Tornano le atmosfere nostalgiche e retrò con cui NOSTROMO ci aveva conquistati nel 2019 con il primo album “Minuetto“, caratterizzato da dieci tracce in equilibrio tra un presente denso di ricordi e di attese piene di sentimento. “Cambi Stagionali”, anticipato dal singolo “Amarti”, una ballad pop terribilmente intensa e un po’ spregiudicata, è la conferma e testimonianza dell’indiscussa capacità dell’artista di dipingere con i suoni e le liriche il suo mondo fatto di ricordi, di vecchie e nuove consapevolezze e di paure: sono canzoni nate da storie che hanno urgenza di essere raccontate ma, soprattutto, ascoltate.
Un disco certamente più maturo in cui, ancora una volta, Niccolò unisce abilmente musica, parole e interpretazione, su un letto di suoni in cui chiari sono i rimandi alla musica italiana degli anni ’60, ’70, impreziositi da elementi di elettronica.
Imperdibile, abbiamo deciso di intervistarlo. Curiosi?
Quale fascinazione potrebbero avere gli anni Sessanta e Settanta per chi è nato negli anni Duemila? In cosa credi possiamo riscontrare influenze e sound da quel periodo nella scena musicale contemporanea?
Personalmente, da inguaribile romantico, ho sempre guardato con fascino ciò che è lontano da me. Gli anni ’60 e ’70 rappresentano senza dubbio un momento di rottura, crollano i valori e scoppiano i colori, si respira aria buona e si apre una breccia nel cuore e nella mente dei lavoratori. È senza dubbio un periodo storico che attira (almeno visto da lontano). Ci sono artisti molto bravi che ripercorrono quell’immaginario musicale e in qualche modo ho cercato di compiere lo stesso lavoro. Spogliare i brani, destrutturarli, incastrare arpeggi ed archi. Amo il cantautorato di quel periodo e ho cercato, insieme a Giordano Colombo ed ai miei amati Tonni, di respirare quell’aria.
Ti senti effettivamente parte di questa scena contemporanea? Quali sono le difficoltà di fare musica nel 2023?
Mi sento parte di questa scena contemporanea, probabilmente proprio a causa dei miei testi che mi lasciano sempre insoddisfatto. Oggi sembra tutto così superficiale ed egoriferito, manca quella personalissima analisi del mondo, il coraggio di parlare di tanti altri aspetti che colorano le nostre giornate. Fare musica nel 2023 è strano, ma almeno abbiamo tutti e tutte la possibilità di dire la nostra. Però ci sono tanti aspetti che ti fanno sentire costantemente sbagliato, come la disapprovazione sui social, il mancato ingresso nelle famose playlist editoriali e le scarse possibilità di portare live la propria musica. Detto ciò, non so bene come andavano prima le cose.
Ti avevamo lasciato alla pubblicazione di “Minuetto”. Che cos’è cambiato nel frattempo? E come una pandemia globale ha cambiato il tuo approccio alla musica?
Credo ci sia stata una maturazione personale, un nuovo modo di vedere alcune cose che per quanto a volte sia doloroso in realtà mi piace. Minuetto si è portato via, insieme alla pandemia, una parte fanciullesca di me. Sono passato dall’essere uno studente (laureato in pieno lockdown), ad essere un lavoratore. Devo ammettere che all’inizio lo stacco si è fatto sentire, ora va bene così, ho preso le misure e resto dritto quanto basta.
Perché definisci “Cambi stagionali”, il tuo nuovo album, un lavoro “senza troppe pretese”?
Cambi stagionali non ha pretese velleitarie. È più una sorta di analisi degli ultimi anni, un cercare di allontanarmi dall’ossessione del giudizio degli altri (e su un brano in particolare sono sicuro di aver fallito).
È forse un caso che questo disco è uscito durante la settimana di passaggio tra inverno e primavera? Com’è stato il tuo personalissimo cambio di stagione?
Devo ammettere che è stato un caso, però ci calza a pennello. La primavera rappresenta per me un momento di rinascita e in qualche modo anche il disco ha svolto quella funzione. Però, nonostante le belle parole, vi lascio con una citazione che ho stretta al cuore. Si tratta dell’inizio del poema “La terra desolata” di Eliot : “Aprile è il mese più crudele, genera / lillà da terra morta, confondendo / memoria e desiderio, risvegliando / le radici sopite con la pioggia della primavera”. Alla fine ogni primavera porta con sé una nuova illusione.