– di Manuel Apice –
Moci fa parte della nuova generazione di giovanissimi del cantautorato italiano che, capitanati dal buon Fulminacci (classe ’97 romano, proprio come Moci), sembrano avere – a dispetto o forse proprio in virtù dell’età – le leve giuste per correre alla velocità siderale di un mercato che lascerebbe anche Mennea col fiato corto, senza perdere la direzione identitaria di un’originalità che pare avere radici antiche, e ben salde.
Il secondo singolo di Moci – in questo folle 2020 – diventa conferma della bontà del nuovo percorso del cantautore capitolino, che solo un paio di mesi fa, nel pieno del silenzio virale e del disastro emotivo da cuori in quarantena, era tornato a far sentire tutto il suo amore e la sua rabbia con “Pensieri Bellissimi”, dopo un’assenza di quasi un anno; già allora, l’ascolto del brano sembrava essere segnale di un’evoluzione studiata e consapevole rispetto al passato musicale di Moci, nel segno di una ricerca pop che non cadesse nella trappola dell’emulazione, o della retorica di genere.
Le conferme necessarie ad alzare le aspettative del pubblico in attesa del release del primo album arrivano proprio con “Primo Piano”, il suo ultimo singolo per Sbaglio Dischi, con distribuzione Carosello: Moci mostra coraggio attraverso una produzione quasi provocatoria per le orecchie intorpidite di chi ha deciso di rilassarsi nella comfort zone di luoghi comuni musicali, nell’emorragia emulativa di una scena impegnata a riprodurre in laboratorio le ricette azzeccate da altri, piuttosto che azzardare sperimentazioni nuove.
Non c’è nulla di statico in “Primo Piano”, viaggio lisergico verso profondità intime e paure generazionali disvelate da chitarre sfrontate, in un riuscito connubio fra Mac de Marco, The Fratellis e Arctic Monkeys, pur senza perdere di vista la tradizione italiana: nel movimento delle parti, si avvertono echi battistiani, anche se il piglio è quello rock’n’roll e quasi scanzonato della scena alternative di fine millennio grazie ad una scrittura leggera e capace di ruotare su poche immagini, rese ancor più efficaci dalla slanciata impalcatura musicale.
Ma, nell’alchimia delle basi, non emerge traccia di gusti già abusati, di aromi pre-confezionati: l’attitudine del brano supera a pieni di voti il quality test, fin quasi a spiazzare – almeno, al primo ascolto – gli orecchi atrofici di noi, cuori aridi e impigriti (parafrasando Fossati); e allora, ben vengano shock musicali come “Primo Piano”, se servono a risvegliarci, a colpi di freschezza, dal dormiveglia di un mercato che ha bisogno di trovare nuove voci, con nuove parole.