– di Yna –
“Non dare peso ai problemi”, una dolce carezza per cuori infranti, che si cala nella sincerità dei dolori lentamente, come lentamente arrivano i pensieri tramandati dalle chitarre, gli strumenti dei cantastorie, diremmo noi, dei cantautori. Gnut è un cantautore napoletano davvero unico nel suo genere, che nella musica è riuscito a sintetizzare il mondo del meridione con Nick Drake e Elliot Smith. “Nun te ne fa’” rappresenta l’approccio del sud italia e del napoletano in modo particolare, risultato di un lavoro di scrittura che ha preso il via nel 2014, grazie all’amicizia e ai forti legami artistici stretti con il poeta partenopeo Alessio Sollo e il singer songwriter inglese Piers Faccini. Quest’ultimo, già produttore del secondo album di Gnut “Il rumore della luce”, non solo è produttore e arangiatore di questo disco ma accoglie Gnut nella sua etichetta Beating Drum dal 2018, con l’uscita del vinile in edizione limitata dell’EP “Hear my voice”.
Scrivere per sopravvivere, vivere per scrivere.
Scrivere canzoni è qualcosa che mi ha stravolto l’esistenza. Ho iniziato a 14 anni grazie a mio fratello che mi insegnò i primi accordi alla chitarra. Poi la musica è diventata l’amica, l’amante e la madre che mi ha accudito in tutte le fasi della vita che sono arrivate dopo.
Le canzoni mi hanno salvato da un futuro che non mi apparteneva. Ho frequentato le elementari nella famosa scuola in cui è stato scritto “Io speriamo che la cavo” dal quale è stato tratto poi il film della Wertmuller. Ho trascorso l’adolescenza nei luoghi oggi famosi per “Gomorra”. Avevo una famiglia per bene alle spalle quindi non ho mai rischiato di intraprendere una carriera criminale. Ma quando è arrivato il momento di affrontare l’età adulta le strade che mi si prospettavano erano davvero avvilenti.
Così ho abbracciato più forte la mia chitarra e ho provato in tutti i modi a far diventare quella passione il mio mestiere.
Sono passati circa vent’anni adesso e sono felicissimo di esserci riuscito.
La musica è una forma di riscatto per tutto il meridione, culla della musica italiana che raccoglie un po’ le influenze del Mediterraneo.
Napoli è un porto al centro del mediterraneo. Tutto il sud Italia è una lingua di terra in mezzo al mare.
Storicamente siamo stati abituati ad essere conquistati e contaminati da altre culture. Tutto questo ha generato un patrimonio artistico incommensurabile.
Essere figlio di questa terra è una grande fortuna ma anche una grande responsabilità.
Il sound del disco ha un elemento in comune: la poesia e l’armonia all’insegna però della modernità, un lavoro che realizza l’intento di arrivare senza rinunciare al dialetto e alle radici, atmosfere catartiche, chill, reali. Come ha preso forma questo album?
Quest’album è nato dopo tanti anni di lavoro. Racchiude elementi di diverse fasi della mia vita e carriera.
I primi pezzi che ho scritto per “Nun te ne fa’” sono le due canzoni in italiano che sono nate nel 2014. Poi ho iniziato a collaborare con il poeta punk Alessio Sollo e a musicare i suoi versi. Abbiamo scritto tantissime canzoni che poi abbiamo selezionato e scelto con Piers Faccini che ha prodotto l’album sia artisticamente che esecutivamente con la sua etichetta Francese “Beating Drum”.
Piers ha dato un sound al disco veramente incredibile. Ha suonato strumenti provenienti da diverse parti del mondo donando alle canzoni un suono nomade ed internazionale allo stesso tempo. Da anni portavo avanti una ricerca sul suono che tentava di unire le mie radici con suoni distanti geograficamente da me. Con quest’album finalmente credo di esserci riuscito.
È stato un lavoro di squadra dove ogni elemento è stato fondamentale ed ha avuto un peso specifico enorme.
Quanto credi che l’album sia ancora un modello vincente per far ascoltare la propria musica?
Non sono pratico di modelli “vincenti”. Quindi non saprei. So solo che da inguaribile romantico non riesco a distaccarmi dalla meraviglia del formato “album”.
L’idea di ragionare per “singoli” ed una canzone alla volta solo in digitale magari appartiene di più alle nuove generazioni.
Ma io faccio quello che mi piace e che mi emoziona, non potrei mai farmi condizionare dalle tendenze del momento.
Cosa pensi della musica napoletana contemporanea e del suo ruolo oggi nella musica? Prendendo come esempio gli esponenti della nuova classe di “cantautori” partenopei, come Liberato.
Credo che Napoli sia una città piena di musica interessante. Fortunatamente siamo tutti molto diversi e non abbiamo un sound di riferimento in comune. L’unica cosa che ci unisce è la lingua. Anche se ognuno la usa a modo suo. Recentemente sono stato ad un concerto dei Nu Genea e mi sono divertito molto.
Ho tanti amici che stimo a Napoli ma non mi piace il campanilismo estremo che spesso diventa un limite culturale che ci isola dal resto del mondo.
Amo il confronto e le contaminazioni con ciò che arriva da lontano.