Esce oggi per ODD clique il nuovo singolo di Rbsn, Muro, un viaggio fra sonorità blues e jazz che proietta l’artista romano in luoghi lontani.
– di Roberto Callipari –
Ad accompagnarlo in questo ritorno un artista rivelatosi uno dei più interessanti fra le nuove scoperte, Marco Castello, che unisce alla solita classe di Rbsn tutta la sua peculiarità, in un brano che unisce siciliano ed inglese in una maniera tanto naturale da sembrare quasi scontata. Abbiamo chiamato allora Alessandro, Rbsn appunto, per farci raccontare meglio il brano e i progetti per il futuro.
Come procede col lavoro?
Sto collezionando delle informazioni, detta in soldoni. Spiegandolo: sto scrivendo molto e sto lavorando con sempre più gente diversa a livello di genere, quindi da Lauryyn a Triglia, ma anche Valori e molti altri, sia per strumento, livello, genere, lingua e così via. Quindi sono sicuramente molto divertito. Ma ecco, sto collezionando.
E fra poco “collezionerai” anche un featuring particolare con Marco Castello. Ci vuoi raccontare com’è nata questa collaborazione?
In realtà in maniera super organica e naturale. Abbiamo un amico in comune, che si chiama Federico Zanghì (che tra l’altro è nel collettivo di ODD clique, la label che si occupa della release del singolo) e, di passaggio per Catania, dove avremmo suonato il 10 novembre del 2022, andammo a Siracusa, ovviamente ospiti di tutta la squadra di super musicisti che è lì, non solo Marco, ma anche Erlend Øye, i Nu Genea e così via, e siamo entrati in un mondo stupendo. Approfondendo la scrittura di Marco – che io già conoscevo e mi piaceva e così via, abbiamo fatto un ritiro nei pressi di Scilla, in Calabria, e in un pomeriggio quel pezzo si è scritto da solo.
Converrai con me che, agli occhi del pubblico, una collaborazione fra di voi può sembrare strana, anche nuova.
Per un esperto del genere, che mi conosce già e non conosca solo Marco che, grazie ai suoi album, ha già un’esposizione diversa dalla mia, magari non è così strana, ma per qualcuno che mi conosce meno magari lo è. In generale ho cercato di immaginarla da un punto di vista più esterno, anche quasi dall’estero, e la trovo comunque una cosa nuova, un po’ bizzarra, ma bella. Io il siciliano con l’inglese non l’avevo mai sentito [ride, ndr].
Un featuring come questo appare come qualcosa dal respiro internazionale, nonostante sia perfettamente calato nella nostra scena, soprattutto se si pensa che apparentemente tu e Marco sembrate molto lontani ma, soprattutto all’estero, i mondi sonori da cui venite, per quanto diversi, sono molto vicini.
Spero che questo sia un modo non per portare la musica italiana all’estero, ma per aprire un canale in Italia verso l’estero. Noi stessi sentiamo un sacco di band che usano l’inglese o altre lingue che provengono da mondi molto lontani, non vedo perché l’Italia non possa allora essere uno di quei luoghi dai quali parte musica che poi va in giro per davvero.
Com’è stato unire la scrittura in inglese a quella in siciliano?
È stato molto facile, perché eravamo in un contesto amichevole in una casa allestita a studio, quindi ci siamo presi del tempo per noi stessi, Marco ed io, su di una base che c’era già, un arrangiamento nostro di un ritornello, e poi siamo ritornati cercando l’incastro. Ma è stato molto facile perché, non sapendolo, abbiamo preso la stessa direzione, anche se il botta e risposta che si sente è stato molto cercato; quello era l’obiettivo e da lì siamo andati ad intuito pure, che è stata la cosa bella.
Sposare la scrittura in dialetto può sembrare un limite, ma se prendiamo l’esperienza dei Nu Genea, che ormai sono famosi in tutto il mondo, e se vediamo tutto quello che è successo in seguito, in realtà questo connubio fra inglese e siciliano rischia di dare un ulteriore esempio di quanto le potenzialità musicali del nostro paese siano ancora davvero infinite.
