Maestro Pellegrini è il nome d’arte di Francesco Pellegrini, polistrumentista e cantautore classe 1984 nato a Livorno. Un esordiente che esordiente non è.
L’intervista
– di Riccardo Magni –
Maestro Pellegrini era il soprannome affibbiatogli da Andrea Appino ancora prima di entrare in pianta stabile nei The Zen Circus come chitarrista nel 2017. Prima di allora aveva militato in diverse formazioni tra cui i Criminal Jokers con Francesco Motta, e prima ancora i Walrus, che hanno pubblicato due dischi con Garrincha. Se nel suo stile compositivo sembra di intravedere qualche traccia della quota stilistica proprio di Motta, non è un caso: quasi coetanei ed amici fraterni, hanno condiviso gran parte del loro percorso artistico e di vita già da prima del successo di Motta ed il somigliarsi non è un’emulazione, quanto più un’evoluzione comune e parallela.
Tuttora il Maestro Pellegrini studia musica e frequenta l’ultimo anno di conservatorio a Livorno dove deve diplomarsi in fagotto, imponente strumento a fiato che fa comparire in modo inusuale per la musica pop-rock in molte delle sue composizioni e collaborazioni, con Nada, Bobo Rondelli, Enrico Gabrielli e molti altri, oltre ovviamente agli Zen Circus e nel suo esordiente progetto solista.
“Fragile, vol.2”, è il suo EP uscito l’11 settembre scorso, che con il vol.1 uscito a luglio (ascoltalo su Spotify) ed un pezzo ancora inedito (in uscita in autunno), compongono “Fragile”, quello che sarà l’album d’esordio da solista.
Com’è nato tutto questo, come si districa tra percorso accademico, palchi e rockband, come vive gli esordi in un momento delicato e particolare come questo uno come lui che esordiente non è, ce lo siamo fatto raccontare proprio dalla viva voce di un cordialissimo Maestro Pellegrini.
E siamo partiti proprio dall’inizio, anzi da prima.
Conoscevamo il Maestro Pellegrini musicista. Come sei “diventato” cantauore?
Ho deciso di fare il mio disco circa ormai tre anni fa, ma perché in realtà ho sempre scritto dei testi oltre alla musica e volevo far emergere questo lato: poesie, testi di canzoni, un testo dei Criminal Jokers ad esempio è mio, ma anche con la mia primissima band di Livorno ed anche con i Walrus.
Insomma, non è assolutamente una novità.
No non lo è, sarebbe una bugia. Semplicemente decisi di iscrivermi al conservatorio per studiare fagotto (strumento a fiato, ndr), che è lo strumento che suono anche in solo nei miei live. Studiavo al conservatorio e poi lavoravo come musicista, potremmo dire turnista anche se poi davvero turnista non lo sono mai stato visto che tutti gli artisti con cui ho lavorato sono diventati famiglia, compresa Nada. Mettere insieme le due cose mi occupava molto e avevo cambiato la forma mentale, diventando principalmente un esecutore. Quando poi questo non mi è più bastato ed ho capito che stavo invecchiando anche io e mi sarei dovuto dare una mossa – ride – per la prima volta ho voluto fare un disco mio.
Ho pensato a Dario Brunori, che ha fatto il suo primo disco a 33 anni, quindi mi sono detto “ok non sarò mai alla sua altezza”, ma almeno non ho l’alibi per dire che è troppo tardi.
Hai accennato agli artisti con cui lavori e con i quali hai un bel rapporto, tutti grandi parolieri (Appino, Nada, Motta…). Pensi di aver assorbito da loro? Quanto? E cosa?
Ho assorbito tantissimo, ho un carattere molto empatico quindi poi con le persone sono arrivato molto in profondità. Appino e Motta sono per me due fratelli, come si usa dire tra rapper… Attraverso la musica si arriva a condividere tantissimo. Dal punto di vista artistico per me Andrea Appino è una delle migliori penne che abbiamo quindi magari aver assorbito qualcosa. Sicuramente più a livello concettuale diciamo, di convergenza di una certa visione delle cose, lì c’è tanta vicinanza anche se la mia scrittura credo sia molto diversa dalla sua perché rappresenta strettamente la mia personalità, quindi lo stile non è esattamente lo stesso mentre i contenuti se andiamo a scavare, alla fine si assomigliano in qualche modo. Forse io parto più da una dimensione interna, ma comunque c’è sempre una cornice, una mia idea, un mio giudizio anche sull’esterno.
Questa quota stilistica personale è evidentissima ed innegabile, ma se proprio dovessi indicarti l’emergere di una vicinanza in effetti, direi che è più verso Francesco Motta. C’è però una spiegazione.
