Delicato e decisamente rivolto alla forma “pop”, sempre con le dovute virgolette a contorno proprio perché a questa parola, come diremo poi nell’intervista, sembrano esserci rimandi e diversi piani di lettura. Gialuca Lo Presti torna con il suo moniker Nevica. Torna con il suo suono personale, con la sua scrittura, con il suo modo di pensare alla forma. Esce “QuaNti” ed è un disco che sembra nebuloso, sospeso, di una psichedelia dolcissima e melodiosa, quasi che il nostro abbia abbandonato le ricerche di forme alternative e abbia arrestato la corsa poggiandosi per un momento a riprendere fiato. Attorno il mare, una pianura, attorno una grandi città in silenzio. Attorno l’osservazione e poi chissà…
Nuovo disco per Gianluca Lo Presti. La curiosità inizia dal moniker Nevica che persiste anche per questo disco. Ma vista la “rivoluzione” delle tue abitudini, non ci stava un altro moniker come hai fatto in passato? Un Nevica 3.0 magari…
Il nome Nevica ormai racchiude le mie due facce musicali; quella della sperimentazione elettronica noise e quella del cantautorato. In passato il 4.0 rappresentava il periodo anagrafico della produzione. Ora penso sia più opportuno usare un unico moniker al di fuori del tempo! Nevica è una sintesi di tutto quello che sono dal 2007 in avanti.
Perché un disco come “QuaNti”? Da cosa nasce? Oltre che dal dolore personale intendo…
Fare un disco in ricordo di mio padre mi è sembrato un gesto naturale per ringraziarlo di tutto l’aiuto che mi ha dato permettendomi di fare il musicista di professione. Oltre a ciò è un disco che parla del fatto che esistono cose nella vita che non dipendono da noi e non si possono cambiare. La morte appunto. Si può imparare ad accettarle così come sono e convivere con l’esperienza formativa che ci lasciano dentro. Nel mio caso essendo un musicista ho fatto un disco.
Ispirazioni e radici… a chi devi un grazie per averti illuminato una via possibile?
Ho sempre pensato che ognuno di noi riceve una chiamata dall’alto che gli assegna un ruolo da compiere sulla terra e che ci rende degli intermediari di forze superiori. Ciò non lo intendo in modo religioso ma piuttosto spirituale. John Cage diceva che siamo come antenne di una radio che capta delle frequenze che trasmettiamo sulla terra. Non c’è nessun merito in tutto questo se non il fatto stesso di assecondare questa chiamata e non opporvisi. Detto questo chi mi ha illuminato credo abbia acceso in me cose che già erano li pronte per rivelarsi. In assoluto la prima volta che ho sentito “Bandiera Bianca” di Battiato alla radio avevo 14 anni e sentii che dovevo fare anch’io lo stesso percorso. Quindi ringrazio il Maestro per avermi guidato e voi per questa bellissima domanda.
Ti sei girato a guardare il mood della scrittura in direzione del “pop”? È una prova o una via che cercherai di percorrere anche in futuro?
Guarda è una domanda che mi sento fare spesso con questo disco e ne rimango sempre disorientato…..(risata!) perché in realtà detesto il pop e lo rifuggo il più possibile. Ma se molti di voi giornalisti sentono qualche influenza pop in questo disco la accetto volentieri (sorriso). Forse per la melodia della voce ma come scrittura cerco sempre di destrutturare la canzone arricchendola di sonorità non tipiche del genere stesso. Perché la mia indole è andare per vie trasversali non seguire mai sentieri battuti.
Per questo non potrei mai essere pop come ideologia….chissà forse qualche elemento inconscio….o forse il cercare nonostante tutto un linguaggio per essere più facilmente compreso (quello del pop appunto) ma mai per una scelta commerciale.
La sperimentazione dentro questo lavoro? Che spazio le hai dato?
Credo che in questo disco ci sia una sintesi dei miei lavori precedenti. La sperimentazione ha sempre un ruolo importantissimo nella mia musica. A volte compro nuovi sintetizzatori o effetti proprio per cambiare sonorità e creare qualcosa di nuovo apposta. Per quanto mi riguarda usare sempre le stesse macchine porta ad un appiattimento delle idee e del suono.
Invece nuovi strumenti mi stimolano subito cose a volte incredibili al punto che un pezzo nasce in 5 minuti! In questo disco nello specifico ho usato le percussioni al posto della batteria ma le ho distorte per amalgamare il tutto verso una direzione di bassa fedeltà. Diciamo che la mia forma di sperimentazione in questo disco sia stata creare canzoni a bassa fedeltà.In questo l’approccio col digitale è importante perché ti permette di “distruggere” il suono in pochi secondi creando atmosfere spesso molto evocative.