– di Giusy Cavazzano –
È la mia estate da fuorisede, la mia prima estate che passo in un monolocale, con il ventilatore in faccia a studiare autori per lo più morti che non potranno mai apprezzare il mio sforzo. La colonna sonora di questo dolce strazio? “Non cresciamo mai” di Mani, con quella sua delicatezza pop e quella sua timidezza che arriva dalla piccola cassa bluetooth che ho piazzato in cucina, una voce che sembra quasi chiedere scusa per il disturbo, e riempie di romanticismo questo mondo squallido e sudato. Non c’è mai estate che più di questa passa solitaria e silenziosa, col caldo record che i telegiornali non vedevano l’ora di commentare, e non c’è mai stata estate che più di questa assocerò ad un disco che ho avuto il piacere di recuperare.
Questo album del giovane cantautore Marco Feliciani, Mani, è uscito a inizio gennaio, ma lo ritrovo solo ora, mandato dall’ufficio stampa tra le mie mail. Un’autobiografia musicale senza filtri, una delicatezza immersiva di chi svela completamente il suo mondo in un monolocale, una nuova storia contenuta in una vecchia Moleskine. Immaginatevi una stupenda versione musicale di “Chiamami col tuo nome”, e quanto vorrei andare da André Aciman per portargli far ascoltare questo album a tinte pastello: dedicato a chi non vuole crescere, a chi sta male, a chi vive perennemente in un account Tumblr immaginario.
Mani è quell’amico con la chitarra che a fine cena svolta la serata, è l’amico che non consideri mai ma che poi, quando ti lascia la tipa, chiami per ore lasciando che assorba tutto il dolore adolescenziale che solo noi Millenials sappiamo sprigionare. Sussurri, canzoni registrate in bagno, confidenze, e quell’eterno dolore che ci portiamo dentro noi, quindicenni senza speranza che cresciamo, nonostante tutto.