– di Giacomo Daneluzzo –
IL LIVE: UN VIAGGIO CINEMATOGRAFICO TRA MONDI APPARENTEMENTE LONTANI
(con un pizzico di romanticismo)
Il Mago Del Gelato è una band – e non un collettivo artistico, come si è detto in diversi articoli – di Milano, che si muove tra afrobeat, funk e jazz, con uno sguardo al mondo delle colonne sonore degli anni Sessanta. Il gruppo è composto da quattro elementi (basso, batteria, chitarra e tastiere), anche se nell’attività live si affianca a tre ulteriori musicisti (percussioni, sassofono e trombone-flauto-triangolo). Quest’anno, oltre a suonare al MI AMI Festival, ha pubblicato i primi tre singoli: “Zenzero”, “Elisir” e “Stracciatella”, brani semi-strumentali (ci sono delle incursioni vocali corali, ma restano prevalentemente musicali) di ottima fattura e molto gradevoli, estratti dall’EP d’esordio, intitolato Maledetta Quella Notte e prodotto da Marquis, che è uscito oggi, distribuito da Groovin (distribuzione fisica) e Believe (distribuzione digitale).
Dopo averli intervistati qualche giorno fa nel loro studio, un luogo magico e super underground (letteralmente, visto che si trova sottoterra), mi hanno invitato all’Arca, locale di Milano in cui si è tenuto il release party di Maledetta Quella Notte, un momento magico, introdotto da una voce narrante che descriveva con dovizia di particolari una scena di un film mai girato ambientata in via Padova, il luogo in cui è nato Il Mago Del Gelato. Grazie a quest’introduzione, sicuramente di grande effetto, il pubblico si è trovato fin da subito trasportato nell’immaginario cinematografico del progetto, che ne caratterizza tutta la produzione discografica.
All’Arca la band ha presentato l’EP, nella prima parte con i singoli “Zenzero” ed “Elisir”, che, in quanto «la ballad de Il Mago Del Gelato», è stata dedicata a tutti gli innamorati presenti, dando una nota di romanticismo al concerto, affiancati a “Maledetta Quella Notte”, la title track. Nella seconda metà dello show invece abbiamo ascoltato “Richiamami”, “Saraceno” e “Stracciatella”, con cui hanno chiuso la serata – prima del bis.
Ai loro brani è stata aggiunta una serie di omaggi: “Koko Dance” e “Open and Close” rispettivamente di Tony Allen e Fela Kuti, jazzisti nigeriani considerati i padri dell’afrobeat, genere a cui il gruppo si rifà moltissimo, ma anche “Io per lui”, brano reso celebre da Ornella Vanoni, che il gruppo ha reinterpretato insieme alla bravissima cantante Marianne Mirage, salita sul palco per l’occasione e introdotta dal produttore dell’EP, Marquis, per entrare pienamente negli anni Settanta con brani del colonnista italiano Piero Umiliani e dello storico gruppo jazz fusion giapponese Casiopea – o più propriamente カシオペア.
Ciò che colpisce de Il Mago Del Gelato è la capacità di far divertire un pubblico così eterogeneo come quello presente all’Arca facendo un genere tutt’altro che mainstream. L’energia del live era tangibile e, grazie a una formazione live estremamente efficace e a una buona scelta dei brani da eseguire, hanno messo su un concerto memorabile, che esprime anche un grande amore per il cinema, che ha permeato tutto lo show.
L’INTERVISTA: «UNA COLONNA SONORA? LA FAREMMO ANCHE DOMANI MATTINA!»
Come avete iniziato a suonare insieme?
La maggior parte di noi si è incontrata studiando musica alla Civica di Milano [Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, nda]: i nostri percorsi musicali ci hanno portati ad avere contatti con la scena di musicisti di Milano e così abbiamo conosciuto Alessandro [tastierista del gruppo, nda] e le altre persone che si sono poi avvicinate a questo progetto. Dobbiamo ringraziare questa scuola per essere riusciti a inserirci nella scena della città: è stata una bella opportunità, non è così scontato che lo spirito accademico riesca a conciliarsi con l’occasione di creare delle connessioni.
Maledetta Quella Notte è un progetto discografico che possiamo far rientrare nell’insieme della musica strumentale, nonostante le piccole parti vocali: a chi è rivolto, oggi, un EP di questo genere?
La risposta a questa domanda è molto varia. Per rispondere dobbiamo considerare quello che succede ai nostri concerti: i nostri live mettono insieme tante persone diverse, che magari non ascoltano neanche una musica simile alla nostra, che però si divertono e riescono a trovare un punto in comune, cioè il divertimento. A quel punto non conta così tanto se la musica abbia o meno delle parole, conta la “presa bene”, il modo spirituale di vivere la festa. Noi, live, siamo questo. E quello che facciamo live cerchiamo di portarlo nella discografia, ma partendo sempre da là – tant’è che per circa un anno, prima di essere Il Mago Del Gelato, eravamo un gruppo che suonava soltanto in live.
Non ci siamo posti davvero il problema di “a chi rivolgerci con la nostra musica”, ma penso che, anche inconsciamente, ci rivolgessimo alle persone che ci è capitato di avere davanti mentre eravamo sul palco: penso che ognuno di noi s’immagini le persone che hanno assistito ai nostri concerti ascoltare la nostra musica. Poi ci auguriamo che la nostra musica arrivi anche ad altre persone che possano esserne incuriosite. Il fatto di non avere dei veri e propri testi, ma delle parti vocali corali, inoltre, rende la nostra musica più universale, così da poter andare oltre ai limiti della lingua.
