– di Assunta Urbano –
Ho visto Marco Castello suonare dal vivo in apertura ad Andrea Laszlo De Simone il 19 settembre scorso in occasione della serata targata Spring Attitude. È salito sul palco con nonchalance, cantando: “Mi hai disegnato un cazzo sul diario”, l’intro del singolo Porsi, e la prima cosa che ho pensato è stata: “Questo è matto”. E i folli, si sa, attirano positivamente gli spettatori.
Marco Castello è un cantautore e polistrumentista di Siracusa, che in questi anni ha girato il mondo grazie al suo progetto La Comitiva accanto ad Erlend Øye dei Kings of Convenience. Il musicista è attualmente la più fresca scommessa di casa 42 Records, con cui ha pubblicato quattro brani, Torpi, Porsi, Cicciona e il recente Dopamina. Le canzoni saranno inserite in un album, che vedrà l’uscita il prossimo anno anche nel resto d’Europa grazie alla collaborazione con la label Bubbles Records.
Siamo curiosi di scoprire cosa ne verrà fuori e proprio per questa ragione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui.
Venerdì 4 dicembre hai pubblicato il tuo quarto singolo Dopamina. Di che parla questa canzone?
È un pezzo che ho scritto ad inizio 2019. Avevamo già registrato alcuni brani dell’album e questo qui è venuto fuori in una seconda fase. Ci è piaciuto, sono andato a registrarlo a febbraio ed è entrato a far parte di questa raccolta di brani. Dopo l’uscita di Cicciona, che era un po’ un inno al godere di tutto quello che si può, questa è invece una provocazione, ma anche un interrogativo. Un domandarsi se davvero tutte le pippe mentali che ci facciamo sono utili o se è soltanto perché abbiamo bisogno della dopamina da cui siamo assuefatti.
Con la frase “è il giorno che un analfabeta mi fa la morale” a cosa ti riferisci di preciso?
Ormai chiunque ha la possibilità di dare giudizi e di essere un esperto di qualsiasi cosa, pur sapendo a mala pena leggere e scrivere!
Anche i social non aiutano.
Sì, assolutamente. Ognuno è così depresso che pur di fingere di avere una vita più speciale di quella che ha, preferisce accettare dei complotti, per sentirsi un po’ il furbone che ha scoperto la verità, quello più intelligente.
Per presentare il pezzo al pubblico ti sei lanciato, sempre venerdì, in un’impresa titanica: una giornata intera in cui hai tenuto circa diciannove concerti in live streaming su Zoom, per poche persone selezionate via mail. Raccontaci di questa follia, di come è nata l’idea e come hai vissuto questa giornata.
È stato faticosissimo, però molto bello. Abbiamo cominciato alle dieci e mezza di mattina e abbiamo finito alle undici e mezza di sera. Abbiamo fatto questi piccoli set in cui ho parlato con persone diverse, sconosciute. Da un certo punto di vista, si è trattato di qualcosa di nuovo, perché davanti ad un pubblico difficilmente poi ti fermi a parlare faccia a faccia. È stato un po’ come un lunghissimo dopo concerto, quando vai a salutare le persone fuori. C’è stata anche questa cosa delle proposte e non sapevo cosa avrebbero potuto chiedermi.
Erano tutte improvvisate, giusto?
Certo, tutto improvvisato. Con qualcuno mi sono anche scusato, perché non sapevo di cosa stesse parlando. È stato bello. Qualcun altro ha chiesto di Colapesce. Siccome c’era Emiliano [Colasanti, ndr.], il capoccione di 42 Records, che è molto amico anche con lui, a sorpresa sia mia sia del pubblico che aveva richiesto quella canzone, è entrato nella conversazione. È stato divertentissimo. Poi ad un certo punto, c’è stato pure un bombing, perché Colasanti ha reso pubblico il link della conversazione e qualcuno lo ha spammato in qualche forum. Ad un certo punto siamo stati invasi da centinaia di utenti che condividevano qualsiasi cosa. Lì abbiamo dovuto chiudere.
Una vera follia.
Certo. Di mattina ero da solo, poi sono andato a casa di un mio amico dove c’erano altri amici con cui suono e di sera invece sono andato a casa di Erlend [Øye ndr.] e abbiamo fatto qualche pezzo insieme a lui e La Comitiva, con cui ho suonato negli ultimi due anni.
