“Kid’s Dream” è il debut album di Mr.D, moniker dietro il quale si cela Daniele Fioretti, artista marchigiano che vive in continuo movimento tra le città d’Europa come musicista “one man band” con la sua chitarra e come tour manager per i tour europei di alcune band internazionali. Il disco, uscito il 29 aprile per la Bloody Sound Fucktory e prodotto da Loop Collective, è stato anticipato dal singolo “Wonderful Stranger”, accompagnato dal video.
“Kid’s Dream” è una raccolta intima di storie che nascono dai viaggi di Daniele, dai confronti con le centinaia di persone incontrate lungo la sua strada, dalle molteplici preziose esperienze vissute in prima persona e dalle sue radici. Con “Kid’s Dream” Mr.D ci apre le porte del suo mondo fatto di rock e di blues, di quel suono nato in America per raccontare le proprie storie vissute sulla strada di kerouacchiana memoria. Il suono di una chitarra con il riverbero della stanza e una voce che graffia il nastro, quasi a riportarci alla sensazione delle registrazioni su nastro analogico.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui.
In che modo il mood e le atmosfere marchigiane si collegano con quelle delle grandi città d’Europa? E com’è la scena musicale delle Marche?
Un mood vero e proprio non lo so se ci sia, non credo nei confini al di fuori di quelli mentali.
Il collegamento potrei essere io, nel senso che amo tantissimo le Marche: ogni volta che per il mio lavoro parto e mi allontano dalla mia terra (e lo faccio con grande entusiasmo perché conosco persone e realtà sempre diverse) non vedo l’ora di rimetterci piede.
Infatti il viaggiare così spesso mi ha fatto riscoprire casa, apprezzandola nel bene e nel male. E, al contrario, casa mi fa amare il viaggio e le esperienze e le nuove consapevolezze con cui mi arricchisco ogni volta.
La scena musicale nelle Marche, come nel resto d’Italia, soffre: soffre del disinteresse verso la musica, soffre della mercificazione, viene ammazzata dalla sola ricerca di successo e credo che l’amore verso l’arte usato come strumento di comunicazione sia finito.
Ci sono però gli irriducibili, quelli che non mollano mai: il mio progetto con mio grandissimo orgoglio è sostenuto da due realtà marchigiane, la Bloody Sound Fucktory come label, e poi i produttori esecutivi, cioè i ragazzi del Loop, un club di riferimento per la scena underground che per l’occasione si sono trasformati in Loop Collective per supportare il mio progetto.
Come sei rimasto affascinato dalle sonorità spiccatamente americane che ritroviamo nel tuo disco di debutto? Ci racconti qualcosa a riguardo?
Ascolto praticamente da sempre musica americana e inglese: senza neanche sapere la provenienza di un artista la mia curiosità è sempre stata attratta più dai suoni e dal modo di suonare americano. Per quanto riguarda il disco, il lavoro in studio e la produzione li ho fatti con Mattia Coletti: amiamo entrambi molto quei suoni che naturalmente sono diventati un po’ i nostri suoni, non si tratta di voler emulare, semplicemente credo che ognuno di noi sia il frutto del suo background.
È un caso che un disco del genere sia uscito proprio ora che si può tornare a viaggiare? Com’è stato per te rimanere fermo per quasi due anni?
Che sia uscito proprio ora non è un caso, è un caso però che corrisponde al potersi di nuovo muovere. Esce ora perché ci sono tempi tecnici per far uscire un disco in modo professionale (almeno per provarci): considera che il disco era pronto a maggio del 2021, poi però tra cose da coordinare e varie sfighe… [ride, ndr]. Stare fermo per questi anni è stato come avere l’ossigeno razionato, per chi stava sempre in tour come me è stata dura starsene fermi in casa.
Il primo anno però ho composto il disco, che mi ha anche dato l’occasione di sperimentare strumenti nuovi, quindi direi che tutto sommato ho sfruttato al meglio la situazione e avevo ancora le speranze che tutto si sarebbe ripreso presto. Il secondo anno invece è stato più tosto e la mia famiglia e questo nuovo progetto mi hanno decisamente dato un grande sostegno morale.
Perché la scelta della lingua inglese, nonostante la tua origine? In Italia funzionano anche progetti in inglese? Ce ne fai qualche esempio?
La scelta anglofona era un po’ scontata per me, diciamo che per il discorso di stile e del fascino di quei suoni sono naturalmente portato verso la lingua inglese. Non nascondo però il fatto che il suo utilizzo mi regali una zona di comfort, soprattutto quando tocco argomenti molto delicati della mia vita personale e privata. Non escludo che magari ci sarà un futuro in Italiano, però.
Io credo che in Italia funzionino i progetti cantati in inglese, come nel resto d’Europa. Credo che quelli che funzionano bene siano quelli che non emulano, ma che hanno un proprio stile, evitando così il pericoloso confine con il diventare una “cover band” di qualcuno.
Ti faccio due esempi che mi vengono così al volo di artisti Italiani che non cantano in Italiano che hanno stile e che funzionano i Comaneci ed i C’Mon Tigre.
Programmi per l’estate?
Per ora non ho ancora date confermate ma delle opzioni. I vinili del disco arriveranno a Giugno. Certamente voglio lavorare bene e sodo per un buon autunno inverno e portare in tour “Kid’s Dream” nel miglior modo possibile.