Dopo aver finito di guardare il videoclip di Way Out, primo singolo estratto dall’album “Dots” di Mara, sono andato a fare una ricerca su Google: volevo capire se il Sole, apparso fiocamente dietro l’orizzonte di una spiaggia proprio in conclusione del suddetto video, stesse in realtà sorgendo o tramontando. Inizialmente ho dato per scontato si trattasse di un’alba, vivendo io sulla costa tirrenica ed utilizzando il mio presunto senso dell’orientamento per osservare la posizione del mare rispetto alla terraferma. Poi però ho realizzato che Mara è di Ravenna, e quindi trattandosi della spiaggia del Mar Adriatico avrei dovuto ribaltare la mia percezione. Così mentre mi perdevo in questi ragionamenti masochistici e assaporavo la mia ignoranza in merito, venivo a sapere da un sito web a caso che il Sole in realtà non sorge esattamente a Est e non tramonta esattamente a Ovest, ma un po’ più a Sud durante l’inverno e un po’ più a Nord durante l’estate, poiché “in estate il polo Nord terrestre è inclinato verso il Sole e dunque l’emisfero Nord terrestre riceve un numero maggiore di ore di insolazione rispetto all’inverno”. E ho capito che forse era meglio concentrarsi sulla musica.
“Dots” è un album da ascoltare tutto di un fiato, sia per la sua brevità (nove brani per ventitré minuti circa) sia perché una volta iniziato risulta proprio difficile fare altrimenti. Ogni brano rappresenta il tassello di un percorso, un puntino di sospensione, dot appunto, di un discorso che non è altro che la viva esperienza di Mara raccontata attraverso la lingua inglese dei testi e l’ammaliante dolcezza della sua voce. Voce che si mostra in tutta la sua eleganza già nei primi due brani, il già citato Way Out e il secondo singolo estratto Hitch, dal ritornello che entra inevitabilmente nella testa, ma che lo fa passando dalla pancia, e quand’è così non c’è nulla da avere in contrario. Dopo la brevissima Afternoon Here (uno dei due momenti strumentali) arriva l’episodio migliore per quanto riguarda strettamente la vocalità dell’artista, ed è Your Lies. Qui la voce di Mara rivela di dare forse il meglio di sé nei registri bassi, dove senza sforzi né enfasi riesce ad essere irresistibilmente espressiva. Una di quelle canzoni che si potrebbero mandare in loop.
Sul finale del disco è invece da segnalare Nine Threads, azzeccata cover dei dEUS, che vanno ad arricchire il già variegato mosaico delle influenze musicali. Per citarne solo alcune diremmo Pink Floyd, Beatles, Syd Barrett, Beth Gibbons dei Portishead, e Radiohead. Questi ultimi sicuramente motivo di ispirazione per la suggestiva B, episodio conclusivo dell’album, in cui Mara svela un’inaspettata vena elettronica. Un’atmosfera rarefatta e spigolosa in cui però la cantante dimostra di muoversi con grazia e agilità.
“Dots”, opera prima di Mara, è un album delicato, essenziale, in cui vige un equilibrio soffice e confortante. Ma allo stesso modo in cui un istante di un’alba può essere confuso con l’istante di un tramonto, così il candore della musica di Mara a tratti inganna, lasciando presagire la proverbiale tempesta che arriva dopo la quiete. Ma la tempesta qui non arriva mai, e forse è per questo che fa ancora più paura.
Matteo Rotondi