Beh sì, fra di noi se n’è parlato, e quello che ci eravamo ripromessi era di lavorare sì col dialetto, non in modo macchiettistico ma, come fanno i Nu Genea, facendolo in un modo che valorizzi il folklore e la cultura, ma andando comunque oltre, standoci dentro, ma da lì partire e usarlo come parte di un contesto per trovare qualcosa di diverso. Doveva essere una cosa viva.
Nel giorno dell’uscita presenterete anche il brano al Lanificio di Roma. Come vi state preparando?
In realtà è una serata molto interessante, anche perché ci sarà anche Mansur Brown, il chitarrista che suona di solito con Yussef Dayes, che per me, da chitarrista e studioso dello strumento, è stato un ponte importante per arrivare a delle cose meno formali e più viscerali. Quindi sono molto contento, anche perché si parla di una scena importante, che ho toccato con mano quando studiavo e cerco sempre di portare con me nel suono che cerco. Ci sarà Marco con me, ma anche Emanuele Triglia, Federico Romeo e Pasquale Strizzi, e sarà una festa anche per celebrare l’etichetta, ODD clique, nella speranza che sarà un bel viaggio.
Com’è nata la collaborazione con Odd Clique?
Odd Clique è nata due anni fa fra me, Giulio Pezzi, Federico Zanghì e Vasco Alessandrelli. Io lavoravo con tutti loro singolarmente per Rbsn, il mio progetto, ma sentivamo fosse utile solo per quella direzione, soprattutto perché facevamo le serate; queste serate hanno attratto delle persone e si è creato un giro di artisti che venivano da percorsi simili e background simili, dal quale abbiamo tirato fuori un direttivo che si occupasse di spiegare meglio cosa succedeva, cosa facevamo e cosa ci piaceva. Stiamo cercando di fare qualcosa che movimenti, almeno culturalmente, le nostre vite. Cerchiamo qualcosa che sia autentico e libero e che incontri il nostro gusto.
Il singolo uscirà anche in vinile, con un lato B che potremo ascoltare esclusivamente nel formato fisco.
Il lato B si chiama Babanero, misterioso come il suo nome. È stato molto bello perché lì si è manifestato il momento di comunità, con Zanghì che dice che avevamo da parte un giro molto bello in una jam che avevamo fatto proprio in quella sessione in sud Italia. In poche ore ne è nato quel brano per noi meraviglioso. È nato a Scilla ma è stato chiuso a Roma.
Spontaneità come parola d’ordine del nuovo progetto, quindi.
Mah, più che altro direi necessità. Babanero è una mediazione fra noi che suoniamo e che vogliamo fare musica e un mondo che è nel club, che è molto divertente e stimolante perché è molto condiviso, un viaggio in comune.
Appartieni a un mondo sonoro che, in questa fase, non è proprio del nostro paese ma, nonostante tutto, esistono progetti come il tuo che arrivano e che godono di una vita nuova e diversa. Pensi che in questa nicchia stia succedendo qualcosa? Che idea ti sei fatto, da dentro?
Non lo so, io sono molto confuso. Quando ero “pischellissimo”, diciotto o diciannove anni, tutte queste strutture non c’erano. La musica te l’andavi a trovare nei luoghi underground, a vedere persone che nessuno conosceva con quattro gatti. Ora ci sono più realtà, si lavora di più e meglio, e in realtà sono contento, perché c’è un bel marasma, anche se alcune cose non sono molto chiare: credo che ci sia un po’ più bisogno di unirsi un perché, se penso all’Italia, c’è un filone, ma siamo tutti un po’ disgregati. Prendi quello che è successo con la trap: si sono messi tutti insieme, unendo il pubblico, e si sono presi tutto quello che c’era da prendere.
I disegni per il futuro di Rbsn?
Sto scrivendo molto e devo registrare molto, anche se ho già dei singoli fatti e finiti. Avremo delle uscite regolari fino a giugno, poi lo scoprirete. Spero di far uscire quanto prima un nuovo disco.