I Marlene Kuntz tornano con un disco che è più di un disco: “Karma Clima” è un progetto d’ampio respiro (oltre l’album, anche una residenza artistica e un percorso itinerante tra le venue più ecosostenibili), che vede la band piemontese impegnata nel raccontare il futuro da incubo che ci aspetta a causa dei cambiamenti climatici che dovremo affrontare a breve. Un’opera d’arte che rivendica il proprio ruolo sociale senza vergogne, anzi, con la forza e il talento di uno dei migliori autori italiani.
Con Cristiano Godano abbiamo parlato di cosa significa cantare di qualcosa sotto gli occhi di tutti, e di cui pochi sembrano davvero preoccuparsi, e se – e quanto – c’è bisogno oggi che siano gli (anche) gli artisti a indicare il problema.
– di Riccardo De Stefano –
Inizio facendoti i complimenti per l’album. È un disco molto bello – e non è una sorpresa. Si tratta di un vero e proprio progetto: come è stato realizzarlo, in un mondo in cui ormai non c’è quasi più una progettualità artistica?
La tua precisazione mi fa riflettere sul fatto che avere un progetto di questi tempi – in cui tutto dura un battito di ciglia – sia una forma di resistenza. Per contrasto, ci siamo voluti impegnare in qualcosa di molto intenso e di molto denso. Ci siamo voluti prendere il tempo per articolarlo, che non significa solo farlo bene musicalmente, ma anche contornarlo di una serie di altre opportunità per valorizzarlo. Da questa idea si è formata quella più concreta di questi luoghi di montagna descritti più volte; l’urgenza del cambiamento climatico ha fatto la sua parte. Una serie di idee si è intrecciata in un progetto di più ampio respiro che ci vede impegnati da un punto di vista non solo artistico ma anche civico.
In un certo stiamo vivendo un ritorno forte del pop, non solo in classifica ma proprio nella testa dei giovani, convertiti a una musica leggerissima, per citare Colapesce e Dimartino, che ci ha fatto perdere la funzione sociale. Forse la nostalgia degli anni ’80, periodo di leggerezza, ha fatto la sua parte. Tu come vivi questo momento di apparente leggerezza?
Non riesco a non intravedere una connessione tra questa leggerezza di cui parli con le dinamiche dei social, di internet e della velocità con cui acquisiamo informazioni. Informazioni che sono solamente pagine scrollate e non lasciano nulla: non ci predispongono all’attenzione e questo probabilmente si riversa in usi, costumi e abitudini, anche nel modo di fare musica e recepirla. Queste sono le mie risposte che mi sono dato in seguito a una non adeguata riflessione su un tema sociologico complesso.
Anche nel vostro stesso lavoro il tema dei social è un punto di riflessione.
Sì, io sono molto arrabbiato con le dinamiche dei social. Credo che da parte mia ci sia la volontà di coinvolgere anche l’interiorità della gente. Se ti fai un giro in metro a Milano l’80% delle persone sta col telefono in mano: c’è una tale incapacità di soffermarci sulle cose che mi fa pensare alle solite entità mostruosamente e inelegantemente ricche. Non solo sono ricche, ma lo sono anche al nostro danno: ci impoveriscono arricchendosi.
Visto che i due argomenti sono connessi, vi chiedo un parere sulla vicenda delle ragazze che hanno lanciato una zuppa contro un quadro di Van Gogh a Londra, alla domanda “Vale più un quadro o l’ambiente?”. Credo che questa questione riverberi nel vostro lavoro.
Quindi vi rigiro la domanda e vi chiedo: secondo voi con l’arte si può attirare l’attenzione per fare un discorso sull’ambiente?
Ovviamente la presa di posizione di queste ragazze non è paragonabile a fare un’opera d’arte per attirare l’attenzione sulla crisi ambientale, che credo sia da parte di un’artista il gesto più bello. Penso che in quanto artisti abbiamo il potere – magari tramite un disco – di fare riflettere le persone. Purtroppo, c’è ancora molta ignavia circa la crisi ambientale, c’è una consapevolezza che viene sempre rimandata per un motivo o per un altro. Questo procrastinare ce la farà pagare cara. Riguardo alle ragazze ho un’opinione controversa, alle nuove generazioni pare rimanere solo un gesto molto forte come questo per avere attenzione e io sono perfettamente in empatia con loro. Ho incontrato i ragazzi di Fridays For Future: persone splendide, che non perdono tempo, persone molto preoccupate, a differenza nostra, che meriterebbero ascolto. Chiaro però che dall’altra parte ci dovrebbero poter essere altre forme di provocazione più soft per farsi notare: cercare di distruggere un capolavoro è sbagliato – oltre che una responsabilità enorme – però ripeto che questi ragazzi stanno anche lottando con noi, che non ci vogliamo rendere conto degli effetti tangibili del cambiamento climatico. Il problema ci riguarda.