Il suono di questo disco è notevole e partirei subito da qui. “Arcadia” suona in bilico tra futuro e classico: da una parte quel certo modo cantilenante quasi “shoegaze” della scena indie, dall’altro qualche ricerca di forma industriale che forse, va detto, dopo l’esordio “Posh Punk”, ci saremmo attesi di ascoltarla più arrogante e decisamente più coraggiosa. Ma anche così vi assicuro che non perde punti. Ecco il secondo disco dei MANICAs: cercate voi la vostra direzione e abbandonatevi ad un non ritorno in patria.
Parlate di musica come medium per minacce che aleggiano sull’uomo moderno. Cioè?
Significa che la musica non è mai solo intrattenimento. È un filtro attraverso cui percepiamo il presente e ne restituiamo le tensioni, le ombre, le crepe. L’uomo moderno vive con la costante sensazione di qualcosa che incombe: il collasso climatico, il controllo digitale,le guerre, il nucleare, l’isolamento sociale mascherato da connessione.
E poi ancora, sempre pescando dal vostro presskit: un manifesto programmatico. Perché?
Perché “Arcadia” non è solo un disco, è un atto di esistenza. Suoniamo così, e ce ne freghiamo di aderire a una scena, a un’etichetta, a un algoritmo. È un manifesto perché è una dichiarazione di intenti: facciamo musica per esigenza ed urgenza comnuicativa.
Il caos che ormai vive l’uomo di Arcadia, in questo futuro di una natura padrone che decide, è tutto dentro questa copertina?
Sì, perché la copertina è un’istantanea di quel caos. E’ stata disegnata da un artista afghano Kaney Craft, un designer incredibile. C’è una natura che ha ripreso il controllo, ma non in modo romantico, non come un ritorno all’armonia. È una natura indifferente, potente, che decide lei. L’uomo, in tutto questo, è piccolo, perso, parte di un disegno che non governa più.
E da questa copertina come dentro molte tracce di questo suono, ci sono tantissime radici di antichità. Quasi archeologiche a tratti…
Assolutamente. Perché il futuro è un’eco del passato. Abbiamo scavato nei suoni, nelle melodie, nei ritmi come si scava in una civiltà perduta. Certe atmosfere sembrano arrivare da un tempo remoto, altre sono schegge di modernità. È come rimettere insieme i pezzi di un palazzo crollato.
E a proposito: ci troviamo dentro l’underground inglese anni ’80?
L’underground inglese anni ’80 è una delle tante ombre che si muovono dentro il disco. Post-punk, new wave, sperimentazione elettronica… ci sono tutte, ma non in modo nostalgico. Non ci interessa rifare qualcosa che è già stato fatto, ma usare quel linguaggio per dire cose nuove.
Mentre il video di “Bl4ck M4rk3t” ci regala una visione decisamente indie… sembra quasi l’ennesima rottura o l’ennesimo cambio di rotta…
Più che una rottura, è un altro tassello. Bl4ck M4rk3t gioca con l’estetica indie, ma sotto la superficie resta quella tensione che attraversa tutto il disco. È un linguaggio in più, una sfumatura diversa per raccontare la stessa inquietudine. Perché Arcadia non è un monolite, è un organismo mutevole.