Quanto fa ridere che proprio il brano più innocuo di Lauro abbia generato tutto quel putiferio televisivo e lo shitstorming infinito di Striscia la notizia? Il lunghissimo battage televisivo che puntava soltanto a ribadire come Achille Lauro fosse un drogato e la canzone un volgare omaggio all’ecstasy, portato poi PROPRIO SU QUEL PALCO! Quello della gente perbene, quello di Sanremo!
Achille Lauro: Quello che ha fatto Striscia è squallido. Quando volevo essere esplicito lo sono stato: Rolls Royce è il pezzo più pulito che abbia mai scritto. Mi sono presentato a Sanremo con umiltà. È brutto vedere come grandi reti televisive si scaglino contro una persona solo per fare audience e avere numeri. Dietro le storie di successo c’è impegno e dedizione. Vedere messa a rischio la mia carriera per nulla l’ho trovato squallido. Rolls Royce è la macchina, un’icona di lusso, e per chi non ha avuto niente e si è conquistato le cose la macchina rappresenta un punto di arrivo.
Ma quella della droga è una esperienza privata, che non puoi capire se non l’hai vissuta, dove è facile alzare il dito e puntarlo in faccia a qualcuno, sentendosi nella parte del “giusto”. No, Rolls Royce non parla di droga, non quella chimica in pastiglie almeno. “Dio ti prego salvaci da questi giorni, tieni da parte un posto e segnati ‘sti nomi” – verso che viene da Barabba II, lì sì riferito alle droghe – adesso diventa una preghiera di salvezza, di elevazione a rock god, a leggenda.
Achille Lauro: Quella frase è dedicata a tutti, nonostante quello che hanno stupidamente detto sul pezzo, quella è la frase più universale che abbia mai scritto. Tutti fanno parte di un percorso di vita. C’è molto meno di “criminale” rispetto a quello che c’è di universale. Io credo e devo credere. Sono una persona fortunata. Quando c’era la tendenza di autocelebrarsi con la vita di strada, io di quella roba non ne potevo più. Sono stato fortunato ad essermi salvato: ho una vera e propria devozione, non a una religione, ma verso qualcosa di superiore, che ti mette una mano su una spalla.
D’altronde lo avevamo già detto, 1969 è un bello schiaffo in faccia a chi vuole credere che Achille Lauro sia solo autotune e metriche storte. Non solo Rolls Royce, il disco vince e convince grazie a brani fortissimi come Cadillac, Delinquente, 1969 o la più soft C’est la vie.
All’avvio del nuovo tour nei palazzetti, Achille ha già cambiato gusti – a quanto pare. Prima riarrangia i brani vecchi: BVLGARI diventa un mash-up tra la trap e lo swing degli anni ’20. Poi anticipa il suo futuro, raccontando un altro passato: 1990, nuova canzone che darà (si immagina) il titolo al prossimo lavoro discografico riprende dalle sonorità ’90, nelle intenzioni non solo quelle dance, ma anche dal grunge (staremo a vedere).
Una sorta di ucronica follia musicale dove si passa senza soluzione di continuità tra passato, presente e futuro.
Achille Lauro: Fare musica è come fare un quadro, dipingere qualcosa. Noi usiamo vari colori che si basano su come ci sentiamo. Il suono è legato allo stato d’animo. Quando è uscito Pour l’amour erano brani estivi, eravamo già passati attraverso la fase street, iniziavamo a parlare di quella roba lì in chiave scherzosa. Con 1969 e Rolls Royce abbiamo voluto fare una cosa generazionale, parlare a tutti nella nostra lingua. Nessuno dipingerebbe lo stesso quadro per tutta la vita. C’è la voglia di fare cose nuove, sempre. Ultimamente mi sto facendo ricerche su cose più di nicchia, nel blues, nel jazz. 1969 permette di far ricordare sonorità dentro tutti quanti: tutti sono cresciuti con i Doors, Hendrix e le loro canzoni.