– di Riccardo De Stefano.
Foto di Danilo D’Auria –
Arrivati al 3 maggio è giunto il momento per fare un punto su uno dei principali eventi musicali del nostro Paese.
Il Primo Maggio è – come ogni manifestazione così incisiva – un evento che divide. Chi lo ama, chi lo scansa. Chi lo critica e chi lo celebra.
Polemiche a parte, che tanto ci sono sempre e in ogni caso servono comunque per sollevare questioni e fare domande, si può riconoscere come sia stato un grande Concertone, dove i giovani e meno giovani artisti si sono susseguiti con grande credibilità su quel palco, e dove non sono mancati i momenti profondi e di riflessione sulle tematiche sociali che da sempre caratterizzano l’evento (per dire: Gazzelle che parla di chi non ha un lavoro è comunque un bel segnale). È sicuramente il Primo Maggio di una nuova generazione che ha bisogno di vie trasversali per arrivare e recepire concetti che ormai sono difficilmente credibili anche per chi come me ha superato i trent’anni.
Ed è inoltre il Festival della “musica attuale”, concetto molto caro a Massimo Bonelli, fondatore di iCompany, direttore artistico e organizzatore del Concertone, che da attento osservatore della nuova musica di oggi, ha ben chiaro cosa voleva portare su quel palco, e di qual è il ruolo della musica per le nuove generazioni. Qualche giorno prima dell’evento lo avevamo incontrato per parlarne insieme, ecco quello che ci ha detto.
Il Concerto del Primo Maggio. Che tipo di appuntamento è e qual è l’idea dietro?
È un’idea, un’idea folle: che si possa raccontare la musica e lavorare con la musica non facendo soltanto business ma facendo anche cultura e diffusione di concetti, valori, principi, idee, innovare quello che c’è attorno a noi con la musica. Ho vissuto questo evento all’inizio della sua storia, quando ero un ragazzo, come un evento che in qualche modo mi faceva vedere degli artisti che stavano cambiando in quel momento la musica italiana, che stavano innovando, che stavano raccontando in maniera più credibile quello che succedeva a livello musicale in Italia. Questa impressione, questa sensazione è quella che ho voluto riportare a un evento che negli ultimi anni aveva un po’ perso questa sua capacità di raccontare e di dare visibilità alle nuove tendenze della musica italiana.
Perché l’aveva perso?
Perché c’è stato un momento di appannamento generale del mercato musicale italiano, dovuto al cambio di supporto e al doversi riadattare a un mondo che è completamente cambiato: la musica ci ha messo un po’, l’industria ci ha messo un po’, gli artisti ci hanno messo un po’. Da qualche anno è esploso il fenomeno della musica italiana e dei nuovi artisti…
Cos’è cambiato? C’è un nuovo pubblico?
Il pubblico più attivo è quello che appartiene a una fascia d’età tra i 15 e i 30 anni. Oggi è un pubblico che ha accesso in maniera diversa alla tecnologia, viene in contatto con la musica in un modo nuovo: non è dovuta passare dal cd al digitale, ma è nata digitale. Per cui l’oggetto fisico in questa fase storica ha assunto un valore secondario rispetto alla fruizione della musica e questa cosa ha sbloccato completamente il mercato. La musica nuova italiana ha preso piede, ma non è un fenomeno soltanto italiano, bensì mondiale. Prima c’era una blindatura, ci sono stati 10-15 anni in cui i nuovi artisti che sono emersi, che sono esplosi, sono stati pochissimi. E invece adesso sono due, tre anni, che ci sono tantissimi nuovi artisti che hanno occupato gli spazi.
Come mai secondo te e poi perché il Primo Maggio è diventato così simbolico a riguardo?
