– di Roberto Callipari –
Sono passati cinque anni da “Vivi muori blues ripeti”, penultima fatica dei Bud Spencer Blues Explosion, il dinamico duo formato da Adriano Viterbini (chitarra) e Cesare Petulicchio (batteria), ma i due artisti non se ne sono stati con le mani in mano.
Tra tour e studio, hanno attraversato questo lustro preparando l’uscita che, da oggi, è finalmente nelle orecchie di un pubblico che ha davvero bisogno di sentire “Next Big Niente”, perché è un lavoro sorprendente, psichedelico, lisergico, pieno già di quella energia tutta Bud Spencer Blues Explosion, ma proiettata in un altro mondo, nel quale si affaccia, si cala e prende a piene mani per poter rielaborare e lavorare in maniera del tutto nuova, imparando un’altra lingua, nuova e sconosciuta, della quale si presentano come massimi esponenti, se non altro perché se la sono letteralmente forgiata.
È così che “Next Big Niente” arriva a raccontare nuovi orizzonti. In una scena così autoreferenziale Adriano e Cesare, per quanto non vogliano assolutamente rinnegare nulla del loro passato, hanno bisogno di sperimentare, di esplorare i limiti della scrittura e della musica suonata, vagando in suoni che appaiono distanti ma che, una volta capiti e accolti, hanno tutto il modo di arricchire la loro discografia di orizzonti e idee. Non che quest’ultime siano mai mancate ai due, ma è evidente, come ci hanno raccontato nell’intervista che segue, che la voglia di fare qualcosa di diverso era davvero troppa per tenerla a bada.
Siete carichi per l’uscita?
Cesare | Sì, ci state caricando voi [ride, nda], nel senso che da che da quando facciamo le interviste abbiamo i primi feedback reali sul disco. È bello perché sono punti di vista esterni. Noi abbiamo il nostro, interno, dopo due anni e mezzo di lavoro, ma è importante vedere cosa ne pensa la gente, è figo.
Il disco è blues, perché siete i Bud Spencer Blues Explosion, ma è molto elettronico. Ci date qualche reference?
Cesare | Non ce ne sono, ma non perché abbiamo segreti. Alla base ci sono, ma è un po’ difficile anche per noi andare a scovarle, perché l’album è stato frutto di un percorso molto lungo, e noi ci abbuffiamo di musica. Questa cosa dell’elettronica è l’unica su cui mi viene da appoggiarmi dato quello che dici, perché ne abbiamo ascoltata tanta, in senso molto ampio, dall’ambient al minimal, fino ad arrivare alla techno, ma ci siamo ispirati all’elettronica forse più in quanto alla costruzione del pezzo, andando oltre la forma canzone canonica. Poi sicuramente il fatto di dare un suono a chitarra e batteria che non ricordassero quello di chitarra e batteria porta in quel mondo, ma non è stata una cosa forzata, è stato un gioco che abbiamo provato a fare, magari aprendo delle strade che poi mettevamo da parte anche per lunghi periodi. A volte non abbiamo ascoltato pezzi anche per mesi, e quando li andavamo a riaprire ci davano delle sensazioni positive, ci è piaceva l’esperimento che avevamo fatto, lo sentivamo ancora nostro e abbiamo continuato il quella direzione. Per altri pezzi che non sono entrati nell’album non era così, per cui li abbiamo lasciati andare. Facendo tutto da noi per la prima volta abbiamo avuto la possibilità di lavorarci tanto, in maniera anche temporale.
Infatti mi soffermerei un secondo sulla lavorazione, che dev’essere stata un’esperienza totalizzante, che vi ha visti autori, musicisti, produttori e con Cesare anche addetto al mix: sembra quasi abbiate concepito e cresciuto un figlio!
Cesare | Io ne ho due di figli ed è un po’ diversa come cosa [ride, nda], però non c’era quella pesantezza che di solito trovi nel fare un disco, nell’aspirare a essere tipo quello o aspirare a un posto in quella playlist o in quella classifica: no! Noi abbiamo veramente fatto sperimentazione artistica insieme e fino all’ultimo momento non sapevamo nemmeno se farlo uscire il disco. Avevamo fatto uscire dei singoli, con i primi due usciti a maggio, e in quel momento “Next Big Niente” non era ancora concluso: avevamo delle registrazioni ma non eravamo convinti. Quando poi abbiamo raggiunto un numero di canzoni che ci sembravano stare bene insieme – cosa molto importante perché il disco è un contenitore di canzoni ed è un viaggio, abbiamo deciso di racchiuderle in questo disco. È stato più “un proviamo a vedere cosa esce se ci lasciamo andare e non pensiamo a niente” e, come dice il titolo, “se partiamo da un foglio bianco”. Abbiamo fatto finta che fosse il nostro primo disco o quasi, perché è il primo disco di due persone che suonano insieme da diciassette anni, e logicamente hai un’identità sonora, anche di groove, non necessariamente sui suoni, anche proprio di andamento del groove. Abbiamo lavorato tantissimo, insieme e separati, anche nello stesso studio e in studi diversi.
