– di Martina Rossato –
Nicholas Marconcini, o più semplicemente Nicholas, è un cantautore di Milano. “Parole poco libere” è il suo primo singolo, in collaborazione con Filippo Colombo. Il brano è una power ballad impreziosita dalle chitarre elettriche che sottolineano la volatilità di due sguardi che s’incrociano come scintille per poi perdersi in nulla di fatto.
Di solito associamo le “parole” all’espressione “libertà di parola”. Invece le tue parole sono poco libere. Perché?
Questa canzone si è sviluppata in due momenti diversi. Uno a fine 2016, quando l’ho scritta. In quel momento provavo una forte rabbia per una persona verso la quale non mi riuscivo ad aprire e il motivo per cui non riuscivo a farlo era la mia paura, paura di ricevere un no come risposta. L’altro nel 2019, quando l’ho ripresa in mano. Nel corso di questi anni, quello che ho capito è che aprirsi è una cosa che va fatta non solo per una questione di chiarezza nei confronti degli altri, ma soprattutto per noi stessi. Essere chiari ed esserlo di fronte alle persone che amiamo, che poi significa essere veramente quello che siamo, penso sia qualcosa che alla lunga fa stare bene anche noi stessi.
Tra l’altro secondo me rendi molto bene l’idea con l’immagine di copertina!
Quando è iniziato questo progetto, che include anche la copertina e il video, volevo che messaggio fosse coerente sotto tutti i punti di vista. Poi volevo che ogni strumento a modo proprio rappresentasse il concetto della canzone quindi abbiamo pensato insieme ad altre persone, di sviluppare il concetto che prima ti dicevo in foto.
Un’altra foto che ho visto è quella con il tuo volto un po’ spezzettato, in cui ci sono varie parti spostate e mancanti. Ti senti come se dovessi rimettere a posto dei pezzi?
Quella era una possibile foto copertina, infatti il messaggio non cambia. Mi piace perché anche quella descrive come mi sentivo quando ho scritto questa canzone. Quando non riesci a capire bene chi sei o vuoi dire delle cose ma per paura non le dici, ti senti un po’ incompleto con te stesso. Senti che ti mancano alcune cose. Se oggi quel puzzle fosse ricomposto sarebbe perfettamente in ordine, in quel momento invece mancavano delle parti.
Ci sono dei momenti in cui senti le tue parole come molto libere? Ti piace scrivere racconti?
Quando mi metto a scrivere, è sempre un momento di libertà. Anche se la canzone parla del momento in cui non ci sentiamo liberi, quando mi metto sulla mia scrivania con la mia penna, con la mia chitarra, lì mi sento completamente libero di dire quello che penso, cosa che nella società di oggi non è sempre facile. Quando sono nella mia camera, lì le parole sono completamente libere, anche perché se non lo fossero non avrebbe senso scrivere e non riuscirei nemmeno a scrivere. La scrittura per me è proprio questo: quel momento in cui faccio mia una situazione e poi la racconto.
Ci sono altre passioni che hai e attraverso le quali ti piace raccontarti?
La fotografia che il cinema sono modalità di espressione che a me piacciono, perché mi incuriosiscono. Per queste dimensioni, come per la musica, cerco sempre di trarre ciò che mi emoziona e di raccontarlo tramite una canzone. Tornando al discorso di prima, se vedo qualcosa che mi piace, lo faccio mio e poi lo riracconto a modo mio, inserendolo nella copertina o nel video.
A proposito del video, come è nato?
Quando è stato annunciato che la canzone sarebbe uscita, mi hanno proposto di fare anche un video. Non era una cosa obbligatoria. Siccome è un momento che aspetto da tanto e tenevo molto alla canzone ho deciso di far uscire anche il video. L’idea è nata in poco tempo: nel giro di una settimana io e il regista del video abbiamo pensato a come potesse essere il video. Volevo che anche il video fosse coerente e che facesse emergere il significato. Per questo anche grazie al regista, Leonardo Cavalieri, abbiamo pensato di raccontare la storia attraverso due mondi: uno più reale e l’altro metaforico. Attraverso il primo, il protagonista rincorre la ragazza che gli piace: la vede, vuole conoscerla, ma non ce la fa, ha troppa paura. L’altra dimensione è quella delle due sedie, una posta di fronte all’altra. In questa dimensione, su una sedia c’è sempre la ragazza, l’altra sedia invece è volutamente lasciata vuota. Il fatto di sedersi sulla sedia rappresenta l’aprirsi di fronte a chi amiamo. Nel video ci sono il protagonista e la coscienza del protagonista (che interpreto io), che provano diverse volte a sedersi su questa sedia ma non ce la fanno. Nel momento in cui poi mi siedo sulla sedia, questa scompare. Questo significa che non abbiamo infinite possibilità; vale per la canzone come per tutte le circostanze della vita.
Sei mai riuscito a sederti su quella sedia?
In realtà sì, nel senso che la ragazza di cui parlo nella canzone è anche la mia attuale fidanzata da ormai quattro anni. Nella vita di tutti i giorni è un pochino più difficile, nel senso che aprirsi tutte le volte non è così facile. Come già dicevo, una volta che capisci che aprirsi è una cosa che serve a te in primis viene più spontaneo.
“Parole poco libere” è il tuo primissimo singolo. Come ti senti?
