo trascorreva la parte più florida e vitale della sua esistenza occidentale nell’ignoto oriente, ribaltando i punti di vista del suo mondo e aprendo orizzonti mentali impensabili, cosa utilissima e attualissima anche oggi che ovest ed est hanno ricominciato a guardarsi in cagnesco. Un personaggio non allineato, come mi sento io nel mio piccolo, distante dal mainstream commerciale per i contenuti dei testi e dall’altra dalle e pippe cervellotiche della musica di ricerca o cosiddetta avanguardia, cercando sempre una terza via, che le rielabori in qualcosa di classico e di utile, che indaghi mondi complessi, ma che sia fruibile e divulgabile alla gente.
Il viaggio è il centro. “Marco Polo” lo dice sfacciatamente: chi non si muove è consegnato alla “morte”. Il tempo che viviamo ci sta chiamando sempre più alla stasi, ci vuole fermi a consumare prodotti possibilmente da casa… che mi dici?
Verissimo, è una forma indiretta di manipolazione che trovo terrificante. Anche in natura e per la fisica, l’assenza totale di movimento nel cosmo non esiste, è paragonabile, anzi, è la morte. Questo dovrebbero capirlo i conservatori che vorrebbero tutto fermo al passato. Un mondo fermo che non gira è un mondo morto, come una dinamo che non produce più scintille, energia necessaria alla vita. Tutto sta venendo impostato per essere risolto “con un click”, come se fosse un valore aggiunto. Anni fa, nel 2007, scolpii un gigante da un monoblocco di polistirolo ad alta densità, un uomo-freak del futuro seduto, con un solo piede al centro e due gambe fuse all’altezza delle caviglie, con delle cosce enormi per la troppa sedentarietà, il collo lunghissimo proteso verso il monitor e uno sguardo alienato. Credo che tra un po’ arriveremo a questo. Come se l’avere tutto a portata di un click fosse un vantaggio. Tanto, appena ti si libera un po’ di tempo, il sistema ti ci infla altri bisogni indotti a cui soggiacere, quindi di fatto la nostra vita sarà costantemente impegnata in qualcosa di sempre più “comodo” in cui cliccare e basta sarà la sola funzione utile. Diventeremo un gigantesco dito con un paio di webcam e cuffiette. Questa cosa porta già oggi ad inevitabile atrofia cerebrale, scarso problem solving, perdita dell’interfaccia esperienziale tra corpo e mondo analogico e dipendenza via via crescente dalle applicazioni come fossero protesi cognitive. Non sapremo più nemmeno allacciarci una scarpa senza tutorial.
Muoversi, come dice la canzone, sfidarsi, spostarsi, mettersi in discussione o in gioco sempre, costringe a risolvere nuovi problemi, a inventare nuovi modus operandi, tenersi vivi. Anche il movimento mentale è palestra.
Il vinile 45 giri che in qualche modo fa da ponte tra il primo e l’ultimo brano di questa carriera (almeno fino ad ora s’intende). Come mai questa idea?
Grazie della domanda: innanzitutto ci sono pochissime copie, solo 20 firmate e numerate, una rarità assoluta in via di esaurimento (chi lo volesse può farlo solo scrivendo a ottodixmusic@gmail.com). E’ una release celebrativa per gli stessi motivi di cui sopra, per valorizzare l’oggetto raccolta, come un’emissione a tiratura speciale di un francobollo raro in occasione di una ricorrenza. Ecco, il 45 giri 7 pollici di “Marco Polo”/”Valigie d’aria” ha questo valore. E poi, perché non ne avevo mai stampato uno e da ragazzo li amavo come oggetti.
L’idea della b-side “Valigie d’aria”, una mia canzone del 1998 (qui nella versione riarrangiata per archi nel 2010 dall’ex cantante-bassista della prima ora, Carlo Rubazer, uscitosene dopo il primo album ufficiale nel 2004), è nata esattamente per ricordare gli esordi, allegata al brano nuovo, chiusura di un ventennio, per dimostrare la continuità filologica. Entrambe parlano di utopia e di viaggio.
