– di Lucia Tamburello –
“Adesso (ri)torni a casa”: a distanza di un anno dall’uscita del suo EP d’esordio, Marco Fracasia trova un non-luogo senza connotati specifici, ma intimo e protetto, con “Adelaide”: una raccolta di sei tracce pubblicate per 42 Records e prodotte da Marco Giudici. Questo ambiente si concretizzerà con un’edizione limitata in vinile, un cofanetto e un tour di presentazione.
In che misura Adelaide, la creatura immaginaria che vive in un mondo sospeso tutto suo, ha contribuito nella scrittura di questo album?
In realtà il concept della creatura è nato dopo la scrittura di tutti brani (anche di “Adelaide”, che infatti aveva un altro titolo). Sicuramente ha contribuito a dare un’identità precisa all’EP, facendo in modo che ogni canzone avesse un significato preciso e, soprattutto, aiutando me a non perdere la testa. È arrivata quasi per caso, dopo qualche ora passata in un maneggio non tanto lontano dalla città in cui vivo.
Adelaide è anche un animale che non né razza né genere; quanto è importante questa assenza di connotati per la ricerca di una via di fuga da un mondo che ci fa sentire inadeguati e inadatti che da concept a questo album?
Il concetto importante per me non è tanto l’assenza di connotati quanto l’idea che Adelaide possa vivere in qualsiasi forma. Ad esempio, nella copertina dell’EP è rappresentata dal mio cane Giacomo, nella copertina del cofanetto (si, abbiamo stampato 50 cofanetti che contengono entrambi i miei EP acquistabili sul sito di 42 Records) è rappresentata da un’interpretazione di Jacopo (Familia Povera).
I brani sono molto intimi e quasi personali; quanto fa paura mettersi così tanto a nudo di fronte ad un pubblico?
Non fa paura, o comunque, personalmente, non temo nulla di tutto ciò. Se non parlassi di cose reali non potrei scrivere, non sarebbe un lavoro sincero e non mi porterebbe da nessuna parte. E poi, onestamente, non credo di mettermi così tanto a nudo, spesso riesco a trovare alcune scorciatoie (la mia preferita è usare la seconda persona singolare al posto della prima) per nascondermi.
In riferimento alla traccia finale, cosa ti spinge a raccontare pezzi di vita e a condividere i tuoi pensieri con altri quando “Odi tutti e non ti piace la realtà”?
Ok. Però alcune canzoni nascono in maniera spontanea, e se ci si concentra si riesce a finirle in poche ore. È il caso di “Odio tutti e non mi piace la realtà”: l’ho scritta in maniera impulsiva in un momento di sconforto e dopo averla fatta sentire a Marco Giudici (che ha prodotto l’EP) abbiamo capito che era da tenere.
Nell’art work, nelle foto correlate a questa uscita, ci sono degli animali; come mai?
Forse dovrei fare pet therapy. Amo il mio cane e in generale la presenza di animali mi fa stare bene, mi tranquillizza. Mi piace associare aspetti della vita “umana” ad aspetti della vita “animale”, sia maniera scherzosa che in maniera seria.
“Adelaide” è un disco con una scrittura originale, ma che rimane comunque dentro i confini del cantautorato e del pop; quanto è stato facile/difficile rielaborare i canoni classici di questi generi?
Io non ho rielaborato e non rielaborerò mai niente, non credo che sia possibile farlo nel 2024. Semplicemente sono un grande fruitore di musica e adoro essere influenzato da quello che ascolto ogni giorno, cercando di imparare da chi a sua volta ha imparato da chi a sua volta ha imparato da chi a sua volta ha imparato eccetera.