È nata la voglia di confrontarsi in maniera serena con la nostra natura: la musica Italiana è nota per il bel canto, per la melodia, sono gli elementi ancestrali del nostro fare musica. Tutto il mondo ci conosce e ci ha conosciuto per questo, ancora oggi l’Opera ha una prerogativa di chiave italiana. E quindi noi in passato ci siamo confrontati con questo nostro retaggio culturale con un po’ di fastidio perché volevamo essere americani, “Tu vò fa l’americano” del resto. Nell’ultimo periodo questo velo è caduto e gli artisti hanno cominciato ad apprezzare questa nostra dote, quindi sono nate tante canzoni. Io sono sempre stato convinto che quello che fa nel tempo il successo dell’artista sono le canzoni, perché l’arrangiamento è un vestito che puoi mettere a una tua canzone, però se le canzoni sono belle, hanno bei testi e hanno una bella linea melodica e sono ispirate, restano. Si è tornato a fare le cose con più naturalezza probabilmente spinti anche dal successo della nuova musica, da queste possibilità di emergere che sono nuove, perché 5-6 anni fa quello che sta succedendo adesso era impensabile. Quindi abbiamo preso coraggio, gli artisti hanno preso coraggio e si è cominciato a lavorare con più serenità alle canzoni, lavorando appunto sulla qualità, sul linguaggio. Io ho sommato la suggestione che mi lega all’evento del Primo Maggio e questa opportunità mondiale che in qualche modo si è manifestata in questi ultimi anni, quindi mi è sembrato logico per un evento che per interesse e come peso era un po’ scemato: era diventato un po’ retorico invitare gruppi e artisti che erano noti e conosciuti e famosi negli anni ’90 quando c’era un altro tipo di scena e rinnovare come se fosse una liturgia quel tipo di storia. Il Primo Maggio non era più carne viva, non era più una realtà raccontata su un palco, era più che altro un ricordo, una ricorrenza strumentale, e invece questa innovazione ha portato a un interesse crescente.
Quella del 2019 è una edizione ancora più forte del passato?
Penso che quest’anno il cast sia molto più a fuoco rispetto al racconto della musica attuale. Gli artisti che l’anno scorso dovevano essere convinti adesso invece sono contenti di partecipare, hanno colto questa voglia di raccontare il nuovo come un’opportunità anche per loro e per la loro carriera e voler essere presenti a questa manifestazione che ha comunque un’importanza simbolica enorme. Quindi mi fa piacere di aver avuto l’intuizione giusta al momento giusto e di aver riportato il concerto del Primo Maggio al centro dell’attenzione nazionale e con la considerazione che merita un evento di questa portata.
Ci sono artisti, come Achille Lauro per dire, che non soltanto oggi vengono considerati accettabili ma anzi vengono celebrati, quando solo un anno fa sembravano un’eccezione, una particolarità. C’è un merito anche del Primo Maggio di aver sdoganato certi contenuti, certi artisti?
Se Achille Lauro, Ex-Otago, Ghemon, Zen Circus sono andati a Sanremo quest’anno tra i big e l’anno scorso, due anni fa, erano al Primo Maggio, se i Thegiornalist e Coez sono passati da noi tre anni fa, direi di sì. Noi abbiamo avuto tante proposte di trapper anche in quel momento molto più importanti di Achille Lauro per essere inseriti nel cast. Noi abbiamo scelto lui che era in quel momento meno in vista ma di cui ci piaceva il linguaggio e ci abbiamo visto giusto, perché poi alla fine è riuscito con il suo racconto e la sua storia controversa a ritagliarsi uno spazio di attenzione importante a livello nazionale. Una delle critiche che mi colpiscono di più ma non nel senso negativo ma che mi fanno più pensare è che noi dobbiamo essere un palco, un luogo di inclusione dove il diverso è accettato, dove ci si dialoga con il diverso, anzi la diversità è un pregio in tante circostanze, per cui quando mi si dice “questo artista non è da primo maggio perché…” sorrido un po’ perché se diventassimo un luogo di radical chic dove soltanto chi ha un certo pedigree può accedere mi preoccuperebbe. Vuol dire che non abbiamo capito niente di quello che è successo in questi anni. Io devo essere come organizzatore di eventi e promotore culturale una persona che deve dialogare con tutti, deve capire le tendenze, capire i linguaggi e deve poter dialogare e ragionare con tutti.
