– di Giacomo Daneluzzo –
Marcato accento milanese, camicia informale, grande talento nelle imitazioni. Ecco Meazza (“come lo stadio”, come recita il suo Instagram), cantautore milanese, che ha da poco pubblicato per l’etichetta Flebo il suo ultimo singolo, intitolato “Le parti peggiori” e prodotto, come i precedenti, da Ioska Versari. L’ho intervistato via Skype per parlare del suo singolo e del suo progetto musicale.
Non ho trovato biografie esaustive, ma so che sei di Milano – d’altra parte il tuo nome d’arte si rifà al noto stadio Meazza di Milano, chiamato di solito San Siro. Vieni da quel quartiere?
In realtà no, però è una zona che ho frequentato parecchio, perché mio cugino ci abitava e spesso stavo lì. Sentivo i concerti dal terrazzino di casa sua!
Il mio ultimo concerto a San Siro è stato quello di Vasco Rossi, il tuo?
Devo dirti la verità: non sono mai andato a un concerto a San Siro! Avevo comprato quello di Vasco, poi non ci sono andato perché era successo un po’ un casino. Poi Vasco l’ho visto all’Olimpico di Torino, ma non a San Siro. Si vede che dovrò farlo io, San Siro!
Se si potrà ancora…
Già, rischiano di buttarlo giù. Speriamo di no. Altrimenti m’incateno a San Siro, così divento un simbolo.
Siamo in tanti ad avere una certa amarezza all’idea, in effetti.
Te lo prometto qui: se buttano giù San Siro m’incateno allo stadio. Insomma, mi piazzo davanti e faccio una qualche forma di protesta.
Ti seguo!
Dai, allora poi ti scrivo. T’immagini? Facciamo una roba epocale, come la foto di piazza Tienanmen con i carri armati.
Hai esordito nel mondo hip hop; vedi il passaggio da quell’ambiente a quello che fai ora come una cesura netta o c’è un qualche tipo di continuità con questa radice?
C’è assolutamente continuità. In fondo è ciò che hanno fatto tanti romani prima di me: sono passati dal mondo del rap al mondo della pop music. Il primo tra tutti a fare successo con questa roba è stato Coez. Chiaramente I Cani, dietro Coez, hanno sposato questa filosofia, che secondo me è molto moderna e che penso abbia creato questa nuova “corrente artistica”. Loro sono stati un po’ i precursori, che lo si voglia o meno. Il fatto che questa cosa musicalmente sia diventata “vera” mi ha dato energia, forza e credibilità per attirare l’attenzione su di me con il mio background, simile al loro. Poi magari San Siro lo farò facendo un altro tipo di musica. Magari io adesso sto facendo pop, ma potrei essere il precursore di un nuovo genere, che ne sai, se mi va bene… Un nuovo genere tra dieci anni. Coez alla fine è uscito a trentatré anni; magari io tra qualche anno inizio a fare “metal-pop”, non so… (ride, ndr) Per adesso mi sono legato a quest’onda e la mia attitudine creativa parte molto dall’imprinting rap, perché io scrivo come scrivevo rappando – e lo facevo già prima.
Infatti leggevo che il primo singolo “Strxxxo” l’hai scritto di getto, in dieci minuti. La scrittura del rap è una scrittura di questo tipo, di getto, come nel freestyle.
Ho sempre pensato che fosse una cosa che mi caratterizza; oggi però sentendo interviste ad altri artisti la dicono tutti… Non voglio essere come gli altri! Però evidentemente, come me, anche molti altri stanno affrontando questa metodologia, questa scrittura “di getto”. Io ti dico solo che tutti i miei brani nascono senza sapere di che cosa sto andando a parlare, ma con l’attitudine che avevo da ragazzino nel freestyle. È l’unico modo che conosco per scrivere e l’unico modo attraverso cui riesco a ottenere risultati che mi soddisfino.
Immagino che una scrittura di questo tipo sia più immediata, più focalizzata su quello che senti nel momento esatto in cui scrivi, no?
Sì, diventa una sorta di viaggio dentro se stessi, di terapia: entro in contatto con una parte di me che non mettevo bene a fuoco, prima. Hai presente l’iceberg usato per rappresentare la parte conscia e la parte inconscia? Io credo che quello che faccio sia un entrare in contatto con la mia parte inconscia, sommersa. Ha un effetto-magia. Il primo a dire questa roba qua è stato Vasco Rossi, che diceva che le sue canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole, e in tante interviste ha parlato di questa cosa: è un po’ una magia. (Imita Vasco Rossi, ndr). Figata! Io lo capisco! Non ho scritto “Albachiara”, ho scritto “Le parti peggiori”; ma il principio è quello. È una metodologia di scrittura che mi permette di fare luce su me stesso e comprendermi; è la cosa più simile alla terapia, ma anche alla fede.
Tu credi?
Il mio dio è la musica. Penso che la fede abbia il ruolo di colmare un vuoto e dare risposte a ciò che altrimenti non si potrebbe spiegare, un ruolo di sostegno. Questo ruolo, per me, ce l’ha la musica. Io credo nella musica.
“Le parti peggiori” è un brano autobiografico?