Il lavoro del solista comporta delle cose, lavorare in band ne comporta altre, ma voi siete un duo: c’è differenza? Cosa comporta?
Adriano | Dipende. Io penso sempre che se le cose vengono con facilità vuol dire che le cose vanno bene, sono naturali e c’è una magia. Quando le cose non hanno questa facilità si può fare magia allo stesso modo, magari avendo delle antenne un po’ più ricettive. Se invece non vai d’accordo le cose non le fai. Queste credo siano un po’ le tre modalità del lavoro in due, perché non essendoci un intermediario che magari può comunque soddisfare tutte le esigenze e farle convivere devi avere la fortuna di gestire al meglio la situazione e riconoscere le differenze e renderle proattive. Quindi quando le cose vengono facili naturalmente la porti a casa, ma quando non è così serve il tempo, serve essere aperti l’uno con l’altro, anche magari di togliere, o saper buttare delle cose… Ecco, secondo me una cosa molto importante che ti insegna il lavoro di band in generale – che è un lavoro molto sporco, eh – è togliere da te stesso, perché se non lo fai e provi ad importi non fai il bene della band, magari fai il tuo bene, ma che alla band non importa: il gruppo è un’altra cosa. Invece quando non vai d’accordo forse lì hai ancora più l’occasione per capire di più sul gruppo. E poi vabbè, c’è la quarta possibilità: i gruppi si lasciano! [ride, nda]
Cesare | Lavorare in funzione di qualcosa, che sia la canzone o il disco, significa che si sta cercando di creare qualcosa che sia per la band, e devi essere aperto a capire che magari quella parte di batteria che hai fatto è meravigliosa, ma non c’entra proprio nulla con quella canzone.
Come si arriva a un disco così soprattutto dopo il lavoro precedente? Anche perché era molto diverso da questo…
Adriano | Forse ci si arriva proprio perché l’altro disco era un po’ una specie di punto di arrivo di un certo tipo di immaginario. Poi onestamente non abbiamo troppo riflettuto su questa cosa, abbiamo semplicemente notato che c’erano delle cose che ci piacevano di più, con le quali ci potevamo esprimere meglio e con le quali potevamo andare più a fondo. Abbiamo utilizzato una palette di suoni che, come artigiani, siamo andati a cercare in giro, che magari ci hanno aiutato a capire delle cose, ognuno col rispettivo strumento, proprio nella forma dell’immaginario musicale. Quindi una volta che tu hai più strumenti e più capacità espressive ti rendi conto che è bello poterle usare, e quando una cosa del genere ti fa vibrare e ti fa sentire bene e al centro del presente è quello l’importante. Io penso che la musica quando guarda troppo al passato o quando vuole guardare troppo al futuro è un po’ strana, mentre il nostro presente aderisce perfettamente a quello che poi tra l’altro a noi piace. È stato un processo naturale: se avessimo fatto un disco in un altro modo non saremmo stati contenti.
Cesare | Forse non l’avremmo fatto in realtà…
Adriano | O magari non l’avremmo proprio fatto, sì…
La necessità di tanti suoni così diversi è allora la ricerca della libertà.
Adriano | Ma in realtà non è una roba che tu vai in giro e ti compri cose. A un certo punto ti accorgi che hai tot anni e che è dentro la tua testa… Ecco, vedi, per me è stato così: “come faccio a rappresentare questa cosa che ho in testa?” e ho visto che magari c’è quel pedale che fa quella cosa lì o quel plug-in che fa quell’altra. E quindi è successo così. È come se ti servissero parole nuove per esprimerti.
C’è un dato di questo disco che trovo molto interessante, ovvero che è un disco simmetrico o complementare – decidete voi, perché avete inserito dieci tracce, cinque delle quali con testo e cinque senza. È qualcosa di voluto o è stato puramente casuale?
Cesare | In partenza si voleva alternare lo strumentale al pezzo col testo nell’uscita dei singoli, come si fa coi dischi in cui lato A ha testo e il lato B no. Poi, davvero per caso, ci siamo accorti che in realtà il disco, dopo la scelta della scaletta, aveva questa struttura. Ci abbiamo messo tanto però a fare la scaletta e a scegliere l’ordine dei pezzi. Quando, ascoltandolo dall’inizio alla fine, abbiamo trovato un giusto equilibrio ci siamo fermati. Comunque, che io ricordi, è assolutamente casuale. Però vedi, se ci pensi, è un equilibrio ed è giusto, perché tutto torna, è matematica la cosa.
Però il pezzo d’apertura, “Big Niente” è nato come tale.
