Sono passati dieci anni da quando “Solo Un Uomo”, disco d’esordio di Mondo Marcio, ha portato in superficie e sotto gli occhi di tutti un genere musicale che ribolliva nell’underground da molto, troppo, tempo: il rap. Oggi, Gianmarco Marcello, è approdato al suo settimo album e sembra aver conservato quella marcia in più che l’ha contraddistinto in passato. Si chiama la “Freschezza del Marcio” e contiene sedici tracce, tante collaborazioni di rilievo e, soprattutto, la voglia di riscoprire e vivere la musica suonata, la musica live.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Marcio scoprendo come, in una grande jam session tra Milano, New York e Los Angeles, sia nato l’album più fresco della sua carriera.
Mondo Marcio, come nasce il rapper che sei ora e cosa significa per te questo genere di musica ?
Il rap è nato come uno strumento per esprimere e buttare fuori tutta l’energia che a parole non riuscivo a liberare. Sin da ragazzino ero molto introverso e trovavo più facile usare la penna al posto della chiacchiera . Era come uno sfogo per dare voce a tutti i pensieri che avevo nella mia testa un po’ matta. Tutt’ora mi servo del rap per scrivere canzoni e per dire qualcosa di vero alle persone che mi ascoltano. Picasso diceva che “l’arte non è qualcosa che attacchi alla parete” e anche la musica non può essere solo un semplice sottofondo: è uno strumento molto forte, un’arma di attacco e difesa. Per questo mi riferisco al rap come a un tramite e non come a un semplice genere.
Un ragazzino introverso che scriveva rime ascoltando rap. Ascoltavi anche altra musica, straniera o italiana ?
Anche se non ascoltavo solo rap, ero particolarmente fissato con l’hip hop americano, ma con qualche eccezione come: Bassi Maestro o i primi dischi degli Articolo 31. Con entrambi sono stato molto fortunato a ritrovarli più in là nel corso della mia carriera musicale. A livello di generi, molto proviene dalle radici della black music: il soul, il funk, il reggae e tanto, ma tanto, jazz. E sai qual è la cosa bella del mio nuovo album ? Tutte queste influenze, anche se ci sono sempre state, sono finalmente venute fuori !
Quindi, “La Freschezza del Marcio” è un via libera alle tue contaminazioni musicali. Come ci sei riuscito e qual è la “freschezza” a cui ti riferisci nel titolo ?
Due anni fa, mentre scrivevo “Nella Bocca della Tigre”, mi sono ritrovato a lavorare molto sulle musiche di una delle mie grandi influenze ed ispirazioni di sempre: Mina. Una volta finito il disco mi sono detto: “perché non fare uscire tutte queste influenze ?” e così ho fatto. Ad esempio, la nuove canzone “Da Solo Nel Sole” che ho scritto con Ghemon, è una canzone Soul a tutti gli effetti. Mentre la vera novità di questo album, la sua freschezza, è stata la riscoperta della musica suonata, la musica dal vivo. Ho compiuto una grande ricerca musicale, viaggiando da New York a Los Angeles e incontrando musicisti fortissimi per creare il giusto groove in vere e proprie jam artistiche. Questo modo di fare e di scrivere, nel mondo del rap italiano, non si vede poi così spesso.
Mondo Marcio è anche un produttore e per questo molti dei tuoi album sono “fatti in casa”. Che ruolo hai avuto all’interno de “La Freschezza del Marcio” ?
Io, direttamente, ho fatto poco; mi sono limitato a mettere insieme i pezzi come un maestro d’orchestra. A livello di produzione ho deciso di fare due passi indietro, volevo che la musica uscisse dalle mani e dalla testa dei musicisti con cui ho collaborato. Abbiamo suonato tantissimo, in studi di ogni genere tra mille improvvisazioni splendide in quanto a energia musicale
Proprio “old school” !
Certo, come si faceva un tempo nella vecchia scuola. È questa la riscoperta della musica suonata che ti dicevo !
Questo combacia molto con la mia visione del rap: un genere molto carnale che nasce da dentro e si sprigiona nei versi. Per questo non mi piace la nuova generazione di rapper con tanti suoni di plastica e super produzioni che si traduce in: molta facciata e poca sostanza.
