Venendo alla parte musicale del disco, è un album che introduce qualcosa di nuovo anche per voi: sintetizzatori, pianoforti e in generale un’apertura sonora non banale. Anche questo è un modo per guardare al futuro?
Sì, sicuramente. Siamo un gruppo che non si è mai risparmiato di sperimentare, perché per noi la sperimentazione non è necessariamente rottura col passato, ma piuttosto un condurlo in un vicolo nuovo. Come “Uno” aveva già cercato di emanciparsi dal nostro vecchio sound, dalle nostre chitarre elettriche, anche questo disco credo segni l’inizio di qualcosa di nuovo.
Ne sono contento, anche perché questo 2022 è un anno importante, che ha visto il ritorno vostro, dei Verdena, di Manuel Agnelli come solista: degli artisti che per me hanno fatto la storia del rock italiano. Anche se il concetto di rock è ormai estetizzato – sai a chi mi riferisco parlando dei gruppi di oggi – ha senso parlare di rock, ti senti ancora un artista rock e che cosa è secondo te il rock oggi?
A me non interessa portare avanti e affermare la cittadinanza rock dei Marlene Kuntz “rock”, ma dei Marlene che fanno buona musica. Il rock di questi tempi non è esattamente un tipo di musica che rappresenta rinnovamento ed innovazione. Gli artisti di tutto il mondo che vengono dal rock oggi si riconoscono perché sono quelli dalle produzioni eleganti ed essenziali. Credo i Marlene siano in linea con questa onda di eternità e che fra i dischi degli artisti che hai citato il nostro sia quello più vicino al suono che si ascolta in Europa; i Verdena e Manuel Agnelli hanno fatto dei buoni dischi rock, un po’ più lontani da quello che si ascolta fuori dall’Italia. Al di là di quello noi tre siamo sicuramente tre progetti musicali molto lontani dalla resa, siamo ancora qui e probabilmente fra i migliori.
Questo lo confermo e questa eredità è la conferma che chi rimane ha qualcosa da dire. Bello e anche curioso che l’unica guest del disco, nel panorama musicale che è invece costellato di featuring e apparizioni, sia un’artista apparentemente lontana dal vostro mondo e cioè Elisa, la vostra musa in “Laica preghiera”. Come siete arrivati a collaborare con lei e qual è il punto di incontro dei vostri mondi musicali?
Elisa da sempre apprezza i Marlene ed è un’artista molto attenta a ciò che accade nel mondo della musica. Non ascolta solo il mainstream ma anche il rock più di nicchia, quindi era la persona giusta per essere introdotta nel nostro disco, non solo perché è nostra fan, ma perché è una grande ascoltatrice e quando abbiamo fatto dei live insieme ha tirato fuori dei passaggi vocali assurdi. Molto più di un’icona pop.
Anche lei ha una grande carriera alle spalle e dimostra di avere qualcosa da dire.
Arrivando alla fine dell’intervista e ringraziandoti per il tempo, noto una simbolica sovrapposizione nell’ultima traccia, “L’aria era l’anima, l’acqua invade tutto e noi ci affoghiamo dentro”. Forse ci manca quest’aria che è davvero la vita e la rimpiangeremo? Non a caso sono i bambini, le nuove generazioni, a chiudere il percorso.
Questo è il tipo di mossa artistica che si fa quando si ragiona e si vuole per chiudere un percorso di un certo tipo. È una scelta artisticamente molto coerente: il disco si chiude così perché purtroppo quella è la visione più immaginabile e vicina a questa distopia. L’aria ha la sua importanza, mi immagino un mondo non disturbato dall’antropocene, quando alla sera arriva l’aria fresca e penso invece al nostro mondo surriscaldato, che quell’aria non l’avrà più.
Questa distopia infatti è diventata un futuro nemmeno troppo lontano, purtroppo, è diventata la realtà.
Sono contento che tu faccia questa precisazione perché ogni volta che uso la parola distopia mi rendo conto che è una parola nemmeno troppo adatta, ormai. Le onde nella città di cui parlo non si riferiscono alle onde di 10 metri possibili, ma banalmente anche a una città resa invivibile da 75 cm di pioggia.
“End Of The Empire”, dal nuovo disco degli Arcade Fire, ricorda molto il vostro lavoro perché parla appunto della California che viene sommersa dall’acqua, sostituita da un mare immenso. Nel vostro disco però ci sono i bambini, che in un certo senso accettano questa fine dell’umanità. Come possiamo convivere con l’idea che i nostri figli si stiano preparando a tutto ciò?
Ascolterò! Beh, è straziante. Quello che io dico a mio figlio, che ha 24 anni, è che sicuramente a salvarsi saranno i ricchi. Posso dirgli di fare la raccolta differenziata nel miglior modo possibile, posso dirgli di comprare una macchina elettrica, ma gli dirò anche che non sarà questo a salvarlo in una deriva. Non mi sembra così impossibile come scenario. Sei autorizzato a credere che io stia esagerando però [ride, ndr].
No, in realtà mi trovo molto in linea con questo discorso, ormai sono mangiato dal cinismo, ma è bello che qualcuno parli di ciò, lo denunci. Per me l’arte dovrebbe avere un impegno, o almeno una parte di essa. Conversazione piacevole, grazie!