Breve e indolore la chiacchierata con Matteo Bonechi. Questo nuovo disco dal titolo “L’estate spietata” fa mostra di quella maschera tutta italiana di quando siamo alle prese col caldo torrido di una “estate spietata” appunto, dalle tane alla meglio refrigerate, ai ritrovamenti della “tecnica improvvisata”, alle abitudini ormai consuete. Ma anche l’amore arriva d’estate, anche i sogni che Bonechi sa bene come incorniciare dentro scritture che sfoggiamo quel romanticismo che, nel suono dal colore jazz, assume un peso poetico decisamente più importante. È assai visionario questo disco nonostante la sintesi e la trasparenza dei modi che ha. Registrato in presa diretta, senza artifici e macchine operatrici. Sembra di tornare a qualche generazione fa…
È bello questo colore morbido… sembra quasi un panno steso al sole, da buone massaie italiane… a te la palla, cosa ne pensi?
Se si parla di una giornata particolare di Scola direi proprio di sì. L’atmosfera che si ricerca è quella della commedia drammatica all’italiana.
E poi non sembra avere fretta ne arroganza. Lasciamo andare le cose…
Pensavo proprio a una piccola pausa di mezz’ora nel trambusto di una dura giornata di lavoro.
Perché hai scelto questo mood e questo stile di suono per raccontare uno spaccato di normalità nostrana?
Questo bisognerebbe chiederlo anche ai musicisti che hanno suonato nel disco. Non essendoci alcuna preproduzione, ma soltanto due prove e le registrazioni tre giorni dopo, è stata un’esperienza molto diretta e spontanea.
E perché hai usato un modo ironico e sbeffeggiativo per farlo?
Come descrivere meglio buona parte della realtà quotidiana se non coi termini ironico e sbeffeggiativo?
Che poi sbaglio nel dire che questa sembra essere una parentesi nel tuo normale suono e nei tuoi normali modi?
C’era voglia di uscire dalla routine della preproduzione, dei suoni e degli arrangiamenti troppo elaborati e meditati.