Il nuovo lavoro dei Microlux si presenta come un’opera complessa e ambiziosa, e basta scorrere la tracklist per averne una facile conferma. Le tracce sono solo sei, ma le collaborazioni sono addirittura tre, a dimostrazione di voler aggiungere a un già ampio range di riferimento ulteriori possibilità sonore.
Il brano di apertura “The Dance!” dimostra già un cambio di direzione inequivocabile rispetto alle algide atmosfere di Weisse, il primo lavoro della band, ma certamente non un cambio di intenzioni. Infatti l’uso delle sonorità synthpop di derivazione ‘80s con il quale è costruito non sembra voler confezionare un brano da pista da ballo, ma piuttosto cercare un linguaggio adatto ad esprimere un intimismo gioioso, quel genere di felicità che si potrebbe provare scatenandosi in solitaria nella propria camera da letto, una sorta di “bedroom dance” se vogliamo.
“Geküsst” comincia ad aprire la strada al massiccio uso di contaminazioni e contrapposizioni che caratterizza l’intero album, presentandoci una strofa dove le aspirazioni scandinave della band si fondono allo spirito mediterraneo in una ipnotica miscela di sonorità glitch e chitarra dal gusto marittimo, per lasciare poi spazio ad un delicato quanto incantevole ritornello di fattura pop. Un’abilissima architettura di suoni è anche il punto forte di “The Story of the Monsterfish”, una perla di psichedelia elettronica come raramente se ne vedono nel Bel Paese.
Con “An Ant” il duo parrebbe avere qualche difficoltà nel trovare una sintesi efficace tra i vari elementi, proponendoci un cocktail difficilmente digeribile e anzi quasi stomachevole di sonorità eccessivamente zuccherose (e inattuali) e una composizione canora fin troppo infantile. Fortunatamente con la successiva “Instabile” si ricostruisce prontamente un equilibrio, questa volta giocato sull’innesto di atmosfere post-rock sul tappeto dei sempre apprezzabilissimi beat.
“Diva” è la perfetta chiusura per un disco di così ampio respiro e ne è in qualche misura l’apice e il superamento, si apre con un panorama sognante e inquietante del quale la ricerca rumoristica della base è il punto forte, per poi concedersi ad una progressiva trasformazione (degenerazione?) che conduce nei territori più entusiastici che caratterizzano il resto dell’album.
Se è vero che il panorama della musica postmoderna ha fissato nelle nostri menti la contaminazione come forma suprema e definitiva di sperimentalismo, è anche vero che ci ha mostrato che le sperimentazioni più interessanti ed efficaci sono quelle che riescono nella costruzione di un sistema musicale coerente. Questa considerazione era probabilmente molto lontana dalla mente dei Microlux in fase compositiva e il risultato è un album alquanto schizofrenico, pieno di voli pindarici tra idee sì buone, ma mai assecondate e sviscerate fino in fondo, fatto che risulta assai più allarmante se prendiamo in considerazione la relativa brevità del lavoro. La sfida per il futuro della band è sicuramente quella di selezionare un campo più ristretto di suggestioni da approfondire. Eclettismo si, ma incoerenza no.
Nicolò Turchetti