– di Giuseppe Provenzano –
Il meccanismo di voto
Lo faccio partendo dall’argomento che, da facenti parte dello stesso circuito, ci riguarda: il meccanismo di voto.
Altro, necessario, spiegone: ora come ora la votazione delle Targhe Tenco (che sono cosa altra rispetto al Premio Tenco: il Premio è assegnato dal direttivo del Club, le Targhe da una giuria composta da circa trecentocinquanta critici musicali ed addetti ai lavori) si svolge in due turni. Nel primo, la giuria vota tre titoli per ogni categoria. Da questa prima scrematura escono le famose “cinquine” da cui, successivamente, i giurati possono votare un solo titolo, in quello che è il secondo turno.
Ad interessarci particolarmente è il primo turno, il cui meccanismo di voto è stata la prima grande (e disastrosa) svolta della nuova gestione.
Dal 2017 i giurati votano i loro tre titoli pescando da un database che il sito del Club attiva per l’occasione, su cui chi vuole (e intendo anche un semplice ascoltatore, non necessariamente un ufficio stampa o un’etichetta) può caricare il proprio disco, scegliendo anche la categoria per cui andrà in concorso. In soldoni, la giuria si trova a votare tre titoli per categoria dovendo scegliere fra tutto quello che è uscito nell’ultimo anno. Così, senza filtri di sorta né alcuna discrezionalità.
Fino al 2016, e torniamo al passato, invece veniva operata una primissima scrematura già a monte: una pregiuria formata da venti critici componeva, per ogni categoria (da sottolineare che allora erano cinque, adesso sei), una short list di massimo cinquanta titoli. I successivi due turni di votazioni, nei quali subentrava il resto della giuria, avvenivano basandosi su quella short list.
E qui arriva la prima considerazione importante.
Per comprenderlo basta solo fare il rapporto fra titoli candidabili e titoli votabili al primo turno: col vecchio sistema è di cinquanta a tre. Col nuovo database il numero di candidati varia di anno in anno – ma sicuramente supera di gran lunga i cinquanta titoli – mentre il numero di dischi votabili è sempre tre.
Ovviamente sto partendo dal presupposto che ogni giurato ascolti tutti i dischi in concorso, ma credo sia facilmente intuibile che è un’impresa del tutto fuori portata, ci potrebbe riuscite giusto Scaruffi.
Scherzi a parte, già avere una forbice di 200 album + 50 canzoni, sempre in riferimento al vecchio meccanismo, costringeva ad un investimento, in termini di tempo, quantomeno ingente.
Adesso, considerando che potenzialmente va in concorso anche l’album del trappettaro x che si è registrato tutto in cameretta con il Korg scassato e la scheda audio da quaranta euro, capite bene che sentire tutto (come toccherebbe fare) è una di quelle cose che, se Ercole vivesse in questi anni, si troverebbe sicuramente ad affrontare come una delle sue fatiche.
A conferma di quanto già il “rinnovamento” del meccanismo di voto sia stata una puttanata immane, oltre al dato “tecnico” di cui sopra, porto un paio di casi-esempio.
Il “caso” Cinti-Monina
Com’era prevedibile, i primi problemi di una forbice di scelta così larga non ci mettono molto a palesarsi. Sul finire delle votazioni del primo turno delle Targhe Tenco 2020, Fabio Cinti (per altro già Targa al miglior interprete nel 2018, con uno splendido omaggio a “La voce del padrone” ed alla grandezza del Maestro Battiato), fresco di pubblicazione del suo “Al blu mi muovo”, e quindi pienamente in corsa quantomeno per la cinquina, si pizzicò con Michele Monina proprio sulla questione Targhe. Degli scambi in sé e per sé poco ci importa: sono fatti privati ed è bene che rimangano tali. Ad interessarci, in qualche modo, è la causa prima del battibecco: Michele, pur essendo in giuria, non aveva sentito l’album di Fabio.
Sono andato all’osso della vicenda, omettendo, ripeto, alcuni dettagli di cui sarebbe anche scorretto parlare, e, cosa più grave, dovendo fare dei nomi (e spero tanto che per questo non se la prendano né Fabio, che è un caro amico, oltre che un artista che stimo infinitamente, né Michele, che è uno dei motivi per cui anch’io scrivo di musica. E se così non fosse, proprio per la stima che ho nei loro confronti, porgo le mie scuse già da adesso) che hanno come unico punto di contatto con questa storiaccia quello di essere, loro malgrado, entrambi “vittime” di un regolamento balordo.
