– di Assunta Urbano –
Uno dei tanti poteri magici della musica è la sua capacità di trasportarti in universi paralleli. Nel desiderio di ritrovare suoni più ricercati e meno scontati, mi sono imbattuta in Mattia Cupelli.
Compositore e produttore, il musicista muove i suoi passi nella Capitale. Ammaliato da artisti come Nicolas Jaar e David August, si pone come obiettivo l’unire strumenti acustici a quelli elettronici. Pubblica il suo primo album, After the Rain, nel 2018, seguito nello stesso anno dal secondo Affected.
Venerdì 9 luglio scorso l’artista è tornato con un nuovo progetto, Ruins, un disco evocativo da ascoltare al buio per lasciarsi andare completamente.
Abbiamo chiesto direttamente a Mattia Cupelli di raccontarci di questo lavoro, sperando di poter assistere presto ad una sua esibizione dal vivo.
Venerdì 9 luglio è uscito Ruins, il tuo nuovo disco. Ci racconti di questo lavoro?
Esatto, il 9 luglio è uscito Ruins, concepito in questo ultimo anno nel mio home studio. Nell’album sono presenti molti temi che ho provato a descrivere solo attraverso la musica, ma indubbiamente quello a me più caro è il tempo.
Partendo da questo concetto ho cominciato a ragionare sull’essere umano e come ci si interfaccia con esso. Chi siamo e cosa siamo ce lo può dire solo il tempo, e da qui sono arrivato alla mitologia e alla teologia, che spesso si intrecciano. Dunque la cultura, per me, è l’unica vera chiave per comprendere il tempo.
Ruins (e tutta la mia visione artistica) vuole provare ad esprimere proprio questo.
Mattia Cupelli esplora e sperimenta tra neo classica ed elettronica. Come nasce e si sviluppa questa ricerca artistica?
Fin da piccolo ho avuto un’educazione sulla musica classica culminata in Conservatorio. Parallelamente ho sempre avuto interesse nella musica elettronica, ma anche rock/pop e tutto quello che gli ruota attorno. Questi due mondi ad un certo punto hanno cominciato a comunicare tra di loro, e cosi pian piano (influenzato da vari artisti) ho iniziato a sperimentare avendo come dogma da ormai qualche anno i concetti prima espressi sul Tempo e l’Arte.
Ruins è un viaggio che ci riporta alle radici e nei suoni riecheggia il passato. Che legame hai con la mitologia e con la storia?
Amo la mitologia in generale, di qualsiasi cultura. Per me è interessantissimo vedere come uomini di millenni fa spesso avevano percezioni affini delle divinità e dei loro racconti epici, anche a centinaia di chilometri di distanza. Sono sempre stato affascinato da questo, alla fine penso che l’uomo inteso come essere umano e modo di ragionare è uguale da migliaia di anni. Per tale motivo, è importante ragionare sul nostro passato per conoscere il nostro presente e soprattutto il nostro futuro. Infatti, molti racconti della mitologia sono spesso validi ancora ai nostri giorni, come se il tempo non esistesse.
Con la mia musica provo a esprimere proprio questo.
Il filo conduttore del progetto è il tempo ed il suo inesorabile scorrere. Lo vediamo soprattutto nel singolo “Monolith”, che ha anticipato Ruins. Cos’è, per te, dunque, il tempo e che ruolo ha nella tua musica?
“Monolith” è sicuramente uno dei brani che secondo me esprime meglio i concetti di cui ho parlato prima, c’è la modernità della musica elettronica, ma anche strumenti tradizionali giapponesi (shakuhachi) con sample di musica medio orientale, il tutto prova a convergere e a prendere forma. Anche a livello tecnico, è interessante vedere come il tempo del brano è appositamente molto irregolare e fluttuante. Ho voluto rimuovere ogni base e metrica lasciando spazio più ai suoni.
L’universo ambient, a mio avviso, meriterebbe molto più spazio e più attenzione in Italia. Un motivo per cui non accade è probabilmente la mancanza di voce e testi. Ti chiedo, dunque, in che modo un artista può comunicare un messaggio o trasmettere emozioni, secondo te, solo attraverso i suoni?
Sono d’accordo. Purtroppo, in Italia, generi come l’ambient, o meglio un certo tipo di elettronica, sono ancora molto indietro rispetto agli altri paesi. Non comprendo a fondo il motivo, infatti nell’ambiente ci sono diversi artisti validi. Per quanto riguarda i suoni, ovviamente in assenza di testi è logico che il centro narrativo del brano diventa la timbrica, la scelta prima della composizione vera e propria diventa il tema del brano. Scegliere un pianoforte solista o scegliere di accompagnarlo con uno strumento a fiato medio orientale cambia tantissimo la percezione del brano e della sua narrazione. Parlando sempre di “Monolith”, ovviamente la scelta di strumenti tradizionali e musica elettronica è stata fatta in funzione del messaggio. Il tutto può sicuramente essere rafforzato anche dall’artwork dell’album e dal sound degli altri brani, che a quel punto formano una vera e propria idea sonora.
Se potessi portare Ruins in un’altra epoca, dove andresti e perché?
In realtà non saprei, penso che Ruins sia molto legato al suo momento storico, e forzarlo in un’altra epoca sicuramente gli farebbe perdere il suo senso. Detto questo, forse, se lo portassi nella prima metà del ‘900 all’alba della musica elettronica, qualcosina potrebbe ancora valere.
Stiamo ritornando ai live. Ci sono degli appuntamenti che ti vedranno protagonista quest’estate oppure in autunno? Come sarà il futuro per Mattia Cupelli?
Purtroppo per i live sono ancora indietro, per ora non sono previste date per Ruins, ma sicuramente in futuro mi piacerebbe anche esplorare questo mondo. Spero al più presto.