Parlando proprio di idee, non si può dire che ti manchi la fantasia, anzi. Per l’uscita di Cicciona del 15 settembre ti sei cimentato in alcune video ricette su Instagram. Ovviamente non posso fare a meno di chiederti di consigliarci una tua ricetta “cicciona”.
Guarda, in questo periodo dato che fa freddo, ce ne sono tantissime. Sto venendo da un pranzo micidiale, in cui abbiamo mangiato questi ravioli di ricotta con sugo di maiale cotto per dodici ore. Una cosa incredibile! Ti consiglio questa ricetta qui.
Fantastico, ho già fame.
Ritornando alla musica, già solo con quattro brani sei stato bravo a crearti un tuo pubblico di ascoltatori. Cosa dobbiamo aspettarci invece dall’album completo? C’è una data prevista per l’uscita?
Purtroppo siamo costretti a rimandare continuamente l’uscita dell’album. Doveva uscire a novembre, poi la verità è che non possiamo fare concerti e non c’è la possibilità di promuoverlo. Sarebbe un’occasione bruciata. Quindi, le sorprese sicuramente non sono finite, ma spero di poter uscire con il disco il più presto possibile.
Ed anche tornare in tour, che è tutta un’altra cosa. Molti spettatori, infatti, ti hanno conosciuto nello splendido scenario del Teatro India, a Roma, quando il 19 settembre per Spring Attitude sei stato opening act di Andrea Laszlo De Simone. Altri ascoltatori, invece, si sono avvicinati al progetto La Comitiva, che ti ha visto girare il mondo con Erlend Øye dei Kings of Convenience. Considerando questa esperienza e aggiungendo che il lavoro uscirà anche in Europa grazie alla presenza di Bubbles Records, perché hai deciso di cantare in italiano?
Innanzitutto perché io voglio raccontare storie mie. Onestamente, poi, quando avevo scritto questi pezzi non avevo ancora idea di cosa sarebbe successo con La Comitiva, con Erlend Øye, con Bubbles Records. I brani esistono già da un po’, ma sono stati registrati in un secondo momento. Non capisco per quale motivo la musica debba essere necessariamente internazionale in inglese, anzi, non ci credo affatto. C’è tanta musica italiana diventata celebre nel mondo. Le mie influenze sono quasi tutte italiane, quindi va benissimo così. Oltretutto, non penso potrei esprimermi come vorrei in un’altra lingua. Già è difficile in italiano! [ride ndr]
È una cosa che non capisco, perché all’estero non viene avvertito come un limite la lingua in cui si canta, a differenza nostra.
Esatto, siamo fissati. Ma è anche una cosa che ha scocciato. Se si va fuori ci sono tantissime cose italiane che vanno fortissimo. Addirittura, anche dialettali.
Facciamo un balzo indietro a Porsi, in cui canti riguardo al periodo delle scuole medie “comunque tra tre giorni c’è la gita e io ho preparato un mostro di cd”. Quali erano le canzoni che avresti inserito su quella sorta di compilation per la gita all’epoca e quali invece sceglieresti oggi?
Il cd era un modo per far capire com’eri. Tu ascoltavi quella roba ed eri quella roba. Quel cd di cui parlo lo feci davvero all’epoca. Ero in quel periodo un fanatico dei Blink 182, Sum 41, Green Day. Poi mi ricordo che era appena uscita la colonna sonora di Shrek e c’erano gli Smash Mouth. Tutto quello che aveva una batteria potente mi piaceva. Adesso ti direi comunque di mantenere la componente percussiva, però sarebbe più calma. Ci metterei tanta musica brasiliana. Sicuramente anche Dalla e Battisti.
Lo metteresti qualche pezzo tuo?
No, i brani miei dopo che li ho fatti e li ho suonati, ascoltarli mi risulta difficile! È come scattarsi le foto da nudo e riguardarsele.
Sempre in Porsi c’è un alone di nostalgia pensando a quei giorni. “Un giorno sarò il re dei posti in fondo”. Secondo te, oggi quel momento per Marco è arrivato?
No! [ride ndr] Quella lì è una forma mentis che non potrò avere. Non sono mai stato l’anima della festa e non penso di esserlo adesso.
Poteva andare peggio, potevi essere quello che si siede accanto al professore.
Esatto!