– di Lucia Tamburello –
Questo articolo potrebbe riportare una riflessione sul perché il pubblico nazionalpopolare si sia tanto interrogato su cosa rappresenti la tuta gold citata in uno dei pochissimi testi sanremesi che affronta un tema specifico in modo quasi didascalico, ma si limiterà ad emancipare la figura di Mahmood da meme sanremese a più che valido artista con un’analisi del suo nuovo album Nei letti degli altri.
Con quest’ultima uscita, il cantautore si addentra ancora di più nel Ghettolimpo raccontato nel 2021, con sonorità meno acide in alcune tracce, ma sempre articolate e originali rispetto al solito pop all’italiana. Già NLDA Intro, con Slim Soledad, traccia un confine marcato tra ciò che circola musicalmente nel Belpaese e l’originalità compositiva data dalle orecchie puntate oltreoceano di Mahmood. Mostra e dimostra che si può fare un buon pezzo EDM trap, aderendo a molti stilemi dell’hip hop, raccontando una storia ben precisa e mantenendo, al tempo stesso, un perfetto equilibrio tra musica danzereccia, sperimentazione e trasmissione di un concept profondo.
Anche la discussa hit del festival fa la stessa cosa unendo reggaeton e parti che sfruttano ampiamente l’orchestra sanremese, un singolo sprecato per l’ambiente in cui è stato diffuso. Un pezzo come la title track sarebbe stato sicuramente più adatto al contesto: la voce particolare e inconfondibile dell’artista si unisce ad una base dubstep “sempliciotta” in una formula ampiamente usurata dalla discografia contemporanea, seppur con le dovute differenze in termini qualitativi. In Tutti contro tutti fa la stessa cosa: parte con chitarra e voce, risultando ancora di più banale, ma termina e recupera con qualche accenno R&B. In Bakugo, Mahmood sembra accorgersi dell’effetto delle due tracce precedenti: l’”incipit” dà l’impressione di star dando inizio all’ennesima ballata creando un effetto sorpresa in contrasto con il resto del brano electropop incentrato su discriminazione e classismo. La parte finale riprende l’introduzione. Lo stesso tema attraversa anche il featuring con Capo Plaza che, accogliendo il genere dell’ospite, si addentra nel mondo della trap e del reggaeton. Le ballate non terminano certo a metà del disco: Nel tuo mare dà largo spazio ai virtuosismi vocali di Mahmood con un testo che racconta una rottura amorosa, ma tutt’altro che scontato. Con quel «Più che finire in un threesome, volevo dei fiori», declina in chiave contemporanea il romanticismo più classico. chiello e Tedua, nella penultima traccia, Paradiso, insieme all’autotune, riportano l’ovvietà e i peggiori canoni mainstream in questo lavoro. A fare da chiusura particolarmente toccante ci pensa Stella cadente, che affronta il dramma familiare dell’artista già sdoganato in altri pezzi. Questa decima e ultima canzone sembra riassumere tutti i principali generi ed elementi del resto dell’album, dal dubstep al gospel.
Nei letti degli altri appare come il tentativo più eclatante di Mahmood di seguire la strada tracciata dalle majors con il proprio stile. Interiorizza ed estremizza molte strutture tipiche dei singoli più radiofonici impattando sulla sua identità artistica sia in positivo che in negativo. Le probabilità che, ignorando gli schemi musicali più commerciali, la sua scrittura si emancipi sono uguali a quelle che perda totalmente le originali sfumature che la compongono. È evidente che l’ambiente discografico influenzi molto il cantautore, un po’ meno in che misura.