– di Martina Zaralli –
C’è sicuramente una doppia anima nel nuovo disco dei Foja, la stessa che abita nei vicoli della loro città. La sacralità e le umane questioni, una doppia natura che cammina nelle strade, si arrampica sui muri e poi entra nelle case, in ogni posto. È qualcosa di inspiegabile, eppure esiste. È Napoli. “Miracoli e Rivoluzioni”: da una parte il sovrannaturale e dall’altra la volontà di agire dell’uomo, due concetti che si rincorrono nel tempo e nello spazio. “Miracoli e Rivoluzioni”. Un atto di fede in entrambi i casi.
Dopo sei anni dal precedente “O treno che va” – disco entrato nella cinquina finale delle Targhe Tenco nella categoria Miglior album in dialetto, così come “Dimane torna ‘o sole” – l’otto aprile, per Full Heads, i Foja hanno orlato le vesti del folk partenopeo con dodici nuove tracce: racconti a colori di un uni(o meglio multi)verso popolare, capaci di inebriare la tradizione napoletana di contenuti e suoni contemporanei. Siamo davanti a un lavoro girovago – per usare un termine a loro caro – che si lascia influenzare dal rock, dal blues, dal pop e dall’elettronica, rafforzandosi cioè di sfumature e incursioni che costruiscono per ogni brano un’architettura perfettamente su misura.
“Miracoli e rivoluzioni”, ossia un disco ostinato, vivo, romantico. Un disco saporito in ogni angolo della sua dualità. Lo è quando canta di speranza in “Nunn’è ancora fernuta”, di complicità senza confini in “Duje comme nuje”, o quanto canta di destino in “‘Na cosa sola” o di lontananza in “Pe’te sta’ cchiu’ vicino”. Per non parlare di “Addo’ se va”, un mantra agitato che esplode in una riflessione senza soluzione: “comme a vuo’ ‘a vita toia?” Praticamente, i Foja hanno messo a punto dodici sceneggiature compiute grazie un intreccio magistrale di parole e di musica, in cui il dialetto dona ai brani la scelta di uscire dalla forma-canzone per mostrarsi nella profonda verità dei luoghi e delle persone. E la verità è sempre convincente. Persuade per l’autenticità corale, che si arricchisce delle collaborazioni di Davide Toffolo in “A cosa stai pensando?”, Clementino in “Santa Lucia”, Lorenzo Hengeller al pianoforte in “Stella”, Alejandro Romero in “A mano ‘e D1OS”, Enzo Gragnaniello in “‘Nmiezo a niente”, fino alla poesia di Alessio Sollo ne “L’urdema canzone”. Ma non solo: leggendo tra i credits del disco arrivano anche Michele Signore (lira pontiaca), Caterina Bianco e Marco Sica (violini), Daniele Chessa (synth), Ernesto Nicolás Enrich (bandonéon), Juan José Martinez (percussioni).
«“Miracoli e Rivoluzioni” è un disco che ha attraversato tante difficoltà prima di arrivare alla sua forma definitiva, ne siamo orgogliosi perché è venuto fuori come lo immaginavamo: un album che fosse l’avanzamento del nostro suono folk, spingendolo verso nuove contaminazioni», spiega la band, «un’opera sincera che mettesse l’arte al centro della questione e non le dinamiche contemporanee legate a dati e numeri, che non provasse a dare risposte ma a far porre delle domande».
Un doppio percorso guidato dalla voce e dalla chitarra acustica di Dario Sansone e accompagnato dalla chitarra elettrica di Ennio Frongillo, dal basso di Giuliano Falcone, dal mandolino di Luigi Scialdone e dalla batteria di Giovanni Schiatterella e che segna la maturità artistica di una delle formazioni più interessanti del panorama folk nostrano. Bravi i Foja, che fanno della tradizione il loro futuro.
Napoli, due anime. Nessuna che ti chiede da che parte stai. Perché il bello è che se ci credi comunque accadono. Sia i miracoli, sia le rivoluzioni.
Affascinante.