Si resta sospesi e non è solo un gioco di parole per celebrare il titolo del nuovo disco di Nularse, al secolo Alessandro Donin, chitarrista ma devoto discepolo di quell’estetica elettronica che arriva dagli anni del boom e della dance d’autore. Ma non è un disco dance né un disco da rave o da acidi. “Sospesi” è un bellissimo disco di cantautore, tra suoni digitali e liriche assai umane e ricche di quel se che ci viene presentato con i filtri poetici di chi sa giocare di metafore e visioni, insomma testi per niente fedeli alle didattiche di oggi del sole cuore amore che tanto sta tornando di moda. Ed il suono par essere il vero protagonista, visto che le linee vocali non sembra di sentirle in primissima linea a condurre i giochi.
Appunto il suono, dicevamo, rimanda quasi ovunque quel senso domenicale, di sospensione, di silenzio e metropolitana arsura di momenti in cui non accade nulla. Sensazioni di quartieri di periferia, di provincia. E non è un disco solitario, né un disco intimo. È un disco pop, ma la miscela sembra perfetta per fermare il tempo che ormai pretende da noi solo corse e rincorse. “Sospesi” tra l’altro si impreziosisce di una featuring altrettanto “nostalgia” che è il basso di Saturnino. Partiamo dall’estero perché è dalle terre oltre confine che Nularse pensa a quanto sia importante rallentare la corsa…
Partiamo dall’estero. Che intendi per “estero”? Dove hai vissuto (se è lecito chiederlo) e soprattutto come ha costruito la musica che oggi ti caratterizza?
Ho cominciato a scrivere “Sospesi” mentre abitavo a Londra. I brani nascevano dalla mia volontà di unire i vari universi sonori che mi piacciono: elettronica e acustica, potenza delle macchine e calore umano, impatto e delicatezza, tutti elementi che mi appartengono e mi identificano in un gioco di contrasti. Ho composto in una camera di East London, e di sicuro l’energia della città ha influito sulla mia produzione. Ho conosciuto musicisti, suonato in locali e festival, visto decine di concerti interessanti. Ma la mia permanenza in Inghilterra ha influito anche in maniera opposta. Per questo disco c’è stata una prima fase di scrittura in inglese, sulla scia del mio lavoro precedente, Physical Law, ma a mano a mano che passava il tempo, mi rendevo sempre più conto che non riuscivo ad esprimermi appieno e, forse dalla lontananza da casa da cui vedevo le cose con occhi diversi, cresceva in me la necessità di scrivere in italiano, per andare più a fondo nei contenuti, per dire qualcosa di più. È stato complesso, perché l’italiano è una lingua difficilissima da usare, specialmente in un habitat musicale diverso dal solito, ma devo dire di essere felice del risultato. Quindi, paradossalmente, l’estero è stato utile non tanto per imparare cose nuove, ma per scavare più a fondo in quello che avevo già.
E se l’estero non ci fosse stato? Oggi l’Italia che cosa è in grado di dare ad un artista?
L’essere andato a Londra mi ha aiutato a mettere il naso fuori dalla porta. Ho la fortuna di aver sempre viaggiato in vita mia, ma non mi ero mai trasferito per più di un mese fuori dall’Italia. Per me è stato fondamentale per capire di più cosa funziona e cosa non va qui. Attraverso questa esperienza ho capito che fare l’artista in Italia è complesso, sia per un discorso economico (in Germania se sei musicista puoi farti rimborsare i biglietti dei concerti a cui assisti, come un micro-corso di aggiornamento) che culturale (“Ah sì suoni? Che bello! Ma che lavoro fai?”). Ma anche l’estero, più organizzato e preparato e più legato allo show business, non è così accessibile, e se è vero che ci sono molti più soldi che girano, è anche vero che l’ambiente è serratissimo e puoi lavorare anni senza ricavarne nulla. Io ho sempre idea che in Italia, con tutti i suoi problemi e difetti, in qualche modo vieni forgiato per adattarti, è nel nostro spirito. Devi farlo per questioni di sopravvivenza! E allora possono nascere realtà bellissime da nulla, perché è gente che ha fallito mille volte ma alla fine ce la fa. Io credo che il nostro paese chieda tanto ma dia tanto.
Si arriva quindi a questo nuovo disco. Anche tu sei tra i “Sospesi”?
All’estero ero combattuto tra la voglia di buttarmi in un’esperienza nuova e la nostalgia di casa. Sentivo che quel luogo non mi apparteneva e non poteva ospitare il mio futuro, quindi mi sentivo costantemente in bilico. Attraverso queste emozioni ho voluto dare vita ad un disco che parlasse di questo, in un modo universale che potesse arrivare a tutti. Infatti è un album che vuole parlare a tutti, perché siamo sempre in attesa, e io l’ho pensato come disco terapeutico per trovare radici, spero che l’ascolto possa essere una medicina per qualcuno.
E nello specifico, per te che significa questa parola? Musicalmente parlando che definizione prende?
Sospesi è la trasposizione musicale di un fermo immagine di un oggetto lanciato in aria all’apice della traiettoria. Un limbo in cui la nostalgia gioca con il futuro, in uno stato d’animo che ricorda quei dolci attimi passati sotto alle coperte prima del risveglio. Nel brano Tregua parlo di come sarebbe bello andare al largo, galleggiare sull’acqua guardando il sole e lasciando che il fiato si mescoli alla brezza del mare, pensando al passato e al futuro, finché ad un certo punto decidi di non farlo più, di goderti il presente, e di non farti più male a pensare a tutte le cose che ti circondano.
Dobbiamo citarlo: Saturnino fa capolino in questo disco. Come sei arrivato a questa collaborazione ma soprattutto perché in quel brano soltanto?
Saturnino ha ascoltato un brano che era contenuto nel mio disco precedente, “Oh Song”. È rimasto molto colpito e ci siamo incontrati per scambiare due chiacchiere. Ripensare a questa cosa mi riempie d’orgoglio, perché non è cosa di tutti i giorni vedere il bassista più famoso d’Italia entusiasta di quello che hai fatto. Da lì è nata la successiva collaborazione per “È tutto qui”, brano del nuovo disco, dove Saturnino fa le magie per cui è famoso, col suo tocco inconfondibile.
Ho desiderato curare questo disco dall’inizio alla fine, esclusa la parte di finalizzazione con Edoardo Fracassi di Fresh Yo! Label. La collaborazione aggiunge un tocco in più, ma di base è un disco intimo in cui volevo affrontare le mie emozioni.
A chiudere: Alessandro Donin come e perché diventa Nularse?
Sono nato e cresciuto in una piccolo paese a sud della laguna di Venezia. Una città complessa e dalle mille sfaccettature come solo le città di mare possono essere. E la complessità porta a nutrire una certa varietà di sentimenti, perché la gente che abita vicino al mare ha sedimentati dentro di sé il viaggio, l’esplorazione, ma anche la nostalgia di casa, il ritorno. Con il mio progetto ho voluto portare in musica questa complessità: cercavo una parola che avesse dei legami con la mia terra ma che potesse anche darmi una certa libertà artistica, e così Nularse, che infatti significa “rannuvolarsi” nel mio dialetto, e nonostante abbia una sonorità internazionale mi permette di avere più possibilità espressive racchiuse in una cornice che mi identifica.