– di Giacomo Daneluzzo
Foto di Marco Del Pozzo –
Martina Forlani, in arte Minaper, a novembre 2019 ha pubblicato il suo EP d’esordio, Minaper, per Oltre le Mura Records, preceduto da due singoli. Dopo oltre un anno di silenzio discografico torna ora sulla scena col singolo Agosto, prodotto da Francesco Megha e uscito per Oltre le Mura Records e Povery Dischy. L’ho intervistata per sapere di più sul nuovo singolo e abbiamo parlato anche dell’EP, dell’esordio, dei live e di molto altro.
All’orario concordato inizia la video-intervista: chiacchierando, Martina mi dà l’idea di essere una persona professionale però anche alla mano, ma soprattutto un’artista piena di idee, che non vede l’ora di realizzarle e di proseguire il percorso che, con ottime premesse, ha iniziato e portato avanti con quest’ultimo, particolarissimo singolo, che si pone “a metà” tra l’EP e tutto ciò che verrà dopo, che è ancora tutto da scoprire.
Agosto esce dopo un anno e due mesi dall’ultimo EP, Minaper, come ti senti? Un po’ emozionata?
Sì, dai, sono emozionata. Poi quando fai uscire pensi sempre di aver finito, mentre in realtà proprio per niente! Però ti rilassi un attimo e ti godi il momento.
In tutto questo tempo sono successe un bel po’ di cose… Ho notato una certa evoluzione tra l’EP e Agosto, mi sembra che il tono, il mood, sia diverso. Che cos’è successo?
Ho fatto l’EP nell’incoscienza, nell’inconsapevolezza: suonavo e scrivevo da sempre, ma non ero mai entrata in studio, non avevo mai pubblicato, non me la sentivo. Inoltre non era come adesso, ora secondo me l’ambiente si è un po’ ammorbidito ed è più facile uscire. Quando avevo vent’anni io non c’era questa cosa che entravi in studio e ti producevi da solo. Ho provato a fare questa cosa, sono andata in studio, senza sapere come fosse. Non ero molto padrona della cosa e mi sono fatta trasportare; i producer con cui ho lavorato comunque erano bravissimi e hanno fatto delle cose belle, trovando una quadra su quelle canzoni che avevo portato. Tra l’altro per l’EP ho fatto una scelta strana sui pezzi: sono tutti diversi. Questa volta ho ragionato di più, ho eliminato praticamente tutte le canzoni che avevo scritto; avrei potuto fare tranquillamente un altro EP, ma voglio ripartire da nuovi presupposti, da nuove basi. Però il mio pubblico conosce quei quattro pezzi, in cui io forse non mi riconosco più così tanto – anche se ovviamente sono miei e li sento comunque tali; per questo mi serviva un anello di congiunzione tra quello che è stato e quello che sarà in futuro.
Quindi questo è un nuovo inizio, per te, l’inizio di un nuovo capitolo?
Sì, ma ho la sensazione che sarà sempre così. Ho in mente dei progetti: vorrei fare una cosa super lo-fi, registrata a casa, registrata “male”.
Agosto ha in sé questo contrasto tra l’estate e i toni introspettivi, riflessivi e “invernali”: questo dualismo ha a che fare con il suo essere un anello di congiunzione?
All’interno della canzone torna lo stesso dualismo tra caldo e freddo e credo che sia una contrasto che si porta dentro dalla sua nascita. Quando l’ho scritta era agosto 2019, ma non ero minimamente in un mood “estivo”. L’ho lasciata lì per un po’, poi durante il COVID mi sono detta: “Basta, facciamo così”: il pezzo c’era, ce n’erano anche altri, ma con Francesco Megha ho pensato che Agosto fosse la più adatta a ricoprire questo ruolo di “anello di congiunzione”.
Le tracce dell’EP Minaper sono tracce che, come hai accennato prima, volevano uscire. È un’urgenza espressiva che sento anche nel testo di Agosto, come nella frase-mantra: “Ma poi non casco io e neanche il mondo”. Che rapporto hai con la musica e con la scrittura? Ha per te una funzione catartica?
È proprio così. Non me ne rendo mai conto, mentre lo faccio, ma scrivere canzoni spesso mi serve per fare chiarezza: quando scrivo metto insieme i tasselli e la situazione, magari una situazione negativa, mi appare più chiara, la vedo e riesco a neutralizzarla. Poi c’è tutto l’aspetto del vocalizzare queste cose, del dirle… Addirittura le canti, t’immergi molto di più rispetto a quando ci pensi e ci rumini sopra.
Nel tuo vecchio pezzo Proporzioni dici: “Non riesco mai a finire niente e neanche a dirti perché sembro spesso indifferente”. In Agosto c’è una prospettiva diversa, più positiva, forse, più costruttiva, no?
Forse sì, ma nella realtà, incredibilmente, è quasi il contrario. Quando ho scritto Proporzioni ero molto motivata e incazzata, perché quando inizio le cose e non le finisco mi incazzo; succede raramente, ma sempre con le cose a cui tengo di più. È una forma di resistenza. Il progetto Minaper, che mi piace tantissimo, mi ha posto davanti a una serie di sfide che non immaginavo: ci tengo tantissimo e per non rovinare le cose o non le faccio o le faccio “ma non troppo”. Penso che l’EP sia uscito in questo modo anche per questo, ero un po’ contratta. Invece con Agosto è stato il contrario: avevo molti dubbi sul pubblicare, mi dicevo: “E se poi succede come con l’EP, che ero tutta fomentata e poi, in seguito, mi sono resa conto che avrei voluto fare diversamente?”, mentre poi invece è vero, il pezzo è molto più “sciallo”, rispetto a quelli precedenti.