Parliamo di questi testi. Come sono stati scritti? Che idea c’è, alla base?
I testi sono stati scritti insieme e il percorso creativo che ci ha portato a scrivere questi testi parte da tutt’e quattro, insieme, in questo posto, cercando una “via comune”. Per scrivere un testo facciamo un brainstorming su un’idea, da cui vengono fuori delle parole chiave capaci di mettere insieme le idee di tutti. Partiamo sempre da un immaginario di base, che poi cerchiamo di delineare insieme.
Noi attribuiamo un certo significato alle parole e chi ci ascolta potrebbe attribuirne uno completamente diverso. Per ognuno avranno un significato diverso, noi ne abbiamo dato uno scrivendo. La forza di un testo non così esplicito è questo: definisce il modo del brano, poi ci possono essere molte interpretazioni.
Più in generale, che cosa volete comunicare con questi pezzi e quest’EP?
Come premessa vorremmo evidenziare che per noi è molto importante questa libertà d’interpretazione, che è un po’ il fulcro di quello che facciamo: non siamo dei cantautori, non abbiamo un “messaggio”, ma un “mood” che rappresentiamo, una colonna sonora da introdurre all’interno delle scene che vengono rappresentate nelle nostre menti. Più che di messaggi potremmo parlare di immagini, fotografie, scene.
Immaginati di essere in via Padova, al Mago del Gelato [il bar da cui prende il nome il gruppo, nda] all’imbrunire, dopo una giornata difficile, con una birra in mano; di fianco a te c’è uno che corre per prendere la 56, una che sta fumando una sigaretta, il tipo all’angolo che ti guarda strano… Ecco, è questo che vogliamo fare, usare delle cose che fanno parte del nostro vissuto per raccontare qualcosa di universale, che parla a qualsiasi tipo di vissuto.
La musica dà la base a tutto, è il grosso del lavoro: le parole completano la tela.
Ma quindi “Zenzero”, il titolo della traccia, è venuto prima del testo?
Sì. Cercavamo di dare un sapore alla traccia. Quando abbiamo iniziato a scrivere i testi corali, inizialmente abbiamo dato loro dei gusti. Così come le immagini e le scene dei film anche il gusto si può ricollegare alla musica. Su alcuni brani ci è piaciuto tenere questo spunto, anche senza ricollegarci troppo all’immagine della gelateria.
Anche perché lo zenzero non c’entra col gelato.
No, no, invece il gelato allo zenzero c’è, l’abbiamo provato! Buonissimo.
C’è un brano un po’ diverso dagli altri: in “Maledetta Quella Notte” c’è una parte parlata, inaspettata, che racconta qualcosa. Io mi sono fatto tutti i miei film su questa traccia.
Mi piace che abbia usato quest’espressione, «mi sono fatto i miei film», perché era proprio questo il nostro l’obiettivo, lasciare che ognuno si creasse delle immagini su queste cose!
La tecnica di scrittura che abbiamo usato per “Maledetta Quella Notte” rende l’esposizione un po’ più definita, ma è comunque qualcosa che lascia molto spazio. Non racconta tutta la storia: si sentono questi due frammenti che lasciano molto spazio all’interpretazione di ciascuno, che possono essere inseriti in molti contesti. Ognuno ha la sua versione, probabilmente.
Lo scopo era fare qualcosa che avesse un impatto per, potenzialmente, qualsiasi situazione. Anche in questo caso cercavamo l’universalità. E ci divertiva l’idea del messaggio in segreteria, questo è stato anche un po’ un gioco.
Invece “Richiamami” rimanda proprio a quella parte parlata, o sbaglio?
Ci sei vicino. Volevamo una traccia che richiamasse tutti i temi dell’EP. Lo fa anche riallacciandosi alla fine dell’altro testo.
MI avete parlato di scene, frame, fotografie, immagini. Questo mi fa rendere conto di quanto siate sulla stessa lunghezza d’onda, tra di voi, in merito al taglio cinematografico da dare a questo progetto.
Sì, ci troviamo d’accordo, fa anche parte del nostro modo di vedere la musica, delle nostre influenze. Tra gli spunti che caratterizzano il suono e il colore di quello che facciamo c’è un background comune e soprattutto molte colonne sonore che abbiamo ascoltato e che ci piacciono moltissimo. Ci sono tanti autori italiani che hanno scritto colonne sonore incredibili, materiali veramente interessanti per noi: Piero Piccioni, Armando Trovajoli, i fratelli Micalizzi, ma anche artisti più pop come Ennio Morricone o altri che hanno fatto colonne sonore meno orchestrali, come Fred Bongusto e più in generale l’atmosfera beat di alcuni autori di quel periodo. Sono tutti spunti creativi comuni a tutt’e quattro, insieme all’afrobeat.
Ma quindi voi la fareste una colonna sonora?
[Si leva un coro entusiasta, nda] Sì, assolutamente! Certo, se fosse possibile la faremmo domattina. È sicuramente un nostro grande goal.
Anche il titolo, Maledetta Quella Notte, è super cinematografico.
È un claim. Anche nella scelta del titolo ci siamo immaginati che quest’EP potesse essere una colonna sonora.
Inoltre è la cosa che dice più spesso Ale: «Maledetto questo! Maledetto quell’altro!» [Alessandro dice: «Ma poi ho smesso di usarlo», nda].