“Pezzetti” è un libero processo di associazioni, tra vita vissuta e allegorie narrative. È un disco esteso, ampio, sospeso dentro sonorità che non cercano alcuna rivoluzione ma fondono assieme ispirazioni, dischi fatti propri, elettronica mai invasiva e uno storytelling dai contorni inglesi. E poi davvero sembra nascere, come dicono loro, da una casa in disordine alla fine di una festa. Si raccolgono cose, testimonianze, impressioni, visioni e poi le immagini, i personaggi e il corredo utile a sentirsi parte del tutto. Fa ordine nel caos. Una canzone d’autore corale a firma di Matteo Ficozzi e Tommaso Bitossi dentro cui ognuno di noi raccoglie le cose importanti per se. “Pezzetti” è un bel disco leggero di musica d’autore italiana di questo futuro digitale.
Matteo Ficozzi e Tommaso Bitossi. La vostra press page lascia trasudare un importante viaggio visivo dentro le vostre canzoni. Come nasce dunque “Pezzetti”?
“Pezzetti” nasce come una raccolta di storie allegoriche dove abbiamo nascosto le nostre vite. Avevamo bisogno di comunicare queste storie e al contempo proteggere la nostra intimità.
Così abbiamo pensato che scrivere canzoni come fossero favole fosse una via giusta: molteplici chiavi di lettura, ma un solo significato. Strizzare l’occhio all’ascoltatore, che se ha gli orecchi giusti per intendere, intende. Tutte le immagini presenti sul disco sono passate prima dai quaderni sotto forma di storia o disegno come fossero parte di un grande film, in un lasso di tempo abbastanza grande. Raccogliere questi pezzetti e ordinare le idee è stato il La al disco che potete sentire oggi.
Ma esiste una visione, un momento, una sensazione che più di altre ha fornito la chiave di lettura per tutto il resto?
Durante la pre-produzione del disco ci sono stati diversi momenti illuminanti, ma quello che pensiamo essere più significativo è quando abbiamo scritto Gold, il brano che chiude il disco.
C’erano otto canzoni che parlano di desideri, conflitti o di un atteggiamenti remissivi e autodistruttivi fino a quando nel mezzo abbiamo visto nascere un brano che chiudeva la porta a queste storie e le guardava da lontano. Spesso quando si parla della propria esperienza si cerca il potere esorcizzante della musica e penso che Gold incarni proprio questo: In quel momento gli otto brani nati con tempi ed intenzioni diverse, cominciarono a diventare sfumature di un’unica grande esperienza e quella canzone finale ne decretava la fine.
E come avete incontrato poi l’elettronica e la produzione di tutto il disco?
La musica elettronica è sempre stata una tentazione alla quale volevamo cedere. Le atmosfere che intendevamo creare per queste storie dovevano avere ampi orizzonti e una natura eterogenea.
Quindi sarebbe stato inopportuno non affiancare al basso ed alla batteria, che sono gli strumenti che io e Tommaso suoniamo dal vivo, anche tutta una tavolozza di colori derivati da synth e drum machine. Infine una chitarra prima eterea, che serpeggia nella coda dei riverberi, poi diretta e distorta per un suono più “in faccia”, secondo le necessità narrative del brano.
Tutto questo è stato il frutto del lavoro in studio, una produzione corale tra noi e chi ci ha aiutato in questo lavoro al Labella Studio, Renato D’Amico e Alessandro Moscatelli.
Indie pop che ancora una volta cerca radici nel passato. Che rapporto avete con il pop degli anni ’80 e ’90?
In parte lo abbiamo vissuto da ascoltatori ed è stato naturale catturare un certo stile musicale “vintage” all’interno del disco insieme agli ascolti più freschi.
Nella musica lo spirito di Revival, se fatto in maniera giusta, è il motore del progresso stilistico. Spesso attuato nell’impossibilità della realizzazione di una copia perfetta, negli “errori” quindi.
Speriamo con questo disco di aver fatto gli errori giusti.
E quasi non stupisce trovare quasi su tutto il disco una linea di voce corale. E qui il richiamo a gradi stili è immediato. Decisamente inglese il tutto… diteci la vostra…
Abbiamo sempre avuto una forte devozione per la musica inglese, più che per uno stile particolare, per il modo di fare musica. In “Pezzetti” è presente questa influenza, nei cori come hai giustamente notato, così come certe sonorità sviluppatesi lì nei primi 2000. Ovviamente c’è altro, i testi in italiano pesano sull’altro piatto della bilancia, ma un disco che nasce dal disordine come un collage di immagini e testi, non poteva non avere una sola fonte di ispirazione.