Minaper è uscito a novembre 2019, qualche mese prima che si fermassero tutti i concerti. Come hai vissuto questa situazione?
Ho preso una “sola mega-galattica”: prima che fosse uscito Minaper, dato che avevo fatto uscire due singoli, mi ero buttata e mi ero fatta tutte le serate di Roma con la band. Nel frattempo lavoravo, quindi ero molto stanca; per questo, dopo l’uscita dell’EP, a novembre, mi sono detta: “È Natale, mi riposo un po’ e mi prendo anche gennaio per riposarmi”. Tac! Avevo ripreso a provare con la band, avevo organizzato diverse date per portare in giro l’EP… e siamo stati fermati. Però che te devo di’? Forse ha avuto un senso pure questo.
Come pensi che si evolverà questa cosa dei concerti? Ci saranno delle conseguenze per chi lavora in quest’ambito?
Non lo so. Quest’estate avevano riaperto un po’, quindi penso che si ricomincerà, anche se sicuramente con modalità diverse.
Se riaprissero adesso riprenderesti subito con i live o aspetteresti di avere altro materiale fuori?
Se dovessimo ripartire andrei subito a suonare, perché è tanto che non lo faccio e mi piace. Poi per me suonare, all’inizio, era una mezza violenza: le prime volte che sali su un palco, anche se sei davanti a dieci persone, è traumatico. Ci sarebbe da aprire tutta una parentesi, ma per me è stato traumatico?
Invece m’interessa, apriamo questa parentesi, se vuoi: “violenza” è una parola forte, che cos’è successo con i live?
Non pensavo che lo sarebbe stato, ma il live è un’esperienza forte. La prima volta sono andata da kamikaze ed ero abbastanza tranquilla: mi hanno chiamata due ore prima e sono andata. Ma io prendo le cose sempre molto sul serio… La seconda volta, invece, ho pensato proprio: “Ma io che cosa ci faccio qua?”, perché io mi vergognavo a suonare anche davanti agli amici. Tra la gente che mi conosceva prima di Minaper forse in due mi avevano sentito. Al massimo mandavo le note vocali per far sentire i pezzi. Questa seconda volta ero al ‘Na Cosetta (locale bistrot e live club di Roma, situato nell’area del Pigneto, ndr) e c’era un bel po’ di gente; mi è partito il panico e non l’avevo valutato. Pensavo sì, un po’ d’ansietta… Però l’ansia era a duemila. Io soffrivo tantissimo di ansia, ora invece no, forse anche perché tutta questa esperienza mi aiutato, ha scardinato qualcosa. Nel periodo in cui era uscito il primo singolo (Menomale, 2019, ndr) ho avuto manifestazioni fisiche dell’ansia, come l’ernia del disco… Quando ho iniziato a suonare nei locali a Roma non ero psicologicamente pronta – anche se non si è mai davvero pronti. Un periodo tremendo, sentivo tutto stipato nel mio corpo, c’era qualcosa che aveva bisogno di uscire. Agosto parla di questo, anche di questo. Avrei reagito allo stesso modo anche davanti a tre persone ed è andata così. In seguito ho imparato a gestire la dimensione dei live, ora vado tranquilla e mi piace. Avevamo preso contatti un po’ in tutta Italia, metà già programmato, metà “in fase di”, e invece niente.
Che cosa pensi della scena indie/itpop? Ti ritrovi all’interno di questa etichetta o hai altri modelli e parametri?
Di base direi che ho altri parametri: i miei ascolti includono anche l’indie/itpop, ovviamente, ma più che altro ascolti diversi, più “datati”. Ti parlo della scena indipendente precedente, canzoni più sporche, decisamente non come adesso. La cosa più pop che ascoltavo all’epoca potrebbe essere Dente. Di italiani ascoltavo Cristina Donà, gli Afterhours, Moltheni, Verdena… Tra gli internazionali invece Sonic Youth, Cat Power, Wilko, Iron and Wine. Tutte cose che non c’entrano molto con l’itpop e neanche con quello che faccio, ma indubbiamente si assorbe tutto. Ho un background fatto di ascolti molto diversi da ciò che alla fine mi esce fuori, quindi posso dire che forse, alla fine, nell’itpop ci rientro, in un’accezione più generale, ma cambia molto a seconda di come vengono prodotti i pezzi: lo stesso pezzo, con una produzione piuttosto che un’altra, può diventare in un modo piuttosto che in un altro.
Ultima domanda: quali sono i tuoi obiettivi per i prossimi mesi? Che progetti hai in cantiere?
L’idea che in questo periodo ho in testa – è da un po’ che ci penso – è che mi piacerebbe fare un EP o anche solo dei brani, completamente lo-fi, senza produzione in studio. Non dico ai livelli di Forse… di Calcutta (album d’esordio del cantautore di Latina, uscito nel 2012), però comunque da quelle parti lì. È un mondo che trovo molto interessante. È difficile trovare cose del genere in Italia, ma l’altro ieri ho visto una playlist su Spotify molto vasta con qualche progetto italiano molto carino, me la devo studiare.