Esatto. La freschezza del marcio è proprio questo: mostrarsi nella maniera più umana e vera possibile, apparire per quel che si è e tirare giù la maschera dei luoghi comuni e dei cliché dell’hip hop: dover essere il più muscoloso, il più ricco, il più gangster e questa roba qua. L’importante è farsi vedere per quello che si è, con i propri limiti e difetti; la freschezza dell’onestà.
Secondo te, questo modo di concepire la musica e la sua composizione, potrà mai affermarsi nel panorama musicale del rap italiano ?
Può affermarsi ovunque, non è una questione di territorio quanto di mentalità. In Italia l’elemento limitante è che nella musica sembra ci sia sempre un certo tipo di fine. Ti faccio un esempio: è raro che ci si ritrovi in un qualsiasi studio, anche il più scassato, per fare delle jam e creare liberamente. Ci deve sempre essere il featuring o la collaborazione di un certo calibro per ottenere il credito. Io me ne sono fregato. Sono andato alla ricerca dei groove, volevo sentire e fare musica figa. Quando ho capito di esserci riuscito l’ho messa nell’album
Questo tuo nuovo album sembra essere più positivo e ottimista, nelle tematiche e nel modo di affrontarle, degli altri tuoi precedenti. Non trovi ?
Il punto di partenza è essere sé stessi, con tutti i propri problemi; il punto di arrivo è trovare il lato positivo in tutto, questo è centrale nell’album. Non è un concetto naive, ma è l’arte di inventarsi un domani e di trovare la positività in ogni percorso. Questo concetto è chiaro nella strofa: “le rose cresciute dal cemento, non tutte le parole finiscono nel vento” in Un Altro Giorno. C’è molta positività, certamente, e anche voglia di riscatto e di rivalsa.
Nel 2006 con il tuo album d’esordio hai portato nel mondo della musica italiana un genere che non era presente nell’immaginario collettivo. Ora che sei arrivato a questo punto, riguardando indietro il tuo percorso, come valuti il fatto di essere stato il primo ?
Sicuramente, ho dovuto affrontare più difficoltà e dimostrare più degli altri che hanno potuto godere di un precedente, ossia io ! Una volta messa in cantiere l’esperienza di “Dentro Una Scatola” ho avuto bisogno di qualche anno per costruirmi una struttura, avevo solo 18 anni nel 2006. Ancora oggi lavoro molto in maniera casalinga, come un artigiano diciamo, ma ai tempi ero completamente solo e questo mi ha portato a commettere molti errori che, in ogni caso, mi hanno aiutato a crescere velocemente. Tirando le somme, sono contento che sia andata così e sono contento per il mio genere musicale. “Solo un uomo” ha creato anche un procedente commerciale e da lì in poi le major hanno messo sempre più soldi sul rap quando prima non ce n’erano. Questo ha fatto bene a me e a molti colleghi e ne sono contento
Ora, tornando sull’album con Mina, ho una piccola curiosità: com’è nata l’idea ? Cioè, com’è successo, vi siete chiamati, le hai mandato una mail ? E’ difficile da immaginare !
Le inviai una mia canzone su una sua base ed ero convinto, dentro di me, che mi avrebbe detto di no. Invece apprezzò sia l’idea che il mio modo di trattare la sua musica per crearne di nuova e, al telefono, mi disse: “perché non ne fai altre ?” e da lì è nato il disco. E’ stata la prima e unica volta che Mina ha accettato di fare una cosa del genere in vita sua ! Oltre alla grande soddisfazione del disco, sono felice perché è nato un rapporto vero
Vi sentite ?
Non è che ci vediamo la sera per berci una birra, però non dubito che un domani possa ripetersi una simile collaborazione
Fantastico. Per concludere, nella title track dici che “aspetti gli altri dal traguardo”. Di che traguardo parli, non starai mica finendo ?
Assolutamente no! E’ un traguardo provocatorio, mi piace dire di essere un passo avanti agli altri perché sono uno competitivo, in primis con me stesso. Poi sono convinto che la spacconeria fatta nella maniera e nel momento giusto è una grande risorsa per chi la fa e, soprattutto, per chi la sente. Immagino un ragazzino di 16 anni, com’ero io, un po’ insicuro, che capisce dov’è possibile arrivare partendo dal nulla. Zero soldi, zero successo, zero superpoteri. Se interpretata in questo modo spacconeria diventa sinonimo di speranza.