– di Michela Moramarco –
Lorenzo Pucci è un giovane cantautore romano, classe 1993, che ha da poco pubblicato il suo album d’esordio, dal titolo “Sono sempre in ritardo”. Dell’evidente tematica legata alla riflessione sullo scorrere inesorabile del tempo, ne parliamo fra poco. Innanzitutto, va detto che si tratta di un album composto da ben diciassette tracce, molto diverse fra loro ma legate effettivamente da un filo rosso sia nelle sonorità che nello stile. A scandire questo scorrere delle tracce, quattro intermezzi: “15 Minuti”, “30 Minuti”, “45 Minuti” e “60 Minuti”.
Dunque, questo è un album indubbiamente sfaccettato, poiché è caratterizzato da un mix di generi musicali che Lorenzo Pucci riesce ad amalgamare in modo efficace ed arguto. “Temporale”, la seconda traccia, per esempio, sembra avere un’attitudine quasi spensierata e strizza l’occhio alla world music. In questo brano sembra esserci anche una citazione ad un celebre gruppo alternative metal (ascoltate e fatemi sapere se me ne sono accorta solo io). Ma l’ascolto procede, perché “Non è cosa” di togliersi le cuffie e interrompere questa traccia un po’ più rilassata, alla Frah Quintale e molto scorrevole.
Questo mix di generi e atmosfere si ritrova poi in una notte fonda, un po’ distorta e anche un po’ lo-fi per poi sfociare in una traccia un po’ più malinconica e decisamente riflessiva come “Altare”: una ballad di stampo cantautorale, in cui l’artista ha chiaramente effettuato una profonda ricerca delle parole giuste. Difatti, Pucci sembra essere attraversato da un inesorabile bisogno di esprimersi mescolando vari stili e sperimentando continuamente. Questo album è la chiara espressione di questa indagine nei generi musicali.
L’ascolto, quindi, procede con una traccia molto eterea, con un tappeto sonoro molto evocativo e una voce molto limpida: parliamo di “Sono sceso in piazza”, che è un brano che lascia quasi pensare all’attualità, sia pandemica che polemica. Ma questa è un’altra storia, perché a questo punto dell’album c’è una svolta repentina, verso una traccia elettronica, quasi sbarazzina che sicuramente tiene presente dello stile di Willie Peyote e che quindi, non dispiace. Un’altra traccia potente e degna di nota è “Vorrei portarti lontano”, che affronta la tematica del sentimento amoroso in modo maturo e consapevole.
Chiudiamo questa carrellata veloce delle tracce scelte liberamente da me tra le diciassette di questo album con la title track, “Sono sempre in ritardo”. Questa traccia potrebbe essere considerata il manifesto di quest’album, in cui si ripensa al tempo passato, a eventuali rimpianti e a quei momenti che sono stati vissuti a pieno e che non torneranno più. Anche nei suoni il brano racchiude molto bene la cifra stilistica dell’intero primo lavoro discografico di Lorenzo Pucci.
Complessivamente si può dire che è un album molto gradevole, non difficile da ascoltare anche se ha vari strati di lettura e ascolto, poiché i testi sono molto introspettivi, caratterizzati da uno sguardo che poi si rivolge verso l’esterno. Quest’album promette molto bene per il cantautore romano. Il mix di stili, dal soul/R&B al cantautorato, è sorretto da suoni freschi, nitidi, ben strutturati. Si può dire che abbiamo davanti una mescolanza di idee accomunate però da una grande espressività. La tematica del tempo si può intuire, come si è detto, sin dal titolo.
L’album, infatti, esprime la paura di essere sempre fuori tempo, se non addirittura in ritardo su schemi temporali definiti da non si sa bene chi. La società, imperniata sulla produttività e sulla performance in cui siamo immersi, ci porta in modo inevitabile a voler avere sempre fretta, anche se paradossalmente nella maggior parte dei casi si finisce per essere fuori tempo massimo.
Pucci racconta questo tema, imparando a tenere il passo di un percorso artistico che, appunto, lascia immaginare molto bene per il tempo futuro. Essere sempre in ritardo forse è l’impressione che ciascuno di noi ha su se stesso. Impressione che si ha perché non si cerca mai di comprendere che invece, ognuno è nel proprio tempo.