Beh con Francesco siamo cresciuti insieme, e anche il primo disco di Motta è scaturito da un percorso in cui io sono stato coinvolto pienamente, non solo a livello musicale. Fino a quel primo disco, quando poi Francesco si trasferì a Roma, abbiamo fatto quattro-cinque anni di vita insieme, un momento di crescita grosso e importante. Quindi le analogie con lui da una parte non le vedo nemmeno diciamo, perché sono scontate.
Restiamo ancora un attimo sulle tue amicizie-collaborazioni. Nel primo EP saltava agli occhi la presenza di ospiti importanti: Lodo Guenzi, Appino, Giorgio Canali. Nel volume 2 invece Maestro Pellegrini è solo, ospiti non ce ne sono. Hai voluto dare un’impronta ancor più personale a questa pubblicazione?
Faccio un piccolo preambolo, il disco doveva uscire completo sia in digitale che negli store l’8 maggio. Essendo una prima uscita a cui avevo lavorato tantissimo e alla quale anche l’etichetta Blackcandy Produzioni teneva particolarmente, abbiamo deciso di tornare su questa idea vista l’emergenza sanitaria e ci siamo un po’ reinventati la cosa in modo da poter lavorare il più possibile, quindi abbiamo fatto uscire in digitale un primo EP il 7 luglio (Fragile, vol. 1), un secondo EP l’11 settembre (Fragile, vol. 2) ed il 30 ottobre andremo in stampa con “Fragile” completo, che sarà composto dai quattro brani del volume 1, i quattro del volume 2 ed un altro brano. Quest’ultimo brano avrà un ospite, che si può immaginare ma non si può ancora dire.
In “Fragile, vol. 2” ho scelto di non mettere ancora quel brano lì ed è venuto da solo avere quindi 4 brani senza ospiti. Mi era stato anche consigliato per mettere più a fuoco la mia identità, ma io sono molto “fricchetone” da questo punto di vista perché come dicevo prima, gli artisti con cui collaboro sono persone a cui tengo molto quindi questo calcolo non lo avevo fatto tantissimo. Vero è che questa scelta comunque aiuterà a mettere a fuoco meglio la mia personalità, perché certamente io con questo progetto sono praticamente un emergente, mentre invece gli altri nomi sono affermati e potevano in un certo senso un po’ coprire, ma non è stato un calcolo pensatissimo.
E a proposito di cambi di programma a causa dell’emergenza Covid, tu che hai sia il punto di vista degli artisti e delle band affermate con cui lavori, che quello del semi-esordiente con il tuo progetto cantautorale, che differenza c’è, se esiste, tra le due realtà? Chi in proporzione, sta facendo più fatica?
Posso dire che per quel che riguarda il lock down e la situazione che ne è derivata fino a oggi, le difficoltà sono state gigantesche per gli artisti più grandi che avevano programmato delle uscite, e penso ad esempio ancora al tour di Dario Brunori, perché riprogrammare tutto quando hai già venduto anche dei biglietti e programmato un tour estivo del genere, con quei numeri, è una cosa davvero disastrosa ed immagino per niente facile da gestire. Quindi col cuore sono vicinissimo anche a questi grandi artisti che oltre a subire un danno personale, hanno dovuto far crollare tutto un castello di professioni che come sappiamo, hanno subito per questa situazione dei danni lavorativi molto grossi.
L’emergente invece, semplicemente è stato completamente annientato da questa cosa. Un emergente che doveva uscire in questi mesi si è dovuto scordare di uscire e giocarsi le carte che con fatica era riuscito ad avere in mano, mentre per l’artista big si parla più di danno d’impresa secondo me, la differenza è lì.
Gli Zen Circus in tutto ciò hanno avuto la fortuna, non lo nascondo, di non aver niente programmato per l’estate se non le registrazioni del disco, che comunque hanno incontrato delle difficoltà, ma che da giugno siamo riusciti riprendere ed abbiamo comunque finito il nuovo disco. Ora gli Zen hanno il disco pronto ed il lavoro sarà sul 2021, certo è che se questa situazione continuerà, per il nostro mondo, anche a livelli importanti, sarà veramente una tragedia. Con molta fatica si è resistito ad uno stato di lock down e al blocco delle attività, un’altra fase come questa sarebbe distruttiva: con un’altra estiva così potremmo assistere veramente all’estinzione della specie.
Sul mio disco io ho sudato e sto sudando il doppio, anche a livello psicologico perché immagina l’insicurezza di non sapere quando questa situazione finirà, il non poter programmare nulla in un mondo dove poter programmare è vitale. Ho subito un danno enorme, sono riuscito essendo appunto un “emergente non emergente” a suonare un po’, ma ho dovuto ridurre tanto, sarei dovuto essere in giro con la band e col disco fuori questa estate, così non è stato e ho continuato a fare concerti da solo facendo uscire i brani, perché ho scelto quantomeno di condividere la musica con gli altri, anche se sapevo bene che era il momento più sbagliato per far uscire qualsiasi cosa.
