Disco di perlustrazione a-temporale dentro caverne e introspezioni, polverizzando retaggi culturali e pregiudizi educativi. Con “Eremo”, il secondo disco del duo Nitritono, si torna alla pietra e alla nuda terra, dentro il suono gutturale di un noise di scuola “classica” (le virgolette sono dovute sempre) in cui non si cerca affatto la rottura delle forme e degli stili ma in qualche misura si celebra la semplicità di un suono nativo, primordiale, narrativo nelle sue visioni intrinseche. Lunghe pennellate di psichedeliche matrici di suono, pareti alte ed ostili, irraggiungibili roccaforti dentro cui rintanarsi prima che arrivi il vero futuro robotico a spazzare ogni cosa. Le voci sembrano mantra antichi e nel suo complesso questo “Eremo” è un disco di sospensione e di ricerca dentro cui lottare contro se stessi prima di ogni altra cosa.
ll noise nella sua accezione più didascalica. Quanto si rende sociale una forma del suono di questo tipo? Cosa c’è dietro una parete del suono che rispecchi la quotidianità secondo voi?
Per me personalmente credo che fare un certo tipo di musica sia una valvola di sfogo assolutamente necessaria. Nel sociale non saprei dirti, ma mi sento di dire che ogni volta che ci troviamo in saletta o facciamo concerti mentalmente mi sembra di stare meglio. Non so se sia “sociale”, ma sicuramente ci fa stare bene.
Mi piace molto la copertina. Ci racconta la vostra origine, la vostra terra o è un messaggio globale? Ci ricorda da dove veniamo?
Grazie mille! Diciamo che abbiamo pensato di usare questa opera di Land Art di Cristina Saimandi semplicemente perché rappresentava un po’ una nostra passione, cioè quella del camminare e dello stare in solitaria in mezzo alla natura. La scultura è un dittico fatto con dei rami che potete trovare nella Alpi cuneesi. Io personalmente non lo vedo come un messaggio globale, però ognuno vede un po’ quel che vuole vedere quindi è interessante pensare che in qualche modo tu abbia visto ciò.
E in generale per voi cosa sono le radici? Perché sono radici… o sbaglio?
Come detto prima si sono più dei rami, però assomigliano a delle radici. Secondo me la cosa importante è sentirsi vicino a un qualche cosa o qualcuno. Per quanto Cuneo non sia il top della movida o altro, ho un legame davvero intenso con il territorio e con le realtà musicali della zona. Peccando di terribile campanilismo, la band che sono uscite negli anni nella “ridente Granda” mi hanno sempre alleggerito il vivere qui e non fuggire altrove. So che è bene poco, ma in qualche modo sono completamente legato a questa realtà di provincia e non riesco ancora a sradicarmi.
In due momenti di questo disco, in particolare, la voce arriva, come suono, come corona di suono, come urlo antico… anche qui non posso non chiedervi a cosa si torna o a cosa è giusto guardare.
Siamo nati come duo strumentale, la voce è arrivata in un secondo momento e l’idea è sempre stata quella che fosse più un terzo strumento, piuttosto che il “classico” elemento vocale. In questo disco, la lontananza e l’inserimento della voce dentro gli strumenti vuole raffigurare una sorta di eco lontano, quasi una voce di una foresta o di uno spazio naturale
Ci sembra che in “Panta Rei” avete osato giocare di più con i colori, con le dinamiche. Qui siete decisamente più devoti ad un “Eremo”. Sbaglio?
La cosa che ci interessava in questo disco era fare qualcosa in cui la consolazione e il compromesso fossero completamente assenti. Dovremmo esserci riusciti (spero). Più avanti magari ci alleggeriremo… chissà!
Ed è inevitabile tornare al video di “Costa Da Morte”. Citandovi in qualche modo: anche nella solitudine c’è la quotidiana battaglia dell’individuo…
Sempre! Rubo una citazione di Kirk Windstein (mente dei Crowbar): “You don’tneed an enemy to fight a war”.