Iniziamo a dire subito una cosa: l’ultimo disco dei Luminal è un disco pornografico. Ci sbatte in faccia pezzi di carne e umori senza neanche chiederci “scusa”. Già Amatoriale Italia, come nome, ci ricorda quei filmini scaricati da internet nell’era pre-streaming, dove dovevi affidarti alla curiosità dei titoli sperando di esserne ripagato e di aver trovato la risposta ai tuoi impulsi erotici.
A conti fatti, Amatoriale Italia è un disco ricolmo di topical songs, quella sorta di canzoni di protesta riferite alle tragedie contemporanee. E queste tragedie scorrono veloci nelle parole e nei versi delle canzoni, dalla chiamata in appello, tra scuola e tribunale, di “Donne (du du du)” all’urlo di “Lele Mora” che basta da solo come condanna. I Luminal sono bravi a mettere in luce le oscenità di oggi partendo dalle nostre ossessioni, dalla sessualità esplicita e grottesca (“Casa in campagna” vi basta?) fino al porno sociale, i mass media deviati e devianti, l’apparire per essere, alla Musica come soprammobile (“Giovane musicista italiano, vecchio italiano”). Ma oltre a puntare il dito in maniera retorica e banale, i tre si guardano allo specchio e di riflesso ridono di tutto. Sarcastico e autoironico, più che arrabbiato. Una cosa certa è che i ragazzi hanno qualcosa da dire: sussurrate o urlate, le liriche sono sincere, spesso autobiografiche (si presume, perlomeno in brani come “L’aquila reale”), a volte geniali e a volte meno. E se urlano il loro disagio verso il web, la tv, le mode fasulle e la “fame in Mozambico” ogni tanto scappa anche un sorriso.
Beh, come diceva Moretti (e loro stessi!) “le parole sono importanti”, ma il resto? Ovvio, devi essere molto sfacciato e sfrontato per presentarti così, solo con basso e batteria, buttate via le chitarre sempre presenti nei dischi precedenti. Ti metti a nudo per primo di fronte all’ascoltatore e non puoi permetterti nessuno sgarro, nessuna incertezza. Il sound di conseguenza potrebbe sembrare limitato, tendente spesso, forse sempre, verso il rumore, sospinto da bei groove di batteria e da un basso sporco e gonfio al punto che sembra quasi esplodere. Invece no, il disco è vario e tutto fuorchè piatto: la creatività e l’elasticità, prima di tutto mentale, dei tre gli permette di passare senza traumi eccessivi da rock più tirati, per blues viscerali a declamazioni e recitativi. C’è da sbattere la testa in headbangin’ in “Blues maiuscolo del maniaco su facebook” o in “Carlo vs. Il giovane hipster” e c’è perfino la possibilità di ridere nella quasi demenziale “Grande Madre Russia”. Ma nonostante tutti gli sforzi e ogni tentativo di affogare i brani nel groove distorto i Luminal falliscono nel loro intento: sanno ancora scrivere ritornelli e melodie. I brani più efficaci sono con Alessandra Perna al basso e Carlo Martinelli alla voce e armonica (e come sempre nel disco il talentuoso Alessandro Commisso dietro le pelli, bene in mostra in “Il lavoro rende schiavi”), come “Una discografia di Cohen” e “C’è vita oltre Rockit” (una frecciatina che non va molto per il sottile…) che scorrono agili e cantabili come poche altre.
In conclusione, Amatoriale Italia si pone quasi come un manifesto politico apolitico, polemico e apolide, un polittico apocalittico costruito intorno brillanti intuizioni comiche nate dal tragico della nostra esistenza (“sovieticami tutto!”) e sfondoni retorici figli non riconoscenti del post grunge italiano del Nord Italia, tutto a base di droga e sporcizia.
È un disco sporco ma che non puzza, grezzo ma non rozzo.
È amatoriale, ma non dilettantesco. È Italia, ma non italiano.
Riccardo De Stefano
1 commento