– di Martina Rossato –
È uscito venerdì 22 ottobre per Bomba Dischi “Lentamente”, l’album di esordio di Nuvolari, al secolo Matteo Pirotti. Il disco, con le sue nove tracce, raccoglie l’eredità del cantautorato italiano attraverso la visione del mondo di Matteo. Una sequenza di brani, prevalentemente lenti, racconta, come un diario, le sue esperienze: i viaggi, la vita da studente pendolare, l’emozione di vivere in una grande città.
Sono molto felice di poter far due chiacchiere con te perché ci siamo già incontrati al Mei, mi sei piaciuto subito e ho colto al volo l’occasione di intervistarti. Era un contesto particolare, in un’estate particolare. Come hai vissuto l’esperienza del festival?
È stato molto divertente perché non ero mai stato a Faenza, non avevo mai visto la piazza, che è spettacolare. Suonare lì è stato molto bello, poi la sera abbiamo mangiato una pasta tipica del luogo, ed è stato molto bello anche quello!
Oltre al Mei, hai vissuto esperienze simili questa estate?
Sì, abbiamo suonato a un evento di Spaghetti Unplugged, che era Spaghettiland. In realtà erano due concerti, uno a Milano e uno a Roma, molto belli. Poi ho fatto un’apertura ad Ariete a Genova, al Porto Antico. Anche lì è stato bellissimo, la location che era veramente meravigliosa: avevamo il porto e le navi che passavano dietro.
È stata anche per te un’estate di ri-partenza o la definiresti più una partenza? Qual era la tua situazione live prima del covid?
Devo dire che prima del covid non ero ancora sotto etichetta, quindi i live che facevo erano comunque sempre in situazioni molto piccole e raccolte. Solo raramente capitava di fare cose più grandi. Già fare questi piccoli concerti a Roma a Villa Ada, a Milano sui Navigli, a Genova sul porto e in Piazza a Faenza, è stato un passo in avanti. Non ho vissuto questo periodo come un rallentamento. Questa è una mia fortuna: l’ho vissuta già come un piccolo step in più.
Quindi hai sempre avuto dei momenti di condivisione musicale, ma più in piccolo. Con chi ti piace condividere la tua musica?
Io suono da molto tempo con i due ragazzi che mi accompagnano. Andrea e Francesco sono della mia città, Piacenza, e facciamo musica insieme da tanti anni, poi suoniamo in giro. Solitamente ci esibivamo qui in zona, con altre band del posto. Per nominarne due, Te quiero Euridice e Ercole: suonavamo spesso con loro e ci divertivamo.
Venendo al tuo album: ascoltarlo è stato come leggere il diario di un ragazzo che racconta la sua vita di tutti i giorni. Non vive a Milano, ma fa molti riferimenti a questa città, come se ci avesse passato del tempo e la vivesse un po’ come la grande città caotica, con un po’ di disorientamento anche.
Sì, è vero. Ho studiato a Milano, ma ho sempre vissuto a Piacenza. Di riferimento stretto a Milano ce ne è uno, in una canzone. Alcune canzoni invece le ho scritte mentre ero in Erasmus a Parigi, quindi ho vissuto di più Parigi come metropoli rispetto a Milano, ma il riferimento alla metropoli c’è e se lo giocano queste due.
Comunque è un album che parla di vita quotidiana. Qual è la genesi di questo disco, in che contesto lo hai scritto?
Sono pezzi che hanno un’età che varia da uno a tre anni. Sono canzoni scritte negli ultimi due o tre anni, e devo dire che in questo ultimo periodo mi sono impegnato per scrivere più della mia quotidianità. Prima scrivevo cose più eteree, quindi ho fatto un lavoro per arrivare a cose più concrete e vicine a me, perché potessi raccontarmi un po’ meglio, quindi questa è la genesi. Solitamente poi scrivo in camera mia, con la chitarra o la tastiera.
Questo album se l’è vissuto proprio tutto, il Covid.
Sì, è stato un bel rallentamento per l’uscita del disco. L’abbiamo visto da vicino.
In una traccia dici di essere “un disastro col tempismo”. Pensi di averci azzeccato in questo caso?