In sostanza, il dato centrale è che un cantautore si è ritrovato in posizione di svantaggio rispetto ad altri colleghi perché un giurato non è stato messo nelle condizioni di fare per bene il suo lavoro. Perché, per dire, prendiamo in considerazione la categoria più ambita, quella dell’album dell’anno: a fare una stima quanto più rapida e grossolana possibile, gli album candidati saranno almeno centocinquanta. Ed è, ripeto, solo una categoria. Ed essere giurati del Tenco è un lavoro pro bono, non c’è nessun gettone di presenza. Praticamente si sta gettando un enorme carico di lavoro sulle spalle di gente che sì, magari lavora anche di critica musicale, ma che di certo non può essere obbligata ad ascoltare solo roba prodotta in Italia ed uscita entro il 30 maggio dell’anno corrente.
In tutto questo, come da prassi nella direzione intrapresa negli ultimi anni, a farne le spese sono gli artisti. E, per la cronaca, chissà quanti casi simili ci saranno stati (e, continuando così, ci saranno) nel corso delle ultime edizioni.
Il caso Mauro Ermanno Giovanardi
La cosa incredibile è che il caso di sopra, paragonato a questo, era un semplice contrappunto.
Qui andiamo indietro, alle Targhe del 2018. Nella mattinata del 20 giugno 2018 vengono svelate le cinquine: fra i candidati come miglior disco dell’anno figura “La mia generazione”, di Mauro Ermanno Giovanardi. Passa qualche ora e compare un nuovo comunicato, a firma del direttivo, in cui si comunica l’esclusione di Giovanardi dalla rosa dei finalisti.
Il motivo è molto semplice: l’album era un album di cover e, in quanto tale, sarebbe dovuto andare a concorso nella categoria “interprete”.
La commissione ci tiene, fra l’altro, a precisare che, nella categoria di pertinenza, l’album non aveva ricevuto un numero di voti sufficiente ad entrare in cinquina.
In mezzo, una serie di mail in cui il direttivo non fa altro che rimpallare le responsabilità di una figura più che misera, scaricando sui giurati la propria negligenza.
Ma qui ci arriviamo fra poco.
La commissione selezionatrice attiva fino al 2016 aveva, fra i suoi compiti, anche quello di inserire un album nella sua esatta categoria. Ad occuparsene, e ormai credo possiate immaginare il dispendio di tempo ed energie necessario, era il già citato Annino La Posta.
Come si può facilmente intuire, dunque, la commissione – meccanismo comunque migliorabile, ci mancherebbe – semplificava sensibilmente il compito dei giurati, non solo mettendoli in condizione di ascoltare tutti i dischi effettivamente in concorso, ma facendo anche da filtro per evitare cappellate del genere.
Perché è chiaro che da un errore così nasce una ulteriore considerazione, strettamente legata alla giuria, argomento che approfondiremo comunque.
Mi spiego meglio, prendendo sempre ad esempio “La mia generazione”: in quel disco – magnifico, per quanto mi riguarda, Giovanardi ha voluto omaggiare, per l’appunto, la sua generazione, quella dei ’90, mettendo in fila una serie di rivisitazioni di pezzi, fra gli altri, di Casino Royale, Massimo Volume, Marlene Kuntz, Cristina Donà, Ritmo Tribale, Bluvertigo, CSI, Ustmamo Afterhours, Mau Mau ed altri.
Pezzi che hanno letteralmente fatto la storia del circuito indipendente italiano.
Come è possibile che la posta elettronica del Club non sia stata subissata di e-mail chiarificatrici? Ne arrivarono solo una manciata, cui seguì una risposta – tutt’altro che chiarificatrice – del direttivo.
Pensare che ci sia stata gente, fra i giurati della più importante rassegna per la canzone d’autore in Italia, che abbia considerato “Lieve”, “Non è per sempre” o “L’ultimo Dio” pezzi inediti di Giovanardi, in tutta onestà, mi lascia fortemente perplesso.
ero nella famigerata giuria. Fino al 2002, credo. Eravamo 70 e già si faceva fatica a capire per chi votare, pur essendoci una scrematura all’origine. Me ne sono andato per la scarsa trasparenza. Ammetto che fin dall’84, credo primo anno di consegna delle targhe, ho indovinato a chi sarebbero state date…
Il rubicone è stato attraversato quando è stato invitato giovanotti, con tanto di scorta e guardie del corpo. lì è morta un’idea