Il nuovo disco dei NODe è intrigante trasgressione, innovazione digitale e quel sapore “acustico” qua e la a far tener i piedi fermi immobili sul terreno conosciuto. Si intitola “Human Machine” e ve ne parliamo oggi su ExitWell con un’intervista realizzata con Mr. Lub Vic, tra le colonne portanti di questo progetto che negli anni ha visto sagomare i suoi contorni fino all’avvento oggi di batteria acustiche con l’ingresso di Andrea Vinti e sezioni di voci femminili di Gaia Fusco e Simona Coppola. Ma alla parola NODe dobbiamo associare davvero tanto altro…e mi raccomando che sia tutto poco attinente alla realtà.
Con questo disco accostate all’elettronica imperante anche tracce di strumenti reali. Come mai questa “rivoluzione”?
Il disco precedente, come il titolo lascia intendere (“Tragic Technology Inc.”) era completamente incentrato sul rapporto con la tecnologia dominante e come tale doveva suonare, “Human Machine” parla di una macchina umana, ma non intesa come un semplice rapporto uomo-macchina, bensì come un complesso di organi e pensieri, come qualcosa di perfetto ma allo stesso tempo di perfettibile, suscettibile a difetti ed errori, per questo motivo l’impiego di strumenti suonati da uomini era necessario. Il sapore che può dare l’esecuzione umana a qualunque cosa non potrà mai essere eguagliata dalle macchine, almeno non nel futuro prossimo.
Quanto conta per voi la melodia “pop” in un brano musicale oggi? In altre parole, nella continua sperimentazione che fate, quanto conta lasciare comunque un appiglio di normalità?
La melodia nei nostri brani è in realtà l’unico appiglio alla normalità da te citata, vuole essere la caratteristica riconoscibile in un universo straniante, che tende a creare mondi artificiali, situazioni paradossali, quindi un vettore che possa veicolare il messaggio si rende necessario. Siamo un gruppo che fa musica, ci piace sperimentare ma allo stesso tempo siamo consapevoli di voler comunicare all’ascoltatore il nostro mondo e per farlo devono esserci degli elementi riconoscibili in modo universale, la melodia lo è da sempre.
“Human Machine” vi sta regalando le soddisfazioni che inseguivate?
Human Machine è un disco intimamente importante, parlo in prima persona (Lubvic) in quanto autore dei brani. Non è nato per una scelta, non per uno scopo artistisco preciso, quanto per un bisogno interiore. Si tratta di una concretizzazione di sentimenti, paure, ansie, una lettura introspettiva per poter mettere ordine in ciò che accadeva, ed allo stesso tempo un messaggio globale indirizzato ad una persona alla quale ho sperato di poter comunicare ad un livello più istintivo. Cercare un senso in tutto ciò che ci accade.
Tenendo presente tutto ciò, personalmente, sono soddisfatto, per quanto riguarda i traguardi ottenuti con il gruppo, in realtà ci saremmo aspettati una risposta un po più ampia da parte del pubblico italiano, ma c’è sempre tempo per rompere la diffidenza.
Ha pagato il pubblicare un disco a così breve distanza dal precedente?
La domanda che ci stiamo ponendo in questo periodo non è se ha pagato da un punto di vista temporale, ma se lo ha fatto da un punto di vista spaziale. Cerchiamo di essere più chiari, siamo stati molto soddisfatti della risposta avuta per il precedente disco nel resto del mondo, abbiamo superato le perecchie decine di migliaia di download ma di questi, in Italia, la percentuale è stata infinitesima, la stessa cosa, purtroppo, sta accadendo per quest’ultimo disco. Che l’Italia non sia pronta alla musica di respiro più internazionale? Ci auguriamo che le cose cambino quanto prima.
Pariamo di attualità: oggi che senso ha fare un disco?
Bella domanda che meriterebbe pagine e pagine di approfondimento. La situazione discografica mondiale è da tempo ad una svolta, sembra difficile capire che direzione si dovrà intraprendere ma sicuramente il concetto del disco in quanto completamento di un percorso artistico temporaneo sembra ormai superato. Le forme di comunicazione ed i modi in cui lo si fa si sono frammentati, i tempi diventano sempre più frenetici e l’attenzione del pubblico tende a restringersi sempre di più. Probabilmente da qui a breve noi stessi cambieremo modo di proporre la nostra arte, forse con uscite più frequenti e con contenuti legati a vari media piuttosto che alla sola musica.
Angelo Rattenni