La canzone d’autore ormai ha virato con disordine dentro cliché digitali. Ma ci sono dischi che restano ancorati ad una dimensione umana ancor più di quella estetica e di quella tecnica. L’individuo vince quando ne è capace, vittoria decisamente più difficile da raggiungere rispetto a quella fatta programmando computer a favor di senso estetico. Lucio Matricardi ci regala un disco che si distingue a suon di personalità e di parole buone, belle melodie, forse troppo ricche di rimandi antichi e famosi… ma davvero un disco come “Non torno a casa da tre giorni” piace riascoltarlo sempre, come fosse un prezioso da conservare in questo tempo allegorico e distopico.
Ed io penso molto al lato sociale di questo disco… e “La manna dal cielo” lo dice sfacciatamente. L’impegno sociale è presente come punto centrale o come scusa narrativa?
Nella mia esperienza più riusciamo a liberare le nostre emozioni e riconoscerle, più siamo in grado di provare empatia e collegarci al resto del mondo. Sono stato folgorato da un articolo di Andrea Scanzi che parlava di questa bracciante morta di fatica nei campi. È come se il mio cuore abbia fatto un viaggio, di tempo e di spazio. Mi sono ritrovato questo brano tra le mani in cui era lei a parlare. Così per ogni tema che poi scopro essere sociale. E’ la realtà a lanciarmi le sue frecce. Io mi lascio colpire. Questo mi fa sentire “connesso” con una rete che definirei invisibile, ma c’è.
Tornando al video ufficiale che bell’immagine (e che violenta anche) quella delle persone come burattini… tutti siamo mossi da fili… vero?
Trovo devastante il trovarsi in una condizione difficilissima e non avere scelta. I fili sono invisibili, ma ci sono. E questo vale per tutti. Una società che vive sul ricatto perpetuo non è una società. La storia ha avuto sempre le sue vittime che pur di sopravvivere venivano sopraffatte da chi sfruttava il lavoro. Il fatto che sia sempre stato così non implica che non ci siano stati miglioramenti. L’illusione è che questo tipo di ingiustizie siamo scomparse. La realtà è che ce ne sono tantissime, in ogni parte del mondo. E se gli uomini si girano dall’altra parte, me compreso, siamo comunque testimoni. Possiamo cancellarle queste cose, ma alla fine tornano nel quotidiano nel nostro senso di umanità che si indebolisce. Come si dice… le tossine ti finiscono nel piatto dove mangi.
Marchigiano… territorio di confine, di provincia, fuori dal centro delle cose “famose”. Come ci si vive? Da li possono nascere grandi cose secondo te?
Una volta lessi che Fellini credeva tantissimo negli artisti di provincia perché pensava avessero tanta fantasia. Pensiamo ad un film come Amarcord dove temi universali si mescolano ai sapori taglienti di uno spaccato di provincia grottesco e favoloso. Non so se sia vero. Sono però sicuro che la mia terra offre ogni giorno un teatro di ineguagliabile bellezza. Poi è vero che a volte mancano i mezzi, gli investimenti sui giovani. Si fa fatica a “credere” vendibile una visione del mondo particolare, originale, direi quasi “dialettale” nel senso più bello.
Questo nuovo disco arriva in che momento per la tua vita e la tua carriera?
Arriva dopo tanti live e dopo aver riflettuto molto su quello che mi collega alla gente o al pubblico. Ho cercato una scrittura più comprensibile perché mi accorgevo che più il legame con gli spettatori era forte e più si volava in maniere nuove e stupefacenti. Più la scrittura era condivisibile e più l’immaginario diventava forte e condiviso.
Sei poi tornato a casa con questo disco tra le mani?
Eh eh eh, credo proprio di no. Alla fine sto intuendo che la casa non è fatta di mura. Ma è una sensazione di calda accoglienza che provi quando cerchi di capire il mondo e trovi persone che hanno desiderio di condividerlo con te, anche e soprattutto nella diversità. Quindi faccio un annuncio: “Cerco una casa mobile fatta di sorrisi, scontri ed esperienze. Per chi volesse offrirmela, basta che ci incontriamo.”