Sì, è autobiografico. È nato anche questo di getto, mi ha permesso di capire meglio il tipo di relazione che stavo vivendo con la persona di cui ho parlato e di metabolizzare meglio la sofferenza. Quindi ho fatto i conti con questa tematica solo dopo averla trattata e ho capito che avevo toccato un tema importante in modo abbastanza leggero ed efficace. Capisco che è un buon lavoro quando sto meglio, dopo averlo fatto: con questa canzone è andata così e spero che possa avere lo stesso effetto anche per altre persone. Mi spiego: il processo mentale che sono riuscito a beccare, per me giusto, che mi fa stare meglio, spero che anche gli altri possano fruire di questo effetto-medicina. Che in fondo è ciò che ha dato a me la musica degli altri e che tuttora mi dà. Le canzoni curano e accompagnano momenti non solo negativi, ma anche di euforia, di benessere.
Mi sembra che i brani del progetto Meazza non siano del tutto inquadrabili in un genere. Siamo sempre nel “pop cantautorale”, che è un termine ombrello, ma mi sembra che ci siano molte ispirazioni da generi diversi. La musica che “ti cura”, da fruitore, qual è? Quali sono i tuoi punti di riferimento da un punto di vista musicale e/o testuale?
Dal punto di vista musicale la veste sonora dei brani dipende anche dal lavoro che faccio in team col mio produttore, Ioska Versari, la mente principale dei pezzi che senti. Per me i pezzi potrebbero anche essere arrangiati in altri modi e sarei contento, perché amo la musica in tutte le sue forme e ho sempre ascoltato di tutto: dal grunge al metal, dalla dance alla house, dal cantautorato italiano storico a quello moderno… Il mio unico limite è la musica classica, non sono ancora arrivato a una fase della mia vita in cui riesco a emozionarmi con un brano di Bach. Se mi piace “Wannabe” delle Spice Girls e mi emoziona non me ne frega un cazzo di apparire “figo”: ti dico che è il mio brano preferito, assolutamente. Quindi non ti dico neanche che snobbo la musica classica: ti dico che fino ad ora nessun brano di musica classica è riuscito a emozionarmi, a farmi dire “Oh, bella”, però mai dire mai. Per quanto riguarda i miei riferimenti dal punto di vista testuale ho tantissima passione per il cantautorato italiano, perché amo il testo, amo la poesia, ancora prima della musica. La poesia nella sua accezione più ampia. I testi sono importantissimi, per me. Tra i miei riferimenti citerei il cantautorato moderno, tirando in ballo sicuramente Coez senza paura, che ho ascoltato tantissimo e da cui ho cercato di “rubare” il più possibile, ma più in generale il cantautorato classico: De Gregori, Guccini, De André, Battisti. Da loro fino alla nuova scuola cantautorale italiana. In questo periodo mi sta piacendo molto Fulminacci, che spacca. Per concludere non c’è un’identità sonora precisa, in questa fase del progetto: siamo eclettici. Ciò che dà un’identità sono la mia voce e il mio modo di scrivere, che penso sia riconoscibile. Nei brani che usciranno da qua in poi, che abbiamo già prodotto, c’è anche un brano completamente suonato, con la batteria, il basso, strumenti acustici. E di fianco un altro brano che è un pezzo che sembra “Boogieman” di Ghali con Salmo, bello “disco”.
Sei di Milano: quanto c’è di Milano nelle tue canzoni, ti senti influenzato da questa città?
Io ho un forte attaccamento alla mia città, sono molto fiero di essere milanese e penso si senta anche dal mio accento. Lo voglio trasmettere nella musica anche perché credo che non ci sia abbastanza rappresentanza milanese nel panorama della cosiddetta “musica cantautorale italiana”, più nel mondo del rap. Forse c’è poca mentalità creativa a Milano: probabilmente a Roma sono più tranquilli, come mentalità. Io mi sento molto romano. Ho voglia di rappresentare la mia milanesità nel mondo del cantautorato e del cosiddetto itpop. Per me è importante e cerco di cantare facendolo sentire e ci investo molto dal punto di vista comunicativo. Sei milanista o interista?
Guarda, purtroppo non seguo il calcio…
Ok, ok. Allora se dovessi dire rosso o blu?
Facciamo blu? Hai detto di essere interista, no?
Vaaaai! (ride, ndr)
In casa mia non è mai stato seguito…
Io sono cresciuto senza avere una grande passione per il calcio. Ho iniziato a giocare a calcetto e a seguire il calcio dopo. È stato un modo per entrare in contatto con mio padre, vecchio cuore rossonero, anche se io sono interista. Mi ha sempre trasmesso questa mentalità di scegliere con la mia testa e pensare a quello che volevo. Quando nel 1993 sono nato io il Milan era stato preso da Berlusconi e a lui stava sul culo Berlusconi, quindi aveva smesso di seguire il Milan e simpatizzava per la Fiorentina di Batistuta. Però si era un po’ disinteressato al calcio e non mi ha trasmesso molto questa passione. Quando, da grande, papà non stava benissimo io mi sono interessato molto al calcio per passare un po’ di tempo sano con lui e lui si è riappassionato – senza mai tornare mai milanista. Io da bambino ho detto che tifavo Inter perché mi piaceva il blu. E da grande mi sono innamorato di questo sport, un po’ perché lo associo a papà, un po’ perché è uno sport bellissimo, fatto di psicologia. Il campo da calcio è un’ottima metafora di vita. In fondo è amore.
Io con le domande sono a posto… Se vai a occupare San Siro, però, chiamami! Anche se forse ora potrebbe essere visto come un segno di protesta contro la chiusura degli spettacoli dal vivo.
Quando sarà, allora, ci organizziamo per fare questa protesta, promesso. Alla prossima!