– di Riccardo Magni.
Foto di Liliana Ricci –
Il nuovo album di Nicolò Carnesi, “Ho bisogno di dirti domani”, è uscito l’11 ottobre scorso per Goodfellas e come previsto, ha raccolto pareri positivi da critica e pubblico, pronti entrambi anche ad accogliere e seguire i cambi di direzione nella musica del cantautore. Cambi che poi in realtà, restano ben saldi ad una coerenza artistica ed intellettuale ben riconoscibile, guidati da un pensiero che nella sua aperta elasticità continua a dimostrarsi estremamente saldo. Nicolò Carnesi è un cantautore ed una persona che pensa, abituata a pensare partendo da basi culturali ed umane di spessore. Per lui ad esempio, “il tempo è solo una sovrastruttura”, ma resta un elemento ricorrente nei suoi pensieri e nelle sue canzoni, tanto da diventare il concept del nuovo album. “L’adesso” non esiste ed anche questo ha solide basi di appoggio come vedremo, che comprendendo il non troppo difficile concetto espresso, difficilmente potranno essere smentite. Ma è un tempo, appunto, da cui Carnesi si estrania per guardarlo da un diverso punto di vista, esaminarlo in un diverso (o in diversi) sistemi di riferimento.
E quando è così, quando le basi culturali e intellettuali del pensiero sono solide, al di là dei gusti personali di ognuno che possono o meno incontrare la sua modalità espressiva, è difficile che i risultati possano essere opere banali, con poca o nulla profondità e zero prospettiva. Lo si sente dalle canzoni, lo si percepisce ancora meglio nei dialoghi.
L’ultimo dei quali, è stato proprio in occasione dello showcase a Roma, nello spazio del Goccia bistrot, dedicato al suo nuovo album, il quarto, presentato ancora una volta da un dialogo ma con Dente, oltre che dall’esecuzione live ovviamente di alcuni brani in esso contenuti.
Una serie di presentazioni prima dell’uscita del disco in cui i nuovi brani hanno suscitato una reazione nel pubblico. Come l’hai percepita?
È interessante perché appunto non essendo ancora uscito il disco, è più un interesse a quello che potrò raccontare, e da parte mia è divertente e interessante raccontare qualcosa che ancora deve uscire, per poi un po’ suonarlo, perché comunque ho suonato almeno mezzo disco nelle presentazioni. Le reazioni mi sono sembrate positive sempre, si è creata la giusta curiosità, la giusta voglia di ascoltare, c’è interesse verso i temi trattati che comunque sono molteplici e vari.
Le ultime volte che siamo venuti a sentirti, suonavi da solo in location più piccole, una dimensione più intima. Stavolta, tornerai in tour in full band…
Quella era la parte finale del tour di Bellissima Noia, e avevo pensato di suonare e raccontare le canzoni un po’ come erano nate. Adesso c’è invece bisogno di portarle dal vivo con una carica emotiva diversa che solo un concerto può dare, con il loro bel vestito originale. Quindi si, ho bisogno della band e da novembre cominceremo a far sentire questo disco dal vivo.
A proposito del disco, che inizia con una bella intro strumentale (come si faceva una volta) dal titolo “Presente”, la traccia finale è “Passato”. Il concept del disco è il tempo, ma “Futuro” la collochi nel mezzo…
Il concept è il tempo ed è assolutamente circolare. Mi piace immaginarlo come una sorta di Nastro di Möbius, qualcosa che si interseca continuamente, non c’è una vera direzione. Per questo comincio dal Presente, che rappresenta un po’ l’adesso. E l’adesso non esiste, quindi non c’è un testo. Non è solo un ammiccamento al passato, a quando i dischi cominciavano con un’intro, ha anche un suo valore.
“L’Adesso non esiste”, appunto, lo sosteneva già Socrate: è solo una parola inventata per dividere gli attimi passati (da molto o da un istante) da quelli futuri (tra dieci anni come tra mezzo secondo). Ma potremmo ricollegarci anche ad una lettura del tempo di tipo relativista, alla fisica quantistica, alla teoria della relatività… Concetti che mi pare di capire, ti affascinano abbastanza. E come vivi il tempo, se lo vedi da questo punto di osservazione?
Assolutamente, è proprio una delle cause della mia scrittura quel modo di intendere il tempo. Come lo vivo? In maniera contraddittoria, relativa. Ma come ognuno di noi in realtà. A volte il tempo è un macigno proprio perché non riesci a fare qualcosa nella tua quotidianità che te lo faccia passare in fretta, essendo appunto relativo non solo rispetto allo spazio, ma anche alla nostra mente: il tempo per come lo percepiamo, fondamentalmente esiste nel momento in cui esiste il tuo essere, il tuo cervello. È quindi una continua contraddizione, un continuo saliscendi, non è un cronometro che va sempre allo stesso tempo. Non va proprio a tempo, si muove, cambia.
È questo non sapere bene cosa sia il presente, che ce lo rende così difficile da vivere? Ragioniamo su attimi passati mentre pensiamo a quello che sarà il prossimo futuro…
Si, è una continua proiezione avanti o indietro, non puoi proiettarti esattamente nel punto in cui sei, la tua mente non lo concepisce e lavora da sola. Io sto pensando in questo momento a come risponderti, non alla tua domanda in se ma a quello che devo dire, e continuo a farlo mentre parlo. È un riflesso incondizionato.
Quindi è da sempre così? Non è “solo” una malattia dei nostri tempi.
È così. Adesso ci si ragiona sopra un po’ di più, ed abbiamo capito meglio il concetto di tempo a livello fisico e matematico, però fondamentalmente succede questo da sempre, tanto che hai citato Socrate, non a caso.
