Marco Mestichella è abruzzese di nascita ma londinese di adozione. Dopo essersi trasferito nella capitale inglese alla tenera età di diciotto anni, ha dato avvio ad un percorso musicale fatto di apprendistati illustri (nel 2013 è alla British Academy of New Music) e gavetta discografica. Tales Of Falling Walls è il suo terzo lavoro ed è stato realizzato grazie al crowdfunding portato avanti su Musicraiser. Ma l’album deve molto anche ad alcuni incontri folgoranti, fra cui quelli con Claudia Heidegger, coautrice del disco, e con il produttore inglese Joe Rodwell, che ne ha curato la direzione artistica. Il risultato è una collezione di sette pezzi in cui il soul incontra la psichedelia e i Pink Floyd vanno a cena con Amy Winehouse. Noi di ExitWell abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con Marco in occasione del release party romano del disco, andato in scena al Circolo Culturale Altro Spazio.
Iniziamo con questa domanda: chi è Marco Mestichella?
Ciao! Allora, sono di origini abruzzesi, ma come artista nasco a Londra. Mi ci sono trasferito nel 2009, dopo aver finito il liceo. Lì ho iniziato a frequentare alcune accademie e scuole di musica, poi ho cominciato a fare musica a livello indipendente. Questo è il mio terzo EP. L’anno scorso ho anche avuto un’esperienza di sei mesi a Berlino, che mi ha permesso di catapultarmi in una realtà diversa e di arricchire il mio sound con stimoli diversi.
Come sono le scene di Londra e Berlino?
Bè, sia Londra che Berlino sono città molto aperte. Sono un esperimento continuo a 360 gradi, quindi ci si mette sempre in discussione, si ha sempre la possibilità di migliorare. Il pubblico inglese, poi, è molto attento. Si siede e ti ascolta. Lì hanno una cultura musicale e vengono solo per ascoltarti suonare.
Quali sono le tue influenze personali? Io ho notato che mescoli il sound caldo del soul a là Amy Winehouse a certe trovate compositive che invece devono molto alla psichedelia.
Sì, sicuramente. Sento molto l’influenza dei Pink Floyd, della loro anima più sperimentale. Ma di mezzo c’è anche il pop, George Michael, Madonna, David Bowie. Oltre a un certo tipo di elettronica britannica anni ’90, tipo Massive Attack e Portishead.
Che significato vuole avere il titolo dell’EP? E come si abbattono i muri di cui parli?
Eliminando l’ignoranza, il pregiudizio, ma soprattutto questo costante senso di competizione che c’è fra le persone. C’è bisogno di restringere quella parte di noi che ci porta a giudicare e etichettare gli altri. Solo così possiamo arrivare ad essere delle persone più complete, umane e dignitose.
Com’è stato lavorare con dei produttori inglesi? Quali sono le differenze rispetto all’approccio italiano?
Bè, io ho cominciato a Londra, per cui non ho mai lavorato sul territorio italiano a livello musicale. Non posso fare un paragone, perché mi mancano i termini. Conosco solo questa tipologia di lavoro, molto precisa, organizzata ed efficiente. Mi piace perché porta sempre a dei risultati.
Quindi non c’era un’atmosfera rock’n’roll mentre registravate?
No, assolutamente!
Progetti futuri?
Promuovere il disco! A breve verranno estratti altri singoli dal disco e continueremo a eseguire concerti dal vivo. Principalmente a Londra, ma conto di tornare anche in Italia perché voglio fare tante serate.
Giovanni Flamini