È un modo per allargare il messaggio sociale del Concertone?
È una prerogativa del concerto del Primo Maggio dove chiaramente il messaggio sociale e civile è fondamentale, perché questo evento nasce in un giorno importante, significativo e deve tracciare quella giornata in modo speciale. È un luogo nel quale ci si incontra, ci si confronta e da quel palco voglio che vengano raccontati i principi del Primo Maggio non soltanto a chi già li conosce e li venera ma anche a chi non sa nemmeno cosa siano il lavoro e la festa dei lavoratori. Perché se noi parliamo soltanto al nostro pubblico, a quelli che sono già alfabetizzati sul principio della festa del Primo Maggio, non abbiamo ottenuto alcun risultato, ci siamo fatti la festa a casa. Io invece devo usare questa giornata per diffondere un messaggio anche e soprattutto a chi non ha proprio idea di cosa si stia parlando. E quindi come è sempre stato nella storia dell’umanità, la musica attira le persone ed è il mezzo con il quale portiamo le persone in piazza e davanti alla televisione e alle quali poi andiamo a raccontare certe cose.
Il Primo Maggio genera sempre polemiche, come si sopravvive a queste e come si risponde?
Si sopravvive serenamente quando si è fatto una scelta consapevole sapendo quello che si stava andando a fare, è chiaro che il cast del Primo Maggio non è fatto in base a quello che piace a me, perché non è la mia festa di compleanno, quindi è un evento nel quale io svolgo un ruolo tecnico: ho competenze musicali, conosco la scena nella quale mi muovo e quindi in base alla linea guida editoriale che viene tracciata, decisa e condivisa con i promotori CGIL-CISL- UIL, con gli autori che lavorano con noi e anche con la RAI, noi in base a quella linea guida facciamo la programmazione. Io posso soltanto decidere di raccontare alcuni aspetti della società anche attraverso la musica assumendomene la responsabilità e anche ragionando sul fatto se ho fatto bene o meno.
Il primo maggio sembra un po’ riverberare un certo approccio che c’è in Italia: ci concentriamo sulla musica italiana e sempre meno sulla musica internazionale. Anche quest’anno c’è un solo ospite internazionale, negli anni passati veniva visto come un malus, un deficit, negli ultimi anni sembra quasi un plus.
Abbiamo venerato per anni in maniera cieca qualsiasi cosa provenisse da oltre i confini italiani, quindi la musica inglese e americana anche peggiore era sempre meglio della migliore musica italiana per sudditanza psicologica. A me piace che ci sia tanta musica italiana perché amo la musica italiana. La musica local a livello mondiale ha preso più spazio. È un trend mondiale che in Italia ha anche la sua ricaduta. L’artista internazionale in genere è importante, avere Noel Gallagher sul palco ci da forza, anche per completare il cartellone, però ha dei costi importanti perché bisogna spostare tante persone da un’altra nazione mentre il budget del primo maggio è piccolissimo e risicatissimo quindi si sta in equilibrio con grande difficoltà. Secondo me dare spazio alla musica italiana è una funzione importante del concerto perché racconta quello che sta succedendo nel paese, lo rappresenta, poi magari ci saranno momenti in cui sarà più logico chiamare 10 artisti stranieri, per me è più interessante in questo momento che la gente veda in tv e in piazza il meglio degli artisti italiani dal vivo.
Come vedi alla fine di questo decennio e il decennio che si proietta, gli anni 20?
Sarà interessante perché si esauriranno le mode e si tornerà come negli anni 90, più ibridi, meno marchiati: vedo grosse similitudini tra questo decennio e gli anni 80 quando c’era una forte caratterizzazione della musica, del vestire, del parlare. Gli anni 80 poi hanno saturato ed è esploso il caos degli anni novanta che hanno portato a fenomeni bellissimi come il grunge, una reazione fantastica all’omologazione pop degli anni 80. Io penso che gli anni 20 saranno come gli anni 90, aspetto che possano tornare le chitarre ad essere protagoniste.