– di Martina Rossato –
Attraverso la musica si può raccontare (quasi) di tutto. Alcuni artisti scelgono di parlare di amore, altri di politica, altri ancora scelgono di non accompagnare parole alla musica per trasmettere pure emozioni. Marco Sonaglia sceglie di parlare di attualità, in tutte le sue sfaccettature, a partire da quelle umane, per arrivare ai risvolti politici. Ballate dalla grande recessione è un’antologia di canzoni contro le ingiustizie. “La più grande crisi recessiva dalla seconda guerra”, così Marco definisce il periodo che stiamo vivendo, da cui il titolo del suo terzo album.
Con i testi del poeta Salvo Lo Galbo, Marco Sonaglia è riuscito a cucire insieme dieci tracce molto piacevoli all’ascolto, sullo stile dei cantautori italiani. Seguendo le orme dei grandi Maestri come De André, Battiato e Lolli, le canzoni di questo album non sono mai leggere, ma pregne di significati socialmente e politicamente impegnati. Nonostante portino con sé il peso della storia umana di mondi diversi, si tratta di brani molto piacevoli all’ascolto. Essi necessitano infatti che si presti molta attenzione (soprattutto ai testi) durante l’ascolto, ma ciò risulta anche molto naturale: ci piacerebbe non perdere nemmeno una parola.
L’album era stato anticipato dal singolo “Primavera a Lesbo”, una canzone che ci fa camminare tra i profughi del campo di Moria, offrendoci un manifesto contro le atrocità di cui è stato teatro nella primavera dello scorso anno, mentre il mondo impazzava, spaventato da quel mostro strano ed invisibile del Covid. È in quello stesso periodo che, sull’isola di Lesbo, una bimba di appena sei anni non è sopravvissuta ad un incendio, quando le fiamme hanno seminato panico tra gli abitanti del campo. Questa canzone urla, ci chiede di non dimenticare mai questi avvenimenti.
Oltre al singolo, l’album è composto da otto “ballate” più la traccia conclusiva, “La mia classe”. Ogni brano è una dolce dedica; ogni brano è un forte grido di denuncia. Una delle ballate è dedicata a Stefano Cucchi. Tutti conosciamo la sua vicenda, che risale ormai a undici anni fa, al 22 ottobre 2009. Stefano era stato arrestato da sei giorni. Aveva trentuno anni. Un’altra è dedicata a Mimmo Lucano (che Marco definisce come “uno zero”), un’altra al celeberrimo Articolo 18, di cui tanto si è discusso, si parla poi di Lola Horowitz grazie alla quale si arriva a toccare il tema della Shoah (è lei la “ballerina”), e così via.
La musica di Marco è capace di riprendere il grande cantautorato italiano e di farlo proprio. Un altro esempio? “Ballata per Claudio” è un omaggio a Claudio Lolli e alla sua “Aspettando Godot”. Sulle note di un dolce arpeggio di chitarra, “Godot è venuto, ed occhi ha avuto i tuoi, l’indirizzo di una certa Maria e la giacca di quelli come noi”. Godot è quindi finalmente arrivato, ma questo cosa significa? La domanda “chi ha più visto zingari felici?” non sembra poi prospettare un lieto fine.
È indiscutibile il fatto che ciascuna delle canzoni contenute in Ballate dalla grande recessione abbia una propria, fortissima e ben definita identità. Ma è anche vero che ciascuna di loro non sarebbe potuta nascere dalla sola penna di Lo Galbo: hanno tutte dei richiami altri. Questo è vero anche per “Ballata di un’antropofaga”, un riadattamento da “L’Antropophage”, poesia del 1887 di Eugene Pottier.
Niente è casuale. Ogni parola è al suo posto (a partire dal titolo), così come lo è ogni nota. L’intero album è composto da canzoni dedicate ad avvenimenti ed ingiustizie che non potranno mai essere riparati. L’unico lieto fine previsto da Marco Sonaglia è la speranza che in futuro non si ripetano gli stessi crimini. Questo è lo scopo delle dieci tracce: chiedere a chi le ascolta (ma chiedere in realtà a tutto il mondo) che le barbarie avvenute fino ad ora ci siano di monito per non ripetere i nostri stessi errori.