Questa traccia era uno dei due inediti presenti nella prima raccolta “O.Dixea – Best of Ottodix 2003>2013”, che tuttavia non riuscì a trovare una release come singolo, a differenza dell’altro inedito “Ipersensibilità”. Mi sembrava bello darle una seconda vita, legando in qualche modo anche le due raccolte tra loro. Mentre lo scrivo mi rendo conto io stesso di quanto cervellotiche siano certe mie operazioni.
E poi l’arancione: niente è lasciato al caso con te. Che significato ha?
Devo dire che è nato scorrendo una palette di opzioni guardando il lavoro finito sulla grafica a rilievo. Il packaging doveva dare l’idea un libro antico, ma inserito nella modernità. Il solito color nero austero era troppo inflazionato. Scorrendo le opzioni sono arrivato a questo arancio assolutamente assurdo come colore per un sobrio cofanetto, ma l’effetto sulla stella e sulle grafiche a sbalzo era fortissimo. Un libro antico, ma di plastica, un toy post moderno degno di Bjork (vedi cover di “Volta” o di “Post”). Inoltre è la fusione del giallo e rosso, i colori del dragone e della Cina. Più lo guardo, più funziona. Poi si stacca negli scaffali dei negozi e nelle bacheche delle copertine che è un piacere, cosa che non è sfuggita a quel bravissimo volpone del mio attuale discografico (VREC Music Label).
Che nei prossimi anni di questo futuro, Ottodix faccia musica acustica? Appendiamo i synth al chiodo e…
Direi di no, perché dovrei? Non in termini assoluti, almeno. E’ come dire a un pianista a una certa, di iniziare a fare concerti per clarinetto. Sarebbe un clarinettista mediocre. Ci sono anni di affinamento e di ricerca per arrivare a crearsi un linguaggio proprio, non sarei in grado di dare altrettanta qualità e intensità impugnando altri strumenti, tantomeno delegando altri musicisti. Sarebbe una cosa più loro che mia e finirebbe il mio divertimento nel comporre musica. Sì, certo, io canterei e ci farei un testo, ma mi ritengo alla pari un autore e un compositore, non solo un interprete. Se mi togli una gamba sono zoppo e comunque non mi divertirei altrettanto. Non posso perdere il controllo della parte di composizione e di gioco col suono, è una delle cose più divertenti e gratificanti e specifiche del mio modo di far musica. Per quale scopo, poi? Per produrre altra, ennesima musica acustica, chitarra-voce o piano-voce? Basso-chitarra-batteria? Il motivo per cui mi sono fin da subito avvicinato all’elettronica era perché trovavo quei mondi battuti e ribattuti a sufficienza e sonoramente ormai abbastanza prevedibili, oltre che, al contrario, per la continua varietà di soluzioni che offre la manipolazione coi synth. Posso sempre inserire dentro qualche strumento acustico, come “colore” o tappeti di orchestre, cosa che amo, ma la mia indole synth resta anche la mia cifra stilistica. Certo, all’interno di questa poi ogni album cambia alcuni suoi ingredienti e si sposta.
I grandi cambi li faccio nei contenuti testuali e nella costruzione degli spettacoli live, c’è gente che è molto più seduta sul suo metodo e sulla sua comfort-zone di me, te lo assicuro.
Riguardo alla musica acustica, poi, io già la faccio on stage da 9 anni live con quartetto d’archi e piano, a rivisitare in alcuni momenti i brani già usciti in elettronico. Mi serve per dimostrare a me e al pubblico, che anche al netto dell’arrangiamento elettronico, le canzoni sono ricche di armonie classiche valide. Ma quasi sempre preferisco come versioni ufficiali, quelle con suoni elettronici che sembrano venire da altri mondi.
C’è già talmente tanta buona musica acustica lì fuori, da almeno 60 anni, che mi sembra più sano e originale continuare il mio percorso, pur con tutte le sue variabili e difficoltà.