Visto che il tempo è circolare, torniamo al disco. Ci sono due tuoi singoli che non sono entrati in questo disco, ma nemmeno nel precedente: Spogliati (uscito a giugno), e tornando indietro, Motel San Pietro (ottobre 2017). Motel San Pietro in particolare però, col senno di poi, potrebbe essere stato una sorta di esperimento propedeutico a questo disco? Non c’è come brano, ma c’è tanto che è venuto da quel brano…
Hai capito benissimo! In realtà Motel San Pietro lo considero il finale di questo disco: c’è il Passato e poi ci sarebbe Motel San Pietro, che è una storia totalmente avulsa dal tempo, l’ho sempre presentato così. Tra l’altro il pezzo l’ho scritto nel 2017, quando avevo già cominciato a scrivere questo disco, però mi serviva pubblicare qualcosa per capire se la direzione poteva essere adatta, capita… E mi piace pensare che il primo pezzo uscito non sia nemmeno nel disco, ma che comunque sia coerente con tutto quello che racconto in Ho bisogno di dirti domani e addirittura lo vedo appunto come una sorta di finale, di postfazione.
Coerente nei temi ma anche nei suoni. Anzi, consideriamo sempre il concetto di tempo relativo: in Motel San Pietro la sperimentazione sonora è spinta molto in là, quindi può essere stato uno slancio molto in avanti, un paletto piantato più lontano, per poi posizionare il disco a metà tra quello ed un cantautorato più classico che era tuo nei dischi precedenti. E appunto nella tua lettura, facendo invece un percorso inverso che non tiene conto della data di pubblicazione, potrebbe benissimo essere il punto di arrivo estremo per la sperimentazione crescente del nuovo album. Come hai detto tu, la conclusione.
Nel disco mi divido un po’ tra i due mondi. Motel San Pietro era un’estremizzazione, una canzone d’autore totalmente smembrata e cantata nella maniera più “malata” possibile, con vocoder, autotune, voce che scompare e riappare… Lì chiaramente c’è stata l’estremizzazione di qualcosa che in questo disco ho dosato un tantino di più, tranne forse per Passato, che è il pezzo sotto questo punto di vista più sperimentale, in cui di nuovo torno a rompere un po’ i canoni della canzone classica, non ha un ritornello preciso, e la voce continua a spezzarsi e diramarsi in varie direzioni.
Ricordo che di Motel San Pietro poi, raccontavi di esserti divertito con le reazioni spiazzate di quelli a cui facevi sentire il pezzo prima della pubblicazione. Stavolta com’è andata? Che riscontri hai avuto circa la sperimentazione che hai portato avanti?
Beh diciamo che li ho abituati. Quel pezzo ha fatto capire che la mia estetica poteva anche diramarsi verso quei mondi. Io non mi sono mai posto dei limiti, non voglio fare dischi che ripetono altre cose che ho già fatto, voglio lasciare libera la mia fantasia. Se voglio “spippolare” con la voce, voglio permettermelo. D’altronde è un bel lavoro proprio perché deve servire la tua idea di arte, la tua fantasia.
Pensi quindi sia possibile che con quello che hai iniziato in Motel San Pietro e proseguito in questo disco, abbia anche tracciato una via, una direzione che stai prendendo per il futuro? Oppure, per come dici, potrebbe cambiare tutto di nuovo?
Non ne ho idea, per quanto ne so potrei scrivere un pezzo funky dance anni ’80… Non lo so, non mi pongo degli obiettivi né dei limiti sotto questo punto di vista, quello che mi va di fare, lo faccio, è stato sempre così. E spero di non perderla questa caratteristica, perché è proprio quello che mi fa divertire.
E se posso permettermi è anche quello che ti caratterizza in un panorama che attualmente sembra un po’ omologato.
Sembra ristagnare un po’, questo è vero. Poi al momento attuale ci sono troppe cose veramente uguali. Ce ne sono di molto belle, ma ce ne sono anche di così derivative da essere non dico noiose, ma non rilevanti, non interessanti. Almeno al mio orecchio, ovviamente.
Ed anche nel cercare di essere alternativi in modo costruito poi, a volte, si finisce per inseguire certi canoni ed omologarsi, di nuovo.
È inseguire il successo fondamentalmente che frega un artista. Tu non devi sapere nulla quando scrivi un disco, che so, di quale sarà l’ufficio stampa. Il problema di adesso è che pensi prima a quello. Io non sapevo nemmeno cosa fossero le edizioni o la SIAE quando ho cominciato a scrivere canzoni. Ma è quello che ti deve spingere, è scrivere per scrivere, poi dopo arriva tutto il resto e devi cominciare a farti una cultura su quel mondo. Invece adesso arrivano da te dei diciottenni, non in tutti i casi è così per fortuna ma a me è capitato, che chiedono “ma che ufficio stampa mi consigli?”. Ma hai scritto canzoni? “Si, una”. Che senso ha? Quel lavoro è importante, ma prima ce n’è uno fondamentale che è la tua ricerca, la tua ricerca artistica.
È uscito il disco, sta per iniziare il tour. Ti senti addosso un po’ di… come dire… sai l’ansietta?
Ma io sto in ansia sempre, è proprio la mia vita, la mia ansietta ce l’ho sempre. Quindi non cambia con la prospettiva di fare musica, anzi forse mi sento meglio, non provo quella fibrillazione. Magari si, prima di un concerto sento l’adrenalina, ma non l’ansia di fare quello che mi piace. Forse in passato mi è capitato, ma adesso no, sono proprio contento e carico, mi piace. La musica è un rimedio all’ansia.