Partirà a gennaio il “Megabisso” Tour di Margherita Zanin. Lei che a quanto pare ama giocare con l’estetica e la pronuncia delle parole dove può. Come dimostra anche il titolo del suo nuovo disco “Distanza in stanza” alla cui produzione intervengono anche Giovanni Garibaldi e Lele Battista oltre ad una sequela di artisti noti della scena indie, da Motta a Morgan passando per Appino e Omar Pedrini, che hanno introdotto i singoli brani con una frase registrata al momento, dal telefono o poco più. E queste canzoni, sono proprio le canzoni di Margherita Zanin che ormai conosciamo e anzi che riconosciamo benissimo. La sua personalità, la sua forma canzone, quel suo modo americano di usare la sua voce che canta in italiano. Perché questo disco è un disco italiano, anche se non sembra. E questa scena che suona, si fa digitale e rende un po’ tutto industriale, liquido, metropolitano. “Distanza in stanza” è una presa di consapevolezza, è l’accettazione, è il guardare con verità anche alla rassegnazione per poi trasformare il tutto in energia vitale che salva e fortifica.
Torna Margherita Zanin. Ti abbiamo lasciato con l’EP di passaggio tra il vecchio ed il nuovo. Ti ritroviamo oggi con un disco decisamente nuovo, nel modo di essere e nei suoni. Però devo dire, se non sbaglio, che sei sempre stata catturata dal suono industriale, quello digitale, dagli scenari metropolitani. Non è vero?
Sono una sopravvissuta come tutti voi. Le emozioni e la vita regalano sempre momenti indimenticabili. Sono una persona nuova, bravi; non diversa. Mi sento sempre Marghe, quando decido di guardarmi dentro e nel profondo. Mi piace seguire questa scelta. Il mio nuovo disco si chiama “Distanza in Stanza” ed è vero, le canzoni, la produzione, hanno un cuore liquido. Un po’ metropolitano. È stato prodotto un po’ tra casa mia e Le Ombre Studio di Milano con Giovanni Garibaldi e Lele Battista. La musica elettronica ha mille volti e mille vite. Credo che piacciono a tutti gli scenari industriali soprattutto quando diventano pittoreschi. Anche quando in viaggio di ritorno, subito sento il bisogno di sedermi sul prato davanti a casa.
Tra l’inglese e l’italiano… come mai hai scelto la seconda?
Credo di non aver mai scelto tra italiano ed inglese. Mi piace così tanto scrivere e cantare che non mi impongo di scegliere. Quando canto in italiano mi sento più libera di esprimere quello che sento dentro. Quando canto in inglese, a volte pure un po’ stereotipando, acquisisco una sensazione di libertà nella voce che mi spinge ad osare in modo diverso. Mi piace la musica, è come un dolce morbo, ti incanta sempre, ti ossessiona perché ti senti.
Te lo chiedo perché brani del tuo passato tipo “The Lord Coming Home” davano a tutta la tua personalità artistica un equilibrio che forse oggi faccio fatica a ritrovare. Tu come la vedi, come ti senti a riascoltare la Zanin di quel disco?
Mi sento bene e male allo stesso tempo. I dischi sono fotografie di periodi umani e così fotografia di eventi personali e di interesse sociale. I cantautori sono specchio di una realtà più sognante indipendentemente dal genere o dalla canzone sapendo che esistono mille variabili. Secondo me uno dovrebbe seguire la naturalezza degli eventi e seguire in modo veritiero quello che prova e sente per ritrovare il giusto rispetto senza basarsi sul momento, che finisce sempre con il trasformarsi e generare un ricordo. Seguimi…
La musica ha un’oggettività e una soggettività ma un artista continua a rimanere tale nella sua anima e poi forse cambia nello stesso modo in cui cambiano tutti.
Di solito la parte che mi diverte di più è di non sapere niente. “Distanza in Stanza” è il disco dopo, magari meno interessante per alcuni oppure molto più interessante per altri. Sicuramente per me è stato importante realizzarlo e non lo cambierei mai.
Io sono per le luci soffuse e per le intime situazioni. Dunque apprezzo tantissimo questo passaggio di rotta verso situazioni più notturne e metropolitane, più intime per quanto il suono non sia così “privato”. Ma ti chiedo: dov’è finita quella luce? Perché sembra che tu l’abbia lasciata in luogo di questo nuovo modo di essere?
Pensavo di averla trovata, poi ho capito che c’era sempre stata. Oggi so di averla almeno vista e quindi, di conseguenza, l’ho pure vissuta. Alla fine non ho capito cosa mi sia realmente successo. Forse provavo un forte desiderio di cambiamento da accettare. La musica mi ha riavvicinato a chi amavo, mi ha portato su tanti bei palchi, mi ha fatto conoscere tante persone diverse che mi hanno lasciato tanto.
Il percorso continua…
Così se ti chiedessi perché “Zanin” era un disco chiaro nei colori di copertina e invece “Distanza in stanza” è così scuro?
Black & White, Colours of my mind, Blue Sky.
Like my eyes, Darkness inside.
E per chiudere ti abbiamo ascoltato anche in versione acustica. In particolare c’è un bel video live del brano “La stanza del mondo” in cui alla tua voce si aggiungono solo due chitarre. Come ti vedi in questa dimensione più reale, nuda, sicuramente più “italiana”?
Mi piace tanto, le atmosfere acustiche creano sempre un’insolita magia intorno.
La musica è feeling, non c’è niente da fare. I posti e le persone contribuiscono sempre.
Quel live di cui parli è stato girato a Genova, per l’esattezza in Piazza delle Fontane Marose dai miei carissimi amici dell’ILM (Intimate Live Music), con il contributo di Fuori Onda Film. Consiglio a tutti di cercare queste persone e dove è possibile, scoprire le bellissime iniziative che organizzano in giro per l’Italia.
Vi aspetto a gennaio dell’anno nuovo con il mio Megabisso Tour! A presto!