Sì, è assolutamente vero che sono un disastro col tempismo [ride, ndr]. Poi il disco si chiama “Lentamente”, quindi tutto torna. In realtà, ci sono più motivi per cui l’ho chiamato così, il primo è che io sono un po’ lento, pigro; poi perché le canzoni che ci sono dentro sono ballad, pezzi tecnicamente lenti, proprio a livello di bpm e velocità. Sicuramente anche perché nelle intenzioni non è un disco usa e getta. Ognuno lo ascolta come vuole, ma è un disco che si prende i suoi tempi e che si fa ascoltare con le sue tempistiche, in contrapposizione invece al nome di Nuvolari, che è un pilota. È un gioco di parole.
Come definiresti il tuo genere? In “Bambina Vampira” ad esempio c’è una parte strumentale che sembra quasi distaccata dal resto della musicalità del disco.
Per come è il disco, lo definirei pop. Può essere definito cantautorale con sfumature pop, oppure indie con sfumature pop, ma la matrice è sempre quella. Dentro ci sono influenze che arrivano da tutti i miei ascolti e le mie inclinazioni musicali. Ci sono dei momenti in “Bambina Vampira” dove impazziamo – ma l’abbiamo fatto consciamente – e altri come in “Arizona”, dove comunque c’è una chitarra quasi bossa nova sotto. Ci sono un po’ di elementi che rispecchiano i miei ascolti e i miei gusti.
Nel corso di tutto l’album viene sempre fuori questa “tu”. A chi ti rivolgi?
Io penso che l’amore sia un tema di cui si parla nella maggior parte dei brani, ma io lo vivo più come un pretesto per raccontare altre cose. È più un campo narrativo che una dedica. Sono influenzato da quello che ascolto e alla base c’è un’esigenza. Ascoltando canzoni d’amore, mi viene da scrivere canzoni d’amore, ma è solo il “recinto” entro cui dire altre cose su di me.
Ti vedo come un artista molto colorato, questo album è molto colorato. Una traccia è proprio “Blu”, se dovessi dare un colore al tuo disco, che colore sarebbe e perché?
Dico giallo, perché è la copertina. Tutte le uscite sono state accompagnate da delle illustrazioni di Antonio Pronostico, che è riuscito bene a dare i colori diversi a ogni sfumatura. Alla fine la copertina l’ha fatta gialla, a me è piaciuta, direi giallo sulla fiducia! [ride, ndr]
Come è nata l’idea di abbinare ad ogni brano un’illustrazione?
Fin dall’inizio, i ragazzi di Bomba Dischi mi hanno proposto di fare un progetto grafico importante, per rispecchiare l’immaginario onirico/surreale dei testi. Ho sposato subito questa cosa, abbiamo contattato Antonio, che ha fatto un trittico di immagini, che raccontano una storia parallela alle canzoni, per ogni brano uscito. Creano una loro narrativa a sé, che poi concretizzeremo. Abbiamo realizzato dei poster con le grafiche del progetto, in modo da dare uno spazio anche fisico.
Mi incuriosisce sapere come avete coordinato questo lavoro!
Pensa che ancora non sono riuscito a vedere Antonio di persona, ci siamo chiamati, abbiamo parlato molto, prima di ogni disegno ci sentivamo, ci scambiavamo idee. Di solito era lui ad avere le intuizioni, lui ha sentito i brani e poi aveva le sue idee, quasi sempre corrette. Penso la sua bravura sia nell’interpretare anche a modo suo; le illustrazioni sono opera sua anche nell’ideazione, io ci ho messo solo le canzoni.
Cosa vuoi dare e cosa vuoi dire con questo album?
È il racconto, almeno parziale, di quello che sono. Spero che arrivi questo e che magari qualcuno ci si possa riconoscere. Poi spero arrivi anche una cura dei dettagli musicali di questo disco, che è stata una cosa cui abbiamo lavorato con particolare attenzione con Iacopo Sinigaglia, il produttore. Se il disco deve dire qualcosa, è proprio di prendere le cose lentamente, con più calma.
Cosa ti aspetti da questo album, lo porterai live?
Abbiamo quattro date, che partiranno dal 4 novembre a Bologna, Milano, Roma e Torino. Iniziamo da queste date, poi si vedrà, di questi tempi non si può mai sapere!