Cesare | Avevamo fatto un’improvvisazione un paio d’anni fa in uno studio, ovviamente Adriano ed io, e il nome del file riportava “Impro al buio”, perché avevamo iniziato col sole, ma alla fine non si vedeva più nulla in studio perché era arrivata la sera – il tutto comunque durato una mezz’oretta, e questo pezzo non l’abbiamo più sentito per un anno e mezzo. Poi poco prima di chiudere il disco abbiamo riaperto il progetto e quella mezz’ora è diventata due minuti e mezzo. L’abbiamo totalmente rivisto, c’è qualcosa che è stato mantenuto, ma abbiamo aggiunto molto in più, e una volta finito ci sembrava rappresentasse bene l’idea dell’album, motivo per il quale l’abbiamo chiamato “Big Niente”, pensandolo come una palette di colori che viene mostrata prima di essere usata nel resto delle canzoni, visto che sono gli stessi suoni che poi torneranno in tutti gli altri pezzi. Essendo l’ultimo pezzo chiuso e registrato ci sembrava interessante riprendere quei suoni. È il primo ma è l’ultimo.
È curioso, nel vostro racconto, che si mostri tanta libertà nel fare le cose come volete, tanto nei suoni e nella scrittura, ma anche nel prendervi il vostro tempo quando ne avete bisogno. Ma al tempo stesso bisogna notare che cinque anni di assenza dall’ultimo lavoro sono tanti. Come mai tanto silenzio? Anche qua: è stata una scelta consapevole?
Adriano | A parte questioni legate al Covid e al mondo che stiamo vivendo, penso che è importante vivere la vita, riempirsi di vita – in un certo senso, per poi avere cose da raccontare. Anche uscire un attimo dal loop disco-tour, recuperando e cercando quei momenti di scrittura in cui l’album, nella sua lavorazione, torna un momento illuminato, ma anche misterioso, dando il meglio, senza caricarlo di ansie o di aspettative. Penso faccia un po’ la salute dei musicisti.
Cesare | Ma sì, poi dopo tanti anni la band diventa un’entità a sé. Noi abbiamo anche altri progetti in cui facciamo cose anche molto diverse, e quindi diciamo che la band va anche rispettata. Si prova allora a fare roba, ma se non la reputiamo gratificante o all’altezza di quello che noi pensiamo essere “i Bud” perché farla uscire? È un peccato. Quello che volevamo fare era dare una fotografia di quello che noi siamo adesso, o meglio, quello che siamo stati negli ultimi due anni, visto che col disco fuori ora siamo un’altra cosa ancora, però l’importante è che quello che è uscito ci faccia pensare che ci rappresenta al cento percento. Questa rappresentazione può essere condivisibile o meno – e speriamo di sì, perché significa che il disco sta piacendo, però anche non fosse noi siamo veramente soddisfatti di aver raggiunto questa maturità e questa consapevolezza, perché è data logicamente anche dall’età: a ventisette anni non hai una consapevolezza della musica, del tuo strumento, della tua band, e non è questione di tecnica o chissà che. È solo consapevolezza di quello che sei, e penso che ci sia nel disco: i pezzi hanno sì mille colori, ma conservano il nostro lo-fi, la nostra “grezzetta”, che poi è quella che abbiamo sempre sul palco. Spero e credo che siamo riusciti a trasmettere tutto questo.
All’ascolto si nota comunque una gestione del mix che non è propriamente italiana, ma molto internazionale.
Cesare | Queste scelte sono condizionate molto da quello che ascolti, anche se non ti concentri molto su un genere, ed è normale che con un certo background quando vai a fare la tua musica se ne esca influenzati in qualche modo. Ma questo vale tanto quando suoni dal vivo che quando sei in studio.
Come nasce il pezzo con Umberto Maria Giardini?
Adriano | In realtà quel brano lì nasce su WhatsApp. Ci siamo mandati dei messaggi per divertirci e fare degli esperimenti con le liriche, il tutto senza musica, finché, a un certo punto, ci presenta il testo dicendoci di farci ciò che volevamo. Ed era chiaro fosse un blues. “Come un raggio” ha quella struttura, molto semplice e che potrebbe essere suonata anche con una chitarra acustica, però poi è stato interessante vedere che il testo funzionava anche con l’arrangiamento che sentite su disco, senza perdere la naturalezza che lo caratterizzava.
State preparando il tour?
Cesare | In realtà veniamo da un po’ di date fatte questa estate, quindi il tour, da un punto di vista almeno musicale, è più meno pronto, anche se aggiungeremo delle cose. Le date fatte questa estate ci sono servite anche a capire cosa togliere e come un po’ “aggiornare” i vecchi pezzi. Poi sicuramente stiamo rivedendo la scaletta per prepararci al meglio per i club, perché suonare l’estate nei festival implica che magari devi anche tagliare delle cose, perché dividi il palco con molti altri artisti, mentre, ovviamente, il palco tutto per noi ci da modo di fare qualcosa di più completo, anche visivamente. Partiremo quindi l’11 novembre da Torino e finiremo a Roma il 21 dicembre: sono un bel po’ di date, belle compresse, “old school”, nel senso che saremo proprio in giro a suonare.
“Next Big Niente” è il nuovo disco dei Bud Spencer Blues Explosion uscito oggi per La Tempesta Dischi. Dieci tracce spaziali, pronte ad impattare sulla scena come un meteorite, a dimostrare, ancora una volta, tutta l’indipendenza del duo alternative italiano.