Guarda, ero e tuttora sono, incredulo. Devo ancora bene capire che una cosa che ho scritto io, nella mia camera, è uscita ed è alle orecchie di tutti. Era un momento che mi aspettavo veramente da tanto. Mi sono approcciato per la prima volta alla musica all’età di undici anni e da quel momento ho iniziato anche a scrivere. Ho scritto numerose canzoni e sapere che una di queste, che le mie parole siano ascoltate da tutti, è una sensazione veramente indescrivibile. Ogni tanto ci penso e mi fa strano, in senso positivo ovviamente.
Come ti sei avvicinato alla musica?
La figura che mi ha avvicinato alla musica è stato mio zio. Da piccolo seguiva programmi musicali, come Sanremo, e mi metteva sul divano a guardarli con lui. In particolare, durante Sanremo 2011, vedendo i cantanti sul palco sono rimasto folgorato. In quel momento ho pensato tra me e me che volevo emozionare, come mi stavo sentendo io in quel momento. Da lì ho cominciato a scrivere le mie canzoni, con una chitarra mezza scordata. Non sapevo suonare ma volevo cantare qualcosa. Poi ho iniziato a prendere lezioni di chitarra, ho suonato due anni in una band, ho suonato in un po’ di locali milanesi. Adesso ho avuto la possibilità di emergere con il mio singolo.
Hai detto che hai scritto tanto. Hai altre canzoni in mano adesso?
Di canzoni ne ho veramente tante. Ho circa sessanta canzoni nel cassetto. Scrivere è una cosa che mi viene naturale e che mi piace fare. Ogni tanto sono cose di cui voglio parlare, a volte invece mi metto lì con la chitarra in mano e vengono fuori da sole. Adesso come adesso sono contento di questo momento e voglio godermelo. Voglio godermi ogni attimo, ogni intervista, ogni opinione di chi ascolta la canzone. Ma ho già altri progetti e non vedo l’ora di farli uscire.
Dove ti vedi tra qualche mese o anno? Parlavi di Sanremo, è un tuo sogno?
Spesso viene fuori questo discorso su Sanremo. Penso che Sanremo sia per alcuni cantanti il punto di arrivo, per altri il punto di partenza; credo che noi italiani dovremmo andare fieri di Sanremo, è una grande occasione per chi si esibisce, ma è qualcosa di straordinario anche dalla parte dello spettatore. In generale, tra qualche mese spero di trovarmi di nuovo a fare qualche intervista, a parlare delle mie canzoni. Sicuramente indipendentemente da come andrà, mi vedo sempre con la chitarra e la penna in mano.
Sei molto legato a Sanremo. C’è un artista che ti ha influenzato in particolare?
Sono molto ispirato più che altro dal genere sanremese. Le mie canzoni seguono un po’ quel tipo di struttura, tipica delle canzoni di Sanremo. Aprono con una strofa molto tranquilla, seguita da un crescendo. Questa struttura mi viene automatica. Quanto ad artisti, quando scrivo difficilmente penso a un cantante. Cerco di trarre il meglio da ciò che mi emoziona, quindi se una canzone di un ragazzo emergente (come potrei essere io) mi piace, magari cerco di emulare. Poi sicuramente nelle mie cuffie ci sono i cantanti di Sanremo come Renga, Ultimo, Ermal Meta, andando più indietro con gli anni, Mia Martini.
Mi sembra che tu abbia quasi un rapporto migliore con il silenzio che con i discorsi fatti di tante parole. C’è un posto o un’occasione in cui ti piace metterti lì e ascoltare il silenzio?
Io sono una persona che tende a stare per le sue. Dopo un po’ che sono in mezzo alla gente ho bisogno di stare un po’ in disparte, questa cosa mi porta spesso a scrivere. In generale, la stessa camera da cui ti parlo è quella in cui scrivo dove mi metto anche nel momento in cui sto creando qualche canzone e ho bisogno di prendermi una pausa. Poi mi piace stare sul balcone a prendere fiato; soprattutto di sera, che rappresenta per me la pace interiore. Penso alla giornata, alle cose che ho fatto e che devo fare, ai progetti. Per me rappresenta il riassunto della giornata ma soprattutto il mio momento di pace.
Chi è Filippo Colombo?
Io e Filippo ci conosciamo da molti anni, andavamo a scuola insieme ed è stata la musica a farci legare. Abbiamo iniziato a lavorare sulle mie canzoni quando avevamo quindici anni. Le mie canzoni sono quello che mi è sempre importato, ancora più che cantare cover di altri cantanti e lui è stata una delle prime persone alle quali mi sono aperto. Abbiamo iniziato a trovarci di pomeriggio in camera mia, a provare, a suonare insieme. Nel 2019 abbiamo avuto l’idea di cominciare a registrare qualche canzone, tra cui “Parole poco libere”. Abbiamo quindi deciso di registrare la canzone con Andrea Brussolo, il produttore. Non avevamo un’idea precisa, volevamo solamente qualcosa che rappresentasse la nostra infanzia. Dopo poco è scoppiata la pandemia. Lui oltre che fare musica, fa il volontario in ambulanza. Questa attività, soprattutto ultimamente, porta via molto tempo, ma abbiamo deciso di fare uscire la canzone come feat. in virtù della nostra amicizia e di tutta la musica che abbiamo condiviso in questi anni.