A livello invece artistico, questa situazione per forza di cose lascerà la sua traccia. L’ha lasciata su chiunque, ogni sensibilità è stata toccata su vari livelli, ed un autore poi quella traccia inevitabilmente la riporterà nelle sue composizioni. Fino ad ora abbiamo assistito per lo più all’uscita di lavori di basso livello qualitativo, per non dire etico, legati all’emergenza e al dramma Covid, ma prima o poi per forza di cose molti artisti trasferiranno nel prodotto della loro arte tutte quelle emozioni che la situazione ha generato, no?
Si, certamente. Ed ho già sentito alcuni lavori di colleghi che hanno scritto su questo momento, partendo da questa situazione, quindi dici bene e sicuramente ascolteremo qualcosa che si basa su questo periodo e su degli strascichi che soprattutto a livello psicologico ci porteremo dietro ancora per un po’.
Personalmente in parte, inizialmente mi sono sentito troppo coinvolto per poter vedere la situazione dall’esterno e quindi i primi due-tre mesi non ho scritto niente, anche perché per come la vedo io, per il modo in cui scrivo, la creatività ha bisogno di una certa libertà e di poter immaginare delle cose che veramente in quel periodo era impossibile immaginare, quindi è stato veramente brutto, questo sicuramente. Poi mi sono sbloccato, ora sto scrivendo un disco nuovo, ho già scritto tre brani ed in tutti e tre in qualche modo ci entra anche la situazione che stiamo vivendo, credo sia inevitabile.
Ho sentito una frase secondo me molto brutta di un produttore importante, che ha detto “ancora non scrivo perché quello che scrivo sarebbe troppo influenzato dalla situazione” ma io dico beh, perché no? Ovvio che sarà influenzato dalla situazione del momento. È qualcosa di estremamente naturale credo, che sicuramente andrà a finire in tante canzoni e sicuramente nelle mie ci sarà.
Ci salutiamo con un’ultima cosa, una curiosità, di tutt’altro tenore. “Maestro Pellegrini”: sappiamo, perché lo abbiamo sentito nei concerti, che Appino ti presenta così, ma come nasce questo soprannome e com’è diventato il tuo nome d’arte?
È una cosa in parte ironica, in parte vera e reale. Studio fagotto da circa 10-11 anni ormai, sono iscritto all’ultimo anno di conservatorio e devo diplomarmi. Il mio maestro è Paolo Carlini, un fagottista che insegna al Conservatorio di Livorno ma è un musicista di livello internazionale, che per dire, ha eseguito un brano scritto ed a lui dedicato da Morricone. Lui mi ha sempre sostenuto dicendomi di portare avanti tutto l’ambito della mia musica, delle band, della chitarra, perché comunque vedeva nella mia personalità una figura diversa dal solo orchestrale. Mi avrebbe segato le gambe se avesse detto “lascia perdere tutto il resto e fai solo questo”, e poi probabilmente io non lo avrei fatto. Certo mantenere entrambe le strade è veramente dura. Ho suonato un po’ in orchestra, poi con l’ingresso negli Zen, Sanremo e tutto il resto, ho dovuto proprio congelare gli studi lo scorso anno accademico. Voglio diplomarmi perché sono convinto che sia importante, per quanto conosco musicisti formidabili che non hanno mai preso una lezione di musica, non chiedermi come ma è così. Tutto questo per dire che la mia strada è in parte anche accademica e “Maestro Pellegrini” viene fuori dall’ironia di Appino che nel tour “Grande Raccordo Animale”, il primo lavoro che ho fatto con lui, scherzava su questo mio approccio un po’ accademico. Con lui poi suonavo anche il fagotto, studiavo in camerino il pomeriggio e lui mi prendeva in giro, mi faceva i video, perché era strano vedere un musicista rock che studiava fagotto in camerino. Così ha iniziato a chiamarmi Maestro e lo faceva anche sul palco. Il pubblico ha iniziato a conoscermi come Maestro, quando sono entrato negli Zen era ormai il mio soprannome conclamato tanto che addirittura nel libretto del disco “Il fuoco in una stanza” che è il primo in cui sono inserito come membro della band, sono menzionato proprio come Maestro Pellegrini. Quindi in qualche modo è un appellativo che è diventato mio, ed è stato normale e naturale che lo adottassi per un mio percorso che tra l’altro, gli Zen Circus hanno sostenuto e stanno continuando a sostenere, un po’ come fa il fratello